Categoria : narrativa

IL PROFUMO DEGLI ASFODELI (romanzo) DI ANTONIO LEDDA

  Antonio Ledda, Il profumo degli asfodeli, Tas, Sassari 2006, pp. 125

Unknown-5L’autore nel rispetto della legge sulla privacy ha evitato la citazione di nomi e di fatti che possano in qualunque modo favorire il riconoscimento di persone luoghi e avvenimenti. Poiché è possibile e in alcuni casi probabile che esistano persone reali con lo stesso nome e negli stessi luoghi e alcune caratterristiche dei personaggi di questo romanzo. L’autore assicura che si tratta di pura coincidenza: non è di loro che si racconta qui. La pubblicazione in questo blog avviene con l’autorizzazione dell’autore.

Presentazione  di Angelino Tedde

La vena narrativa di Antonio Ledda non si è esaurita con la sua terza opera Le ali della memoria (2005) nella quale era gradualmente passato dall’autobiografismo al vero e proprio romanzo.

In questa sua ultima fatica la sua vena narrativa si libera e costruisce una ben congegnata storia d’amore dove sarebbe inutile ricercare qualsiasi riferimento autobiografico.

L’autore in questo romanzo racconta con autentica vena sentimentale e spesso poetica la storia degli amori giovanili del protagonista Giovanni Ruiu, anzi soprattutto l’indimenticabile storia d’amore per Lidia, donna appassionata che dopo un primo breve e meraviglioso incontro col protagonista scompare lasciando nel giovane una nostalgia struggente.

A questo punto le vicende dei due principali protagonisti si svolgono in direzioni diverse.

Lei è costretta dai genitori a unirsi in matrimonio con un brav’uomo che le garantisce sicurezza e decoro sociale, ma le toglie l’entusiasmo del cuore.

Il protagonista, d’altra parte, preso dalla sua carriera scolastica, pensa con rimpianto a quell’amore tanto breve quanto coinvolgente trovato e perduto così in fretta e non avrebbe certo immaginato che cosa gli teneva in serbo la sorte.

Passano gli anni, Lidia, ormai sposa e madre di un bambino, conduce una vita scialba e senza grandi passioni, Giovanni, ancora scapolo, segue il ciclo della sua carriera scolastica in una città nella quale non avrebbe mai immmagino di incontrare l’amore perduto.

La donna, accompagnando a scuola l’unico figlio, ha la sorpresa di incontrare tra gl’insegnanti Giovanni.

Fra i due si riaccende quell’ardente passione d’amore che sembrava spenta per sempre dopo il meraviglioso primo incontro.

Le vicende tra i due riprendono in un contesto naturale dove il paesaggio, il mare, il cielo paiono rendersi complici di una nuova indimenticabile stagione d’amore.

Gl’incontri furtivi, le occasioni propizie, la complicità della natura, il contesto sociale favoriscono questa passione incontrollabile e proibita, nonostante affiorino rimorsi e pentimenti da parte di lui che spesso, dopo i buoni propositi, si lascia travolgere dalla passione.

Un evento propizio alla carriera di Giovanni sarà risolutiva della storia d’amore.

Il romanzo lo si legge d’un fiato con interesse e curiosità alla ricerca di vedere come la storia volverà.

La scrittura è leggera e tersa, la sintonia dei due amanti col paesaggio è armonica.

Il lessico è in sintonia coi sentimenti e col racconto.

Si può ben affermare che l’autore ha abbandonato per sempre quello stile asciutto dei suoi precedenti scritti per immergersi nei palpiti del cuore e del mondo che lo circonda.

I. Il volo delle cicogne

Giovanni Ruiu trascorse i primi anni della sua fanciullezza nei pressi di una tenuta non lontano dalla città le cui luci riverberavano nella notte solo un pallido riflesso, così l’agitazione e il movimento dell’attività urbana sembravano evanescenti e lontani in quell’ambiente naturale e sereno.

