Categoria : storia

“Chiaramonti” di Vittorio Angius dal Dizionario di Goffredo Casalis (1833-1856)

castello lettereCHIARAMONTI: antico castello, e borgo  della Sardegna nel dip. D’Anglona del Logudoro, oggi compreso nel distretto di Nulvi della provincia di Sassari.

La sua situazione è in luogo sovraeminente  tutta l’Anglona, e di vastissimo orizzonte, dove si giace in una concavità tra le punte di S. Matteo, di Codina rasa e del Carmine, senza però che vi patisca umidità di sorta. Il clima è forse non poco incostante per li venti che vi agiscono spesso e violentemente; i fulmini non rari, né sempre innocenti; le piogge nell’autunno e inverno non desiderate, e in quest’ultima stagione frequenti le nevi. L’aria dovria tenersi salubre in ogni parte dell’anno; tuttavolta dalla frequentazione de’ letamai ella mescolata di alquanta malignità, cui per l’addietro raddoppiarono altre impurità dalla corruzione dei cadaveri sotto il pavimento della chiesa, dalle cui fessure esalava un grandissimo odore a contata molestia de’ divoti, che accadea spesso non volenti sospinti in fuori a ravivar gli spiriti.

Le vie anzi sentieri al borgo da qualunque parte salgasi, sono difficilissime e assai ripide per alcuni tratti, e per molti coperte dalle lussureggianti siepi, che se gradite nelle ore estive sono spaventevoli di notte non tanto perché sotto quell’ingombro accecasi il viaggiatore, quanto per la comodità a’ scellerati di poter fare dall’alto e improvvisamente e impunemente i colpi.

Componesi questa villa di circa 390 case separate in molti gruppi da strade poco regolari, delle tre sono principali e molto frequentate. Ne’ dì festivi è gran riunione in sulla piazza, che dicono su salone dove i giovani prendonsi diletto nelle danze all’armonia di quattro voci, che ripetono le canzoni dei poeti Logudoresi.

Professioni. Le principali sono l’agricoltura e la pastorizia. Vedrai come la prima va sempre più prevalendo sulla seconda da questo che a quella sono applicate più di quattrocento persone, a questa circa 300. Su che onde non si concepiscan idee false, convien sapere che di quel numero di agricoltori forse la metà manca di buoi, e quindi o lavora negli altrui campi a conto altrui, o a proprio semina quei tratti di terra che potè dissodare; e sono pochissimi fra quei che diconsi pastori che abbiano suoi gli armenti, e però gli altri o custodiscono roba  raccomandata, o servono subalterni, o travagliano a legnare, o, come usano i meno onesti e più infingardi, vagano a trovar più fortuna, che è ad altri diminuzione o sventura. Nelle arti meccaniche non si affaticano meno di cento persone, i quali servono ai bisogni della gente del luogo e delle vicine. La comune arte donnesca della tessitura è pochissimo esercitata, non adoperandosi più di 50 telai. Non so di quali altre cose lavorino.

Istruzione elementare. Questa è la sola che siavi istituita, ma così poco frequentata, che forse non vi interviene che un trentesimo di quanti dovriano. I genitori lasciano nella profonda ignoranza dell’utile che viene sempre dall’istruzione e dall’educazione, perché dai medesimi è proposto al meschino profitto che hanno dai fascetti di legna che quei teneri non atti ancora a’ lavoro che esigon membra robuste, possan vagando tuttodì accorre.

Popolazione. Consta questa (anno 1835) di anime 2100, i famiglie 385. Avvengono per anno matrimoni 30, nascite 80, morti 60. Le ordinarie malattie sono le periodiche e i dolori laterali, onde è di inverno gran mortalità, massime da che fu quasi generale il disuso del coretto. L’ordinario corso della vita può  limitarsi all’anno sessantesimo della età, quantunque non siano rari gli esempi d’una lunga vita maggiore in persone temperanti, e che si sanno con lentiche vesti sarde ben munire contro i tradimenti atmosferici, selice così dire.

