Categoria : politologia

Un’onda nera di Riccardo Brizzi

 Le PenUno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’estrema destra, rinvigorito dai successi del Front national alle amministrative francesi, ma non solo. Per rendersi conto del vento che tira basta ricordare come in occasione delle prime elezioni europee a suffragio diretto, svoltesi nel giugno 1979, un solo partito di estrema destra era riuscito a conquistare una – modesta – rappresentanza parlamentare: era il Movimento sociale italiano, che nell’emiciclo di Strasburgo poteva contare su 4 deputati.

A 35 anni di distanza il quadro appare profondamente mutato. All’interno dell’Europarlamento in scadenza siede un gruppo apertamente eurofobo, Europa della libertà e della democrazia, che conta 32 deputati provenienti da 10 Paesi. Più in generale l’estrema destra negli ultimi mesi sembra in ascesa all’interno di svariate arene nazionali. Nell’autunno 2013 le legislative in Austria hanno visto la forte avanzata del FPÖ (21,4%), mentre in Norvegia (che pure non fa parte dell’Ue) il Partito del progresso è entrato nella coalizione di governo con i conservatori. Ma è l’Europa mediterranea a «fare scuola»: in Spagna, a 35 anni dalla fine della dittatura, si assiste al ritorno in auge dei simboli franchisti; in Grecia il crollo del Pasok (dal 44% del 2009 all’attuale 4%) è il segnale più evidente di una crisi di sistema di cui hanno beneficiato gli opposti estremismi di Syriza e Alba dorata; in Francia il Front national, «normalizzato» dalla leadership di Marine Le Pen, dopo il lusinghiero risultato di domenica scorsa, attende di battere cassa alle europee.

Gli analisti che annunciano un’ondata «nero-bruna» in occasione del voto di maggio si appoggiano ad alcuni argomenti forti: la crisi economica sta elettoralmente giovando soprattutto all’estrema destra; l’Ue è divenuta estremamente impopolare nell’opinione pubblica (secondo le rilevazioni di Eurobarometro soltanto il 30% degli europei «sostiene» l’Ue, contro il 60% del periodo pre-crisi); la natura della consultazione, infine, appare priva di incidenza nazionale diretta, favorendo non solo l’astensionismo (dal 1979 al 2009 i votanti sono crollati dal 62% al 43%), ma anche il voto in favore di formazioni antisistema. Esistono in realtà anche interpretazioni meno catastrofiste. Osservando i risultati elettorali dell’ultimo decennio emerge infatti come soltanto 10 partiti di estrema destra su 28 abbiano incrementato i consensi. Il politologo olandese Cass Mudde ha stimato recentemente come alle prossime europee soltanto 12 formazioni di estrema destra su 28 dovrebbero ottenere rappresentanza, con appena 34 deputati eletti (4% dell’emiciclo).

Al di là delle previsioni, tre dati di fatto appaiono innegabili. In primo luogo, le formazioni di estrema destra, ideologicamente piuttosto eterogenee, dal primo incontro dello scorso novembre a Vienna (tra i rappresentanti di FPÖ, FN francese, Lega nord, Democratici svedesi, Vlaams Belang belga e SNS slovacco) stanno moltiplicando gli sforzi in vista della costituzione di un gruppo parlamentare comune che, negli auspici dei proponenti, dovrebbe costituire la “terza forza” del nuovo Parlamento. Nel corso degli ultimi anni, oltretutto, sull’onda della crisi, si è progressivamente affermata una galassia di formazioni non classificabili secondo la tradizionale linea di frattura destra-sinistra, ma più genericamente assimilate alla nebulosa “populista”, che tuttavia fanno dell’euroscetticismo uno dei principali cavalli di battaglia (è il caso del Movimento 5 Stelle, dei Veri Finlandesi, dell’Alternativa per la Germania o dell’Ukip).

Occorre infine considerare la drammatica crisi di consensi del progetto europeo, che negli ultimi decenni ha inesorabilmente perso alcuni parametri di legittimazione che ne avevano accompagnato la nascita e lo sviluppo: quello politico (costruire un solido argine anticomunista), quello militare (restare protetti sotto l’ombrello americano) e quello storico (la riconciliazione franco-tedesca), trovandosi ancorato all’ultima ragion d’essere ancora attuale, quella economica, fondata sull’obiettivo del raggiungimento di un benessere diffuso, proprio nel momento in cui quest’ultimo è parso minacciato da una feroce competizione internazionale e dallo sgretolamento dei generosi sistemi di Welfare ereditati dal dopoguerra. L’impressione è che se l’Ue non troverà a breve nuovi potenti motori di legittimazione finirà per essere travolta dal disincanto democratico che attualmente fornisce un combustibile determinante per i movimenti populisti di ogni colore che proliferano sul Vecchio continente.

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