Quel mondo egli lo rivisse trasfigurandolo ingenuamente, ma anche osservandolo nelle sue molteplici manifestazioni. Vide così con occhi incantati la mutevole luminosità del giorno, contemplò la bellezza della notte che lentamente schiariva nel fresco brivido dell’alba, mentre bagliori dorati invadevano il cielo di una purezza di madreperla. Sperimentò gli effetti dei raggi del sole estivo che ogni giorno per diverse ore bruciavano la terra e abbagliavano la vista.

Ammirò lo splendore roseo che restava sull’orizzonte subito dopo il tramonto del sole, che dopo un po’ si trasformava in un grigio che si perdeva nell’aria. Constatò il rinnovarsi della vita dopo la pausa invernale, osservando le piante che si riempivano di foglie e di fiori, gli insetti che invadevano la terra e l’aria e gli animali che accoppiandosi perpetuavano la loro specie. Non riuscì però a spiegarsi il mistero della nascita degli esseri umani. Le risposte alle sue domande di genitori e parenti erano sempre le stesse: “I bambini nascono per volere di Dio, il quale li fa trovare ai bravi genitori o sotto i cavoli o sotto un roseto oppure se è molto impegnato, li manda per mezzo della cicogna”.

Queste spiegazioni gli lasciarono qualche dubbio così, quando il parroco visitò la casa per la benedizione pasquale, profittando della momentanea assenza della madre, chiese a lui i chiarimenti su quell’argomento al quale tutti davano risposte non convincenti. Ma anche il sacerdote, dopo aver squadrato con sussiego quel piccolo curioso, gli rispose che i bambini li mandava Nostro Signore.

Allontanatosi il prete, Giovanni riferì alla madre le spiegazioni che il religioso aveva dato al suo quesito. Si pentì però subito della sua ingenuità, perché la madre, dopo avergli dato dello sporcaccione, minacciò di riferire tutto al padre nel caso in cui si fosse azzardato a curiosare ancora su quell’argomento.

Giovanni sapeva che il padre, benché avesse un grande affetto per lui, aveva la mano molto pesante nel prenderlo a cinghiate, quando la madre chiedeva l’intervento del marito per punire colpe vere o presunte.

Tenne pertanto sempre presenti gli avvertimenti materni e cercò di evitare domande così pericolose.

Ipotizzò che il Padreterno possedesse in cielo un’immensa fabbrica di bambini con una moltitudine di angeli come collaboratori: senza dubbio molto più grande della fabbrica di sapone di Sant’Orsola la cui ciminiera, svettante sul paesaggio circostante, si poteva vedere quotidianamente dal piazzale antistante la propria abitazione. Inutilmente però guardò il cielo nella speranza di ammirare il volo delle cicogne che portavano i neonati a destinazione. Qualche dubbio però gli rimase dopo che, durante una gita al mare con parenti, vide due cuginette che si cambiavano il costume da bagno, notò che mancavano di quello che era posseduto da tutti i bambini. Egli chiese spiegazione ad una zia, ma questa, sorridendo, rispose che non ne avevano perché erano ancora piccole. Cosi Giovanni si convinse che fra uomini e donne non vi fossero differenze ad eccezione delle spalle larghe degli uomini per essere più forti e lavorare meglio, e dei seni delle donne per allattare i figli.

Con l’aumentare dell’età ritenne troppo ingenua la supposizione della fabbrica celeste, ma non chiese delucidazioni ai compagni, da cui era considerato il primo della classe.

Passarono gli anni. Il padre fu promosso ad un livello professionale superiore e trasferito a una “ tratta”; ferroviaria del Meilogu, dove gli fu assegnato anche l’alloggio per sé e la sua famiglia. Giovanni però rimase ospite per quattro mesi dai nonni la cui abitazione distsva pochi chilometri dalla città per poter terminare l’ultimo anno delle scuole elementari.