Costumanze. Nella celebrazione delle nozze andando alla benedizione sacramentale usano gli uomini di questo luogo, siccome quelli di non occhi altri, di offrire al paroco entro un canestrino alcuni pani di semola,una guastaduzza di vino e due candele di cera. Gli sposi o vadano in chiesa o ne ritornino, nomai si omette verso loro la Deiscia versandosi sopra i medesimi grano,orzo e fiori; congratulazioni e augurio felice.

Messe novelle. In simil occorrenze il neo-sacerdote vestito di cotta, stola e berretta, accompagnato da un padrino e da una madrina con grandissimo codazzo, e suonando a festa tutele campane, portasi nella chiesa. Questa riempiesi di gente devota, e di tutti quelli ai quali certe strane opinioni si appigliarono sopra la virtù delle messe novelle. All’offertorio è un movimento generale e affollansi tutti all’altare. Baciato il manipolo del celebrante depongono delle limosine nella preparata sottocoppa. Ritornasi in casa nell’istessa forma,e si istruiscono grandi mense a sontuoso convito. Intanto in quella casa beata confluisce il bene da tutte le parti, che si onora ciascuno di contestare coi doni che possa la sua religione e gioja. Ivi vedrai scelti capi vivi d’ogni specie di bestiame, e morti della età più tenera; caccia di grosso selvaggiume e di volatili; molte misure di grano, orzo, fave, civaie; canestri di pane bianchissimo lavorato con arte studiosissima e dipinto; di frutta scelte, e non pochi vasi di vini squisiti, ecc. ecc.

Veglia alle puerpere. Nella nascita de’ primogeniti quando venga la notte le parentele e le aderenze si congiungono appo la puerpera, e dopo uno splendido banchetto passano all’altre ore sino a giorno in gioja tra suoni, canti e balli. Come comparisca il sole si distribuisce alcune vivande del convito alle famiglie del vicinato.

Compianto. A una morte violenta i primi consanguinei si affrettano al luogo dove giaccia l’interfetto, vi spiegano il loro dolore con crudeli ingiurie e danni alla propria persona, e tra gli ululati delle femmine, le strida della o madre o sposa, il ringhiamento feroce ei giuramenti di vendetta degli uomini, tutti scapigliati, insanguinati, squallenti trasportano il cadavere in casa. Le cantatrici come prima sia composto l’esangue sono pronte alle solite nenie. Le quali non si trascurano mai qualunque sia lo stato della persona.

Funerali. I parenti vi intervengono accompagnati da’ loro amici, e compito il divino ufficio le persone del clero li reducono alla mesta stanza, e quivi loro dicono alcune sante parole per ristorare i cori con dolce consolazione e domar gli animi alla rassegnazione. Nel giorno settimo, trentesimo e anniversario ritornano alla chiesa a rinnovare i suffragi, e così come erasi fatto nel di del seppellimento, vannovi preceduti da una fanciulla con  in su la testa un vasetto da fuoco a bruciar incensi o a’ piedi del defunto,o sopra la pietra della tomba.

 Religione verso i defunti. Nella commemorazione dei fedeli trapassati vige la pratica già notata nell’art. Bonorva. In quel giorno si fa a’ poveri distribuzione di pane, grano, carne, limosina che dicono Cocces.