Durante tutto quel periodo si recò a scuola assieme a Valeria Pau, una compagna di classe che abitava a soli cinquanta metri dalla casa dei nonni.

Un giorno Valeria, constatando che Giovanni non aveva idee chiare sulle nascite dei bambini, gli spiegò per filo e per segno i misteri della vita e, siccome lui rimase dubbioso, lei dichiarò che a spiegarle tutto era stata Bruna, una loro comune compagna che però, a differenza di Valeria, bassa e brutta, era una ragazza bella e slanciata .

L’indomani chiese alla stessa Bruna, in presenza di Valeria, di ripetere quanto le aveva confidato. Avutane la conferma fu preso da un incontenibile sgomento e, arrivato a casa, raccontò tutto alla nonna e alla madre che era venuta a trovarlo.

Nel sentire quella confessione le due donne si sbellicarono dalle risate finché la nonna si calmò e, cercando di apparire seria, gli disse “ Figlio mio, non dare retta a quella stupida di Valeria che se continua a trattare di questi argomenti, finirà immancabilmente all’inferno”.

Terminato l’anno scolastico e conclusi gli esami, la maestra, nel consegnare la pagella alla madre, elogiò Giovanni per gli ottimi risultati conseguiti, mentre alcuni compagni dimostrarono la loro amicizia dandogli pacche sulle spalle.

Accomiatatisi dai nonni, Giovanni e la madre partirono nel pomeriggio, raggiungendo in serata la loro abitazione lungo la linea ferroviaria: il ragazzo non aveva mai visto quei posti desolati e, paragonandoli con i luoghi, ubertosi e ricchi di vita dove era sempre vissuto, fu preso da scoramento.

Tre anni dopo, nel periodo estivo, Giovanni ritornò in vacanza a casa dei nonni, come premio dei genitori per l’alta votazione conseguita all’esame di licenza media; votazione che gli era valsa l’esonero totale dalle tasse scolastiche.

Rivide così luoghi ameni, allietati dalle voci gioiose dei bambini e dal canto degli uccelli in amore, dove il caldo estivo veniva stemperato dagli alberi verdi e dalla brezza marina, dove il verde cupo intenso degli aranci e dei limoni si armonizzava col verde argenteo degli ulivi.

Volendo rivedere i compagni, il giorno seguente, si recò presso la frazione dove, oltre alle scuole, al centro sociale e alla fermata ferroviaria e dei pulman, vi era un grosso emporio che, essendo l’unico, accentrava la presenza degli abitanti della zona.

Trovò la rivendita affollata di acquirenti, in prevalenza giovani donne che chiacchieravano allegramente.

Guardandole distrattamente, ad un certo punto Giovanni credette di vedere, in mezzo al gruppo, Bruna.

Non era sicuro però che fosse lei perché ricordava che quella sua compagna di classe, pur essendo alta e graziosa, era molto magra e allampanata; questa invece era una dal corpo slanciato e flessuoso, ricco di curve tipicamente femminili.

Come in una giornata di febbraio emerge ad un tratto la primavera con le campagne piene di fiori e del canto degli usignoli, cosi ai suoi occhi quasi improvvisamente la fanciullezza di Bruna si era trasformata in una stupenda giovinezza. La gonna, corta e aderente lasciava scoperte le gambe, permettendo così di apprezzare pienamente la perfezione del suo fisico.

Egli di colpo vide solo quel corpo, mentre tutte le altre persone presenti sembrava che fossero svanite, inesistenti.

Fu lei a toglierlo da quell’estasi. Gli si avvicinò e sorridendo esclamò: “ Ciao Giovanni ! Sei diventato un giovanotto! Aspettami fuori, torneremo alle nostre case insieme come tre anni fa e ci racconteremo come abbiamo trascorso questo tempo”.

Si avviarono verso casa, camminando lentamente sulla strada solitaria dove si udiva solo il rumore dei loro passi sulla sabbia fine e il mormorio sommesso del vicino torrente.

Giovanni accanto a quella splendida ragazza si sentì perduto, senza volontà, in balia della sua improvvisa passione. Si abbandonò a un sogno a occhi aperti: essere solo, solo con lei e non solamente a quell’ora meridiana, ma per tutto il giorno, per tutti i giorni; soli in qualche posto dove nessuno potesse vederli..

Lei colse lo sguardo tenero e sognante di quel suo compagno di scuola; ne fu compiaciuta e per rinfrancarlo gli chiese: “Ti ricordi di quando credevi ancora che i neonati li portava la cicogna e ti dovetti spiegare come nascevano i bambini?”

Giovanni rispose che ricordava tutto quello che gli aveva spiegato, ma di ritenere poco probabile che tutte le madri avessero il ventre squarciato in occasione del parto, e che gli uomini diventassero padri solo perché davano qualche bacetto alle mogli.

Lei lo guardò con diffidenza quindi gli chiese: “Hai continuato a studiare; hai amici più grandi di te?” Lui rispose che aveva frequentato le scuole medie e conseguito l’esame di licenza con ottimi risultati, ma non aveva trattato di questi argomenti per non apparire troppo sprovveduto; aggiunse che non aveva amici più grandi perché nella località isolata dove viveva con la famiglia, vi erano solo bambini più piccoli. Lei lo fissò perplessa poi, notando che la natura aveva fatto il suo corso nonostante l’ingenuità del compagno, gli disse con decisione: “Giura che non sei mai stato con una donna!” Giovanni giurò con calore, quindi soggiunse che non aveva mai visto nessuna ragazza nuda.

Al sentire quelle confessioni adolescenziali, lei proruppe in una grande risata quindi, assumendo un atteggiamento protettivo, gli mise una mano sulla spalla e gli disse: “Domenica va a sentire la messa delle nove in Parrocchia; ci sarò anche io e dopo la funzione mi accompagnerai a casa: non temere, sono figlia unica, e i miei genitori si assenteranno per alcune ore dovendo assistere in città una zia ammalata”.

Egli trascorse i due giorni che mancavano a quell’incontro, fantasticando sulle prossime rivelazioni della sua smaliziata compagna e felice al pensiero di poterla ammirare standole vicino. Non era sicuro però se provasse verso di lei ammirazione o un sentimento che non conosceva e che provò appena la rivide e quando comminò al suo fianco. Era comunque un sentimento dolce che lo accompagnava continuamente: arrivò cosi a fantasticare di passeggiare con lei in mezzo a giardini dai colori fantasmagorici, mentre il sole spargeva i suoi raggi dorati prima del tramonto. Si immaginò assieme a lei mentre ammiravano i brevi tramonti, i lunghi crepuscoli che avvolgevano di tenue luce le cime degli alberi, mentre più tardi godevano insieme delle serate fresche, ma limpide nelle quali la luna allineava paesaggi di sogno.

Arrivò finalmente il giorno festivo e Giovanni, non resistendo all’impazienza, si recò all’appuntamento ben prima dell’ora fissata e ingannò l’attesa unendosi ai ragazzi che stazionavano sul sagrato per poter ammirare le ragazze che accorrevano per assistere alla funzione. Passò lei, che però entrò direttamente in chiesa, fingendo di non vederlo.

Lo ignorò anche al termine della messa, preferendo accompagnarsi con alcune amiche. Pur perplesso, Giovanni la seguì a debita distanza in compagnia di alcuni amici. Quando questi e le amiche si separarono per rincasare, la raggiunse. Lei gli sorrise spiegandogli: “Non ti ho avvicinato in presenza di altre persone perché tu, pur credendo ancora alla cicogna, hai il fisico di un diciottenne e gli altri, vedendoci insieme soli, possono spettegolare con illazioni inopportune”.

Nel sentirsi dare dello sprovveduto, egli si adombrò, ma dovette riconoscere che la sua compagna aveva la saggezza di una giovane donna, mentre lui, nonostante l’aspetto estetico, conservava ancora quella mancanza di malizia che è tipica dell’adolescenza.