Singolari superstizioni. Ricorrendo la festa del santissimo Corpo di Cristo in quelle cose ove tra l’anno sia morta alcune persona, si risuscita la mestizia, e tutto componesi al duolo. Quindi come  il passaggio delle devote schiere preparasi in mezza la stanza una tavola con tovaglia bianca, e in su questa pongonsi alcune brace dove fumi d’incenso tra quattro candele di cera, o, come usano altri, delle fave cotte entro una scodella tra due zoccoletti. Intorno alla quale la famiglia piange e prega per l’anima del defunto, principalmente quando dalla racchiusa porta veggan passar il Santissimo. I questo punto si è, che coloro che deplorano estinto alcun parente per mano del nemico osano con ferocità gemendo spiegar pretese di vendetta! Tale spirito di cristianesimo è in essi! Comechè detestabilissima sia questa empietà, essa non è scandalosa, quanto l’altra che veggente il mondo praticano alcuni giovani tra la solennità della stessa religiosissima processione. I quali come esca dalla chiesa il sacerdote col Sacramento corrono per la prima strada, per dove ei passerà, e fermansi sinchè il sacerdote arrivi a quel punto. Vedutolo appresso corron per la seconda strada, e così per nove volte per nove diverse strade, nell’ultima delle quali prima che su loro arrivi il Santissimo saran degnati di prodigiose visioni. Imperocché tengon per cosa certa che vedranno passare le ombre di coloro che sono vivi, ma devon morire entro l’anno, e pure la propria se sia vicino il loro ultimo giorno, e in tutti i segni e gli indizi della morte qual ella siasi. Furono uomini di fantasia assai vivace e buona pittrice che nell’ultima stazione caddero senza sentimento compresi da profondo orrore. Il che, come né pure la comminazione del carcere, niente è valuto a spaventarli da siffatta empia pratica. Credesi nella jettatura. Il canto del callo sulla prima notte è avviso che s’introduce nel villaggio carne di bestiame rubato a’ preti. La volpe che entri di notte e guaisca portende la vicina morte di alcuno presso cui passi, e tante altre cose più sciocche, che non stanno se non nel difetto di istruzione.

Parrocchia. In altri tempi era, come sono ancora le altre dell’Anglona, contenuta nella giurisdizione ampuriense; in questi si annumera all’arcivescovo torritano. La cura delle anime è commessa ad un vicario, il quale chiama due o tre altri preti in parte della sua sollecitudine.

La chiesa principale è intitolata dall’apostolo s. Matteo, dove niente è a commentare.

Chiese figliali. Tra e presso le case sono; gli oratorii uno di s. Croce e uno del santissimo Rosario, nei quali fanno i divini uffizi due confraternite; e la chiesa del Carmine presso il convento di tale ordine abitato da pochi frati.

Le chiese campestri oggi sono ridotte a poche, s. Giovanni Battista, la N. D. che dicono s. Maria de Aidos, s. Maria Maddalena, che fra l’altre è distinta per la sua struttura, e si crede parrocchiale della deserta villa di Orria-piccinna; ultima s. Giusta. Questa trovasi a piè del monte Ledda in un seno di molta amenità, dove fra una bell’ombra da molti pioppi serpeggia il ruscello, e sorgono bellissime acque; delle quali una presso la chiesa, altre due in una cavernetta sotto l’altare, dando la armadi queste poc’acqua untuosa, l’altra molta ed ottima ad un canale per sotto il pavimento che la versa di fuori. Nella circostanza sono delle abitazioni pel romito, e per le persone distinte che convengono alle due feste, una intorno alla metà di maggio nella domenica più prossima; l’altra nella terza di ottobre, alla quale concorresi dall’Anglona, dal Montacuto, da Figulina, Montes e altri dipartimenti, dalla metà di settembre a tutto ottobre essendo continuo passaggio di Montacutesi a s. Vittoria d’Osilo, e i medesimi soliti di pernottare presso questa chiesa accade che vi si faccia gran festa, partecipandovi la gioventù chiaramontese. Anche in altre stagioni questo sito è animato da frequenti compagnie di gente devota o allegra che vengovi o a religione o a piacere.

Restano dell’altre antiche chiese le vestigie con la memoria del santo che vi si invocava, ed eran quest’esse: s.Sisto, s.Vittoria, s. Caterina, s. Salvatore dove dicesi fosse un monisterio di Benedettini, e prossimamente s. Pietro, dove credesi siano conservati i corpi de’ ss. mm. Arcado e Coripido. In fine s. Lorenzo, s. Nicolò, e s. Giusta presso Runaghe longu. V. il Gazzano storia della Sardegna1. II c. XII dove è la donazione delle chiese di s. Maria e di s.Giusta di Orria pitinna per Maria de Thori zia del giudice di Logudoro Comida (an. 1210) a s. Salvatore de’ Camaldoli in mani del prior maggior Donno Martino con l’aggiunta di tutte le loro pertinenze servi, ancelle, case, salti, vigne ecc. Supponesi che il s. Salvatore di cui è menzione sia la chiesa sunnotata.