Camminarono lentamente dal lato della strada dove gli alberi, folti e verdi, si allineavano come una mobile barriera appena mossa dalla lieve brezza del mattino.

Si respirava una dolce aria poetica nella calma del luogo e dell’ora ed entrambi i giovani provavano un’indistinto desiderio di un bene che ancora non riuscivano a percepire. Arrivati all’abitazione della ragazza, una costruzione immersa nel verde della compagna, lei gli prese la mano e lo fece entrare nel salotto. A Giovanni sembrò in quel momento di vivere in un’atmosfera magica e riuscì a scuotersi dal suo smarrimento solo quando lei lo invitò a gustare le nespole e le ciliegie che aveva colto la sera precedente.

Vedendolo rinfrancato volle fargli vedere la casa e per ultima la sua cameretta dove, seduttasi accanto a lui sul divano, gli fece vedere un album di fotografie.

Per spiegargli meglio i particolari delle foto, lei si strinse affettuosamente al suo compagno, finché i loro visi si sfiorarono e Giovanni, senza avere coscienza di quanto accadeva, percepì la labbra di lei dolcemente a contatto con le sue.

Lo smarrimento durò poco e l’istinto più che l’amore lo spinse a ricambiare teneramente quel bacio che, diventando sempre più veemente durò un tempo infinito. Teneramente lei si sciolse dall’abbraccio e, chiudendo le imposte, creò un buio quasi completo nella camera “Al buio è tutto più romantico” aggiunse.

Si sedette nuovamente vicino a lui e ricominciò a baciarlo, abbandonandosi alle sue carezze. Si liberò degli abiti e aiutò lui a a liberarsene, si distesero sul divano abbandonandosi ad un caloroso abbraccio. Così Giovanni perse la sua innocenza.

Quando lei riaprì le imposte e lui vide invadere la camera dai raggi del sole, gli sembrò di svegliarsi da un dolcissimo sogno. Una lieve brezza muoveva le foglie degli alberi così, in simbiosi con l’aspetto multicolore di quelle fronde in movimento, egli percepì l’insorgenza di nuovi stati d’animo che si aggiungevano alla dolce passione e al senso di abbandono in cui era caduto. Lentamente lo stato di languore e di stupore per quello che era avvenuto diminuivano, e quando Bruna gli baciò i capelli e lo accarezzò teneramente, guardò ammirato ancora una volta quel corpo che solo da qualche ora gli era apparso in tutta la sua straordinaria bellezza.

Si dettero l’appuntamento per la domenica successiva, ma due giorni dopo, Giovanni dovette tornare dai suoi.

Giovanni non dimenticò mai gli istanti irripetibili trascorsi con lei e per parecchi mesi si sorprese a pensarci non solo di notte nella solitudine dell’ombra, ma anche di giorno, durante le attività quotidiane, mentre il sole sfolgorava i suoi raggi dorati sulle arse campagne logudoresi.

Dopo un anno egli ritornò per una breve vacanza dai nonni, con la speranza di poter almeno parlare all’oggetto dei suoi pensieri quotidiani, invece non poté nemmeno vederla perché era andata a Bosa per trascorrervi la stagione balneare, ospite di lontani parenti. Giovanni, due anni dopo ritornò a casa dei nonni, all’inizio della stagione estiva e cercò notizie di lei da un’amica comune.

“Mettiti il cuore in pace – rispose l’amica – perché, dopo aver ottenuto una dispensa speciale avendo solo 16 anni, il tuo amore ha sposato il figlio dei lontani parenti presso i quali era ospite l’anno scorso”.

Nell’apprendere la notizia, sembrò che il mondo gli crollasse addosso, il pensiero di lei divenne ossessivo; per due giorni ebbe davanti a sé l’aspetto del suo corpo, del suo viso, delle sue belle forme e fantasticò di passeggiare con lei in mezzo a giardini dai colori da sogno durante le ore che precedevano la malinconia della sera.