Agricoltura. Il territorio di Chiaramonti cresciuto con quello che era già di Bisarcio presenta un’area sufficiente per lo meno a una popolazione quadrupla. La coltivazione va meravigliosamente dilatandosi, e pare debba poscia non poco crescere. Crescesse parimente la cognizione dell’arte, e si prendessero migliori metodi, si adottassero nuovi utili in strumenti, si riformassero i già usati, e si desse opera  a quelle altre parti di cultura che promettono più certo lucro.

In argomento de’ rapidissimi progressi dell’agricoltura vedi il numero de’ gioghi che s’impiegavano nel 1812, e quanti presentemente. In quello non erano più di 60, in questo (1834) forse più di 275, e si seminarono starelli di grano 1400, d’orzo 200, di granone 20, di fave 140, di ceci 70, di fagioli che dicon cornuti 40, di veccia 30, di lenticchie 35, di fagioli moreschi e piselli 20, di lino? La moltiplicazione non è considerevole; di che non si accagioni la natura delle terre, ma piuttosto lapoca perizia per mancanza di esperienza che finora fu l’unica maestra degli agricoltori sardi, siccome degli uomini posti in egual condizione di cose. Dai cereali ottiensi il 5, dai legumi l’8, e si raccoglie circa 100 cantara di vino. Negli orti coltivansi finocchio, pietrosello, cipolle, porro, ravanelli, rape, appaio, aglio, bietola, cavoli, lattughe, citriuoli, cocomeri, poponi, zucche, pomidoro, carciofi. Alcune felici esperienze si fecero sul cotone; ma niuno impresene finora la coltivazione.

Le vigne sono felicissime sulla falda, e nelle vallette del monte contro austro elevante. Le viti dell’uva bianca sono distinte in diciassette varietà, della nera in 12, della rossa in 2. i vini hanno fama di bontà; ed è tanto la loro qualità che se ne può e suole somministrare ai vicini villaggi. Cuocesi assai di mosto per sappa, e se ne brucia non poco per acquavite.

Piante fruttifere. Prugni di varietà 14, peri di 40, pomi di 16, fichi di 16, peschi di 6, e altre tredici specie, ciliegi, noci, castagni, mandorli ecc. ecc. grandissimo è il numero degli individui; onde tanta la copia delle frutta, che fattane non piccola parte alle genti d’Anglona, ne resta assai per ingrassare i majali.

Tanche. Più della metà del territojo è chiusa, ma di questa estensione appena un terzo appartiene a proprietari chiaramontesi. Di esse sono 62 che si coltivano, e 250 che si lasciano per la pastura del bestiame manso e rude. Le più di queste hanno quercie, lecci, soveri, delle quali specie sono non rare le piante di si gran diametro che una catena di tre o quattro uomini toccatisi di lontano non sempre eguagline la circonferenza.

Monte Sassu. Giace quindi proteso ai monti di Limbara più largo che eminente, presentando un dorso che pare poco difficile. Grandissima parte del ghiandifero è sulle sue pendici, e la schiena quivi pure prevalendo di numero la specie de’ lecci. Tra esse ritroverai frequentissimi gli olivastri. Vuolsi che queste selve ricoprano una superficie di circa 40 miglie quadrate; le quali se sieno per tutti i luoghi egualmente folte non so a quanti milioni possa ammontare la somma delle piante.

Senza questa del Sassu sono nel chiaramontese altre considerevoli eminenze, quali di più, quali di meno vasto orizzonte, e sono nominate Monte Ozastru, Cachile, Montardu, Elighia ecc.

Questi luoghi boscosi sono stato in ogni tempo il nido de più scellerati, e in alcuni siti sono tuttora durevoli le memorie funeste de’ loro delitti, e del disperato loro valore. E’ nobile sopra gli altri il castello di Oloitti, rupi così dette per la loro forma e per ,lo scoscendimento de’ fianchi, dove nel secondo quarto del secolo scorso riparatasi spesso il famoso bandito Giovanni Fay, di cui ti darò poi qualche contezza. Dicesi che a piccolo intervallo del fiumicello che lambe quelle ime rupi sia indizio d’un vulcanetto in un continuo fumo che spira da piccole fauci. Si è pure preteso sia in queste regioni un minerale di carbone fossile ( che certamente scambiano la lignite o antracite) e si possa trovare del ferro. Tra le terre vantasi certa specie di color verdiccio e di un grave odor di zolfo, onde si trarrebbe del salnitro, e altre di cui volessero lavorare li vasai.

Pastorizia. Nel 1834 erravano in questo i pascoli armenti di cavalle 14, nella comune di capi 30, di vacche 30 nella com. di 110: le capre in 12 greggie di 80; le pecore in 125 greg. di 250; i porci in 13 greg. di 50, in totale, non comprensivi i giumenti e i cavalli di servigio, capi 36,580. da questo conto sottratta le parti spettanti a proprietari stranieri, testa ai Chiaramontesi nel rude vacche 300, pecore 3000, capre 1000, porci 800, cavalle 100, nel manso buoi 550, cavalli 80, vacche 150, maiali 200.

I formaggi sono ben riputati, e venduti  annualmente a Castelsardo  e a Sassari nella quantità di circa 325 cantare. Potrebbesi lucrare il doppio se la metà del latte non si consumasse a nutrimento delle famiglie pastorali.

Stazi. In alcune capanne formate a cono, od in casolari sparsi qua e là per le varie cussorgie di questo territorio siedono da 150 famiglie, nelle quali si numerano circa 800 anime. Sono questi dalla vicina Gallura, ne adoperano il linguaggio e le maniere, e in tutto si assomigliano ai pastori stanziati nella parte occidentale della medesima.

Selvagiume. Troverai cervi, daini, cinghiali, volpi, lepri, gatti, martore. Più dell’altre è moltiplicata la generazione de’ cinghiali, e delle lepri. Tra le specie volatili è grandissima copia di pernici, tortorelle, merli.

Acque. Si conoscono non meno di 300 sorgenti, e le più di acque salubri; come sono certamente le somministrate al popolo delle due fonti una a tramontana, altra a ponente del villaggio, e quelle che si attingono da vene sotterranee. Da tanto numero esistono circa 45 ruscelli, e da essi i fiumi di s. Pietro, Puligosu, Cannarza, e Baduolta, d’altri appellato Perachi. Esso nasce da Monte Ledda nella linea di lucana di questo e del Ploaghese, entra nella vidazzone di Orria-piccinna, scorre verso Orria-manna, regione nulvese, quindi voltosi contro levante nella gran valle dell’Anglona si mescola al fiume Coghinas.

 Antichità. Sono a levante in distanza d’un quarto le vestigia dell’antica popolazione di s. Giuliano; sulla tramontana a mezz’ora quelle dell’Ervanana; sul ponente e circa quelle di s. Lorenzo, di Orria-piccinna, di Giulia a diversi intervalli. Credonsi disertate dalle pestilenze ne’ secoli XIII e XIV.

Norachi. In area cotanto vasta fu chi ne annoverasse 150, dei quali moltissimi in gran parte demoliti, altri di poco scemati. I più hanno l’entrata assai bassa, e in vicinanza una sorgente. Dentro trovaronsi alcuni istrumenti di rame, e aggiungensi, grandi ossa.!!

Questo comune fa parte del principato di Anglona. Vedi quest’art. i chiaramontesi molto si gloriano che sia nato fra loro nell’anno 1743 il general di Villamarina D. Giacomo Pes, già luogotente generale del regno. V. il Caboni ne’ suoi ritratti poetico-storici di alcuni sardi moderni.