Lei poco tempo dopo le nozze ritornò ad abitare col suo novello sposo nei pressi della casa paterna.

Giovanni non volle rivederla e non resistendo più a quella tensione, rientrò in famiglia, sperando che stando lontano potesse dimenticarla più facilmente. Anche lì però si rese conto che l’allontanarsi di una donna era cosa triste per ogni uomo, ma pensava che lo era specialmente per lui che lo sperimentava per la prima volta.

Egli, anche se per breve tempo, aveva dato tutto sé stesso per quella sua ex compagna di classe, abbandonandolo, gli aveva preso una parte della sua gioventù perché era sicuro che l’incontro con lei non sarebbe ripetibile con altre che sicuramente avrebbe conosciuto nel corso della sua esistenza.

Quell’amore destinato a finire rappresentava la fine di un illusione che non si sarebbe più presentata, almeno nello stesso modo e con la stessa intensità: era come un gioiello unico perduto fra le onde marine.

Era giovanissimo e quella esperienza servì a farlo maturare nei sentimenti e fu l’inizio delle sue pene d’amore.

Si rese conto che in sole due ore si era saziato di quel corpo, ma nel momento in cui ebbe la certezza che quella ragazza che era stata completamente sua gli era diventata estranea e che l’amore di un altro ormai la possedeva, rivisse ogni particolare di quei momenti in cui erano stati felici insieme, lo colse un pianto sommesso che non riuscì a trattenere.

Fini per commiserarsi, anche se per pochi istanti: valeva la pena di aver indossato l’abito da festa, di lasciarsi sedurre da lei, di ritenerla la più bella esperienza della sua vita; valeva la pena ricordarla, quando lei prima del gran passo del matrimonio non aveva nemmeno sentito il dovere di fargli pervenire un biglietto, uno scritto?

Nell’isolamento di quella stazioncina ferroviaria, la mancanza di distrazioni non favorì l’oblio, però facilitò la sua assennatezza. Giustificò pertanto la ragazza che, ad un adolescente che si era assentato per ben due anni, aveva preferito un infermiere venticinquenne con cui crearsi realisticamente una famiglia.

Constatò però che la sorte non distribuiva a tutti equamente i suoi favori e, come elargiva ad alcuni doti naturali come ingegno, forza, coraggio e bellezza ad altri dispensava solo, debolezza, solitudine, tristezza, cosi a lui, che pure aveva vissuto durante la fanciullezza in un ambiente ameno nei pressi di una città pulsante di vita, ora (a causa del servizio di suo padre) lo costringeva ad intristire in quella stazioncina isolata del Meilogu, lontano dai compagni con cui socializzare anche se solo durante le attività scolastiche.

Si rinfrancò comunque con la consapevolezza che la sorte non era stata matrigna con lui, avendolo dotato in misura rilevante di sagacia, intraprendenza, spirito, inventiva ed altre qualità personali per mezzo delle quali aveva già ottenuto la stima dei professori e lusinghieri successi scolastici, e che di sicuro lo avrebbero aiutato ad avere successo nel proseguo della sua vita.

II. Le luci silvestri

Giovanni e Lidia si videro per la prima volta sul piazzale di una piccola stazione ferroviaria incastonata nelle lande solitarie del Meilogu.

In quel tempo però quelle zone, benché povere di alberi, erano coperte di messi rigogliose e coltivazioni di ogni specie, il cui prodotto attirava su quel territorio una moltitudine di sfollati delle diverse località e di cittadini che cercavano di acquistare derrate alimentari con cui integrare quelle che, in quantità del tutto insufficiente, venivano distribuite alla popolazione con le tessere annonarie.

Oltre alla produzione agricola ciò che attirava lì tante persone da fuori era la presenza di una decina di enormi capannoni militari adibiti a magazzini di derrate alimentari.

Uno di questi era stato distrutto nel corso di un’incursione aerea americana, ma quelli rimasti venivano utilizzati come prima del bombardamento.

Erano presidiati da alcuni militari, quasi tutti sardi, al comando di un maresciallo maggiore che prendeva ordini solo da un capitano soprintendente della sussistenza. Qualcuno di quei soldati asportava sistematicamente e con destrezza piccole quantità non solo di derrate di lunga conservazione, ma anche di pelli conciate adatte alla confezione delle scarpe, stoffe di lana e lenzuola di lino che vendevano clandestinamente ai mercatoneristi che accorrevano dalle più svariate località per rivenderle nei loro luoghi di provenienza a prezzi enormemente aumentati.

Inutilmente il loro comandante, persona onesta sotto tutti gli aspetti, aveva cercato di coglierli sul fatto infiltrando qualche commilitone onesto fra di loro: dato che ciascuno di essi agiva isolatamente, pur essendo solidali l’uno con l’altro, non gli fu possibile né incriminarli né punirli.

Il fenomeno era talmente diffuso che, fra quei trafugatori con le stellette, erano rappresentate tutte le zone della Sardegna, dalla montagna alle basse colline alle località costiere.

Non portarono ad alcun risultato nemmeno le indagini che fecero i carabinieri presso i supposti acquirenti di quelle merci trafugate: i mercatoneristi infatti avevano tutto l’interesse a tacere e a proseguire quel commercio che offriva loro i più lauti guadagni.

Tutto terminò quando intervenne un caporale nativo di un paese di montagna: questo fissò ad un trespolo un fucile da caccia caricato a pallettoni il cui grilletto veniva messo in azione da chi furtivamente apriva l’unica porta del capannone.

Sparse quindi la voce dell’installazione del micidiale marchingegno. ma non disse in quale magazzino era piazzato: nessuno osò mettere a repentaglio la propria pelle per qualche migliaio di lire; il latrocinio terminò ed i mercatoneristi dovettero approvvigionarsi esclusivamente dai contadini.

Dopo l’armistizio erano terminati in Sardegna non solo i violenti bombardamenti a cui i “liberatori” americani avevano sottoposto gli abitati grandi e piccoli, ma anche il loro lancio di finte penne stilografiche che, attirando l’attenzione di bambini e ragazzi, esplodevano loro fra le mani, lasciando un tragico ricordo della loro bonomia.

Un anno dopo la firma dell’armistizio però la guerra continuava nell’Alta Italia e i “liberatori”si limitarono a dispensare ai sardi affamati qualche pacco della loro pappetta.

Le strade però, lasciate in abbandono durante la guerra, continuarono a non avere una manutenzione adeguata ed essendo diventate disagevoli per le autocorriere (che oltretutto non potevano essere messe in esercizio per mancanza di carburante), gli spostamenti nell’isola furono affidati quasi esclusivamente alle ferrovie.

Sembrava però che tutti, rimasti per troppo tempo fermi e mimetizzati per la paura dei bombardamenti, cessato il pericolo, fossero presi da un’impellente necessità di viaggiare anche se non era strettamente necessario. L’afflusso ai convogli era enorme e nonostante l’aumento delle corse, le ferrovie non riuscirono a smaltire quel traffico eccezionalmente intenso. Come conseguenza in tutte le stazioni e specialmente in quelle intermedie molti viaggiatori rimanevano a terra, successe così una sera dei primi giorni di settembre dell’anno 1944 in quella stazione isolata del Meilogu.

Il sole, ormai basso all’orizzonte, diffondeva, sempre più debolmente, i suoi raggi dorati sulla terra mentre si avviava all’imminente malinconico tramonto. I viaggiatori che si affollavano sul piazzale della stazioncina però non percepirono la tenera malinconia del momento; troppo forte era la loro preoccupazione di non poter salire su quell’ultimo treno per rientrare in giornata a casa e Giovanni, uscendo dall’ufficio della stazioncina, lesse sui loro volti tirati e sui loro occhi tutta l’ansia e la drammaticità del momento.