Notizie del famoso Giovanni Fay di Chiaramente. Questi in età di 15 anni per omicidio commesso dentro Nulvi in complicità di suo fratello Antonio fu dannato nel capo,e in sua contumacia esposto alla pubblica vendetta. Non valse mai nessun’arte o forza a coglierlo ed opprimerlo, e solo un tradimento, che pure sospettò, lo tolse di vita nell’anno settantacinquesimo di sua età, e forse altro e tanto del secolo scorso. Tra questa pubblica persecuzione ei contrasse matrimonio con Chiara figlia di Francesco Unali capo di squadriglie, ed ebbeno Leonardo, Antonio, Catterina, Leonarda, Mattea. Le donne si distinguevano per bellissime forme, grazie, e spirito; gli uomini per un aspetto virile per coraggio e destrezza. Il primo fu ordinato prete, ma ritraendo quando l’altro fratello assai dal padre meritò che il governo lui spesso da un luogo in un altro sospingesse a esilio. Chiara degna madre di questi figli, degna sposa del Fay, emola de’ più forti, ed altrettanto coraggiosa quanto la nobile D. Lucia Tedde-Delitala ne’ massimi pericoli in cui trovossi il suo Giovanni così sapeva maneggiare le armi, che gli era spesso e difesa e utilissimo ausilio. Pari al valore fu in lei conosciuta la prudenza, la quale spesse volte e lui e suoi satelliti traeva da luoghi e lacci di perdizione con stupore dei nemici. Concorsi or dunque intorno a Fay quanti in quella e nelle vicine contrade erravano diffidenti della giustizia, ei che tutti superava per robustezza, animo e destrezza d’ingegno otteneva facilmente un assoluto impero sui medesimi. Però a lui temuto da tutte le genti d’intorno, i pastori offerivano tutti gli anni tai dono che avean certa sembianza di prestazioni baronali: i barracelli facevano parte de’ loro guadagni, e tutti i più ricchi proprietari gratificavano. In queste maniere egli cominciò a formarsi una gran fortuna, che aumentava con frequenti rapine. E perché accadesse che il fisco un giorno si impadronisse di queste sostanze mal acquistate segnava le greggie e gli armenti col nome del figlio sacerdote. Con le quali violenze che nuocevano ai diritti dell’altrui proprietà  erano altre più crudeli che nocevano alla sicurezza delle persone; onde temevasi in lui il ladrone e l’omicida. Tuttavolta cotanta malignità non era senza mistura di bene, e spesso comparendo tutt’altro che era, così operava e parlava che fosse in lui ammirata la generosità, al fede, la urbanità. Molti che da lui fuggendo in lui incognito eransi incontrati, e seco di lui dicevano tutto il male che sapevano, ritornando indietro dopo averlo riconosciuto ne diventavano affettuosi lodatori. Lo stesso duca di s. Pietro caduto fra le sue genti fu dipoi tanto grato alle di lui cortesie, che avrebbegli ottenuta la libertà se l’avesse potuto indurre a lasciare in balia di loro trista sorte i suoi seguaci. Molte oneste persone tolse il medesimo da gravi pericoli, e non temè però di provocar contro se l’odio e le armi di altri capi di squadriglie rintuzzando l’audacia de’ più scellerati di loro satellizio.

In alleanza con la potente fazione de’ Delitala di Nulvi, uomini avversi al governo dei reali di Savoja, e da esterni consigli e ausili incitati e rafforzati a inquietare i regi ufficiali;   rispettato da conterrazzani, il Fay e aveva sicuri asili, e bene come difendersi dalle persecuzioni del governo, e dalle aggressioni de’ suoi nemici; onde vivea con certa sicurezza. Ma poiché per fare cosa grata a D. Lucia Tedde-Delitala(1) [1]ebbe ucciso certo Giovanni Maria Tedde di Chiaramonti, da una lunga serie di affanni si cominciò a conturbar sua vita, e venne spesso tra terribili pericoli. Sorse contro di lui lo zio dell’estinto Antonio (Tedde) con quanti uomini forti erano di sua parentela, e sebbene nelle prime zuffe perdesse tutte le persone più care ei non si smarrì e fiero si tenne in su le difese fin a tanto che due fratelli, accresciutasegli l’autorità di commissario contro i malviventi, e rinforzatosi con armati dell’Anglona e spesso con soldatessa ritornò in sul fargli mali giuochi e potè scemarlo di molta gente, parte uccidendone, parte sottoponendola alla pubblica vendetta. La superbia del Fay sarebbe stata infine conculcata se più a lungo avesse durato il governo del V. Re Rivarolo. Partito costui siccome di molto si diminuirono le forze del suo terribile avversario, così di molto si accrebbe la sua animosità alla risuscitantesi audacia de’ Delitala. Con i quali scorreva le campagne, invadeva le popolazioni, imponeva delle tasse, ed osò pure, entrato nel grosso villaggio di Bonorva, domandare dal sindaco quel trattamento e quei vantaggi che godevano le truppe regie. In ritornando ne’ suoi monti incontratosi sotto Montesanto in una compagnia di dragoni, che da Ozieri in Sassari trasportavano i denari pubblici, i miseri barbaramente massacrati li spogliava di tutto. Da questi trascorse a delitti politici, e in Chiaramente perorò pubblicamente perché il popolo non contribuisse più al regio erario. Al quale esso non più tenendosi il Tedde, in fretta ragunati alcuni suoi fidi si precipitava sopra lui ancora sfiatatesi nei mali consigli. La pugna fu spaventosa e mortale, ed essendo le forze quasi in eguaglianza si stette per tre giorni contendendo, dopo i quali veduto il Fay di non poter resistere si evase al monte, e soffrì che dal Tedde si facessero prigioni molti de’ suoi col cognato Unali, e si mandassero in Sassari al tormento delle roventi tenaglie, alla evulsione della lingua, e alla morte più crudele e infame. Non tardò il vincitore ad accrescere i di lui affanni l’angustie dei pericoli, andò a ricercarlo tra i monti, e nel sito di Chirralza lo potè circondare con sue genti. Stringerlo, ma poco potè guadagnare su anime disperate. In questo veduto cadere in suo fianco il fratello colpito da sua palla del Bazzan così s’infiammò nel furore, e così incese i suoi, che presto i nemici furono all’estremo. Il Fay malamente ferito nel braccio dallo schioppo del Tedde volle allora uscirsene inosservato dal bosco e salvar se con la moglie e con una pargoletta. Mentre spiava i luoghi più oscuri, e procedeva in gran silenzio, la Mattea si cominciò a dolere coi vagiti, si tostò l’ira acciecavalo, e tratto il pugnale già vibrava il colpo che saria penetrato anche nella sposa. La quale trattenuto fortemente il grave braccio vietava il parricidio, e quindi così lo seppe sollevare dalla disperazione, che certo di riuscire a lieto fine si accomodò a di lei consigli. Secondo i quali ritornato alquanto indietro così distribuì li suoi combattenti, che il Tedde nel timore di vedersi da una parte soppraffato sguarnì l’opposta, e diede ampio varco al nemico. Si fece non di meno gran macello de’ banditi, e quando spossato dalle ferite cadde il Bazzan che governava la pugna dovettero i superstiti arrendersi a discrezione. Dopo tale infortunio credevasi il Fay ridotto a niente, ma con meraviglia di tutti fra poco ricomparve in campo con più genti, essendosi a lui aggiunta la fazione dei Delitala. Con cui dopo altre scellerate imprese osò rubare dal prato di Ploaghe intero l’armento de’ buoi domiti in numero di 800 capi. Perché il V. R. cavaliere di Valguarnera così si commosse, che ordinava una formale spedizione. Duemila nazionali parte dell’Anglona comandati dal Tedde, parte della Gallura governati dall’altro commissario D. Giovanni Valentino, e quattrocento soldati sotto la condotta del cav. Mejer marciarono contro lui, che andò a porsi sul monte Cuccaro di Gallura nel territorio Agiese non lungi dal porto dell’isola Rossa. Il Mejer volle avventarsene di fronte, come usasi contro milizie regolari, ma fu respinto con danno, e dove ridursi ad un semplice assedio secondo il consiglio de’ due capi nazionali. La ciurmaglia stimandosi meglio che era, tenea spiegata sul monte una bandiera bicolore verde-turchina, e sicuri della fortezza del luogo cantavano e ballavano,e facevano conviti, veggenti gli assediatori. Tra le quali feste tuttavia pensava seriamente il Fay come sottrar sue genti dal pericolo.e presto partito in una conferenza col Delitala nella notte quinta da che era stretto dai nemici tacito si mosse verso quella parte, dove seppe che era la schiera dei ploaghesi, domandò di voler passare, e non che li sperimentasse così terribili come si erano promessi, li conobbe arrendevoli e cortesi, o l’ammirazione o il timore avesse in lor cuori operato. Quindi si tosto come potè, navigava in Corsica con la maggiore parte dei suoi in compagnia de’ Delitala; e gli assediatori si rivolsero indietro nelle lor case con poco onore. Ritornato nel continente il Fay di rientrare nella famiglia, ma non ardì prima che alcuni mediatori inducesse il Tedde al giuramento di pace, che ebbe a condizione che non gli si affacciasse mai. Non visse meglio di prima, e guadagnatosi non so con quai mezzi l’affetto e il fervore di uno degli assessori della real governazione di Sassari (Aragonez) e accarezzato sempre da lui che entrava in città vestito da cappuccino (come usan fare questi scellerati barbuti) poteva avere certi avvisi di tutto ciò che il governo tentasse contro di lui. Epperò accadde più volte che esso con tutta la comitiva si avvicinasse alle porte per insultare al governatore quando già verso altra parte erano andate le truppe ad assalirlo. Infine dopo molti infelici tentativi il governatore marchese Alli Maccarani ottenne per mezzo di due banditi sassaresi che erano nelle squadriglie del Fay di liberare il Logudoro da tanto fastidio. I quali caduti in sospetto vedendo imminente la morte, con lagrime e spergiuri protestarono la loro fede, e con tutte le arti ottennero di togliere i dubbi dall’animo del loro temuto capo. Bevve il Fay del vino che essi avean portato seco, e cadde tosto in un profondo sonno e vittima sotto una scure con gli altri che quel liquore fatturato avea offesi. I cadaveri furono strascinati per le strade di Sassari, poi divise le membra, ed a terrore affisse in vari luoghi, ed uno posto in Chiaramonti di contro alla casa del Fay. Nel quale funestissimo fatto fu ammirabile la forza del core nella vedova e nelle misere figlie. Tale fu la fine questo famoso capo di squadriglie.

Castello di Chiaramonti. Sebbene la eminenza dove sorge la parrocchiale di s. Matteo non fosse de’ più difficili ed aspri siti, era non perciò una bellissima posizione. E vi fu edificato un castello, e probabilmente dei Doria, quando in sul risolversi del regno logudorese ei si impadronivano della curatoria di Guisarchio, di altre regioni, e vi si fortificavano. La sovrapposizione della chiesa sopra parte dell’area che chiudevasi in questa rocca non ci consente di ravvisarne la giusta iconografia; non pertanto ci sono tali vestigie che arguiscono la sua robustezza e la capacità. Sta ancora tutta intera una torre, perché fattasi servire a campanile; sono di un’altra visibili alcune parti, ed è qualche vestigio delle mura, tra le quali la cisterna scavata nella roccia.

I Doria in pena della loro ribellione al re di Aragona furono nel 1348 abbattuti da questa fortezza per Rambaldo di Corbera ausiliato dalle genti arborensi. Due anni dopo essendosi alcuni di questa famiglia riattaccati alla parte regia fu a’ medesimi confermato il feudo di Chiaramonti con le curatorie di Guisarchio e di Anglona. V. lo Zurita all’anno 1350. nella pace del 1355 tra il giudice di Arborea e il re D. Pietro si conveniva che questo castello cui tenevano alcuni Doria fosse consegnato all’arcivescovo d’Arborea e in lui rispettato finchè il papa decidesse il litigio. Nel 1357 fu dato a Brancaleone Doria con la città di Guisarchio, e gli altri feudi della famiglia.


[1] Di questa donna fa menzione il baron Manno c. XIII all’anno 1735. Costei nel combattimento durato per tre giorni in Chiaramonti tra il Tedde e il Fay (di cui sotto) così operava valorosamente, che sostenevi le prime parti, e molti uccise. Era intanto dispregiatrice delle femmine, le quali troppo studiosamente si attillavano e vestivano come non conveniva alla loro condizione; che non temperatasi dall’onte anche nella chiesa, e con forbici guastavane le robe. Dopo molte ferire da lei inferte a’ suoi nemici, e molte uccisioni, venne finalmente il suo tristo fine, e per tradimento della cameriera fu strangolata nel proprio letto. Il suo cappellano, tra cui, e il Carmine, e i Gesuiti ella volle divisi i beni, volendo scoprire gli autori della morte di sua benefattrice cadeva estinto da tre schioppi.

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.