Ognuno di loro cercava pertanto di sorpassare gli altri per trovarsi in una posizione più vantaggiosa per salire sul convoglio.

Improvvisamente un acuto fischio lacerò l’aria: era il treno che, superando il semaforo luminoso, si avvicinava rallentando progressivamente. Sembrò che un fremito agitasse quella piccola folla che, come un unico corpo vivo, si spostò in avanti verso i binari. Pressati alle spalle, molti viaggiatori caddero fra le rotaie in un disordine indescrivibile.

Nell’approssimarsi, il macchinista vide il pericolo e fischiando l’allarme bloccò il convoglio diverse decine di metri prima della stazione fra uno stridìo di freni.

Vedendo il treno fermo, le urla e lo strepito cessarono d’incanto e, come ad un segnale convenuto, tutti, portandosi appresso gli ingombranti bagagli, si precipitarono affannosamente verso le portiere delle vetture.

Queste furono aperte con violenza e subito dopo avvenne un autentico scontro fra chi, dentro le carrozze, intasava lo spazio disponibile e chi con furia voleva penetrarvi.

Ben presto fu evidente che nessun altro avrebbe potuto salire sul treno, così iniziò l’assalto ai finestrini dello stesso lasciati aperti: aggrappandosi alle maniglie e facendosi aiutare da altri passeggeri, si issarono all’interno delle vetture.

Non tutti però ci riuscirono perché, chiamati dal capotreno, intervennero due agenti della polizia ferroviaria che con metodi rudi, anzi brutali, staccarono tutte le persone aggrappate ai finestrini.

Fra queste vi era una giovane donna, issata parzialmente su un finestrino e in procinto di essere catapultata dentro il treno: nel trambusto, la gonna, piuttosto corta, le era scivolata fino ai piedi lasciando le gambe completamente scoperte.

Giovanni (che, dopo esservi appena entrato, era uscito dalla propria abitazione, prospiciente la stazione, attirato dallo schiamazzo), vedendo quelle gambe nude, robuste ma non grosse, dopo un attimo di desiderio fu preso dall’ammirazione per quella donna che dimostrava tanta energia e forza di volontà.

Il treno ripartì col suo carico di miserie umane, lasciando sul piazzale molte persone il cui viso triste denotava la delusione per la mancata partenza.

La maggior parte di loro si incamminò a piedi per raggiungere le rispettive abitazioni nei due vicini villaggi di provenienza.

Una decina di loro (cariche fino all’inverosimile della mercanzia acquistata qualche ora prima per essere rivenduta a mercato nero e a un prezzo triplicato nei centri della Gallura) invece si presentarono ai genitori di Giovanni, chiedendo loro di farle prenotare nel soggiorno della loro abitazione .

I due coniugi, impietositi dalla loro situazione e frastornati dalle loro querule implorazioni, osservarono che erano troppe e che in quell’unico ambiente, anche se vasto, non ci sarebbero state nemmeno rimanendo in piedi

Quelle però li rassicurarono dicendo che era sempre meglio che rimanere all’aperto tutta la notte esposte alla rugiada che sarebbe cominciata a scendere di lì a qualche ora.

Vennero per tanto accontentate e quando Giovanni volle rincasare, non riuscì nemmeno a varcare il portone, perché le sedie erano occupate dai genitori e dai fratelli seduti a tavola, mentre il pavimento era completamente ricoperto da quelle donne sedute per terra e dai loro bagagli.

Contrariato per quella situazione che riteneva indecorosa, uscì sul piazzale per godere della fresca brezza, particolarmente piacevole dopo una giornata calda anche se non afosa.

Intanto l’ombra della sera era calata rapidamente, il grande pino e gli alti alberi del giardino erano diventati scuri tra la calma circostante e la serenità del cielo, dove una nuova falce lunare argentata andava profilandosi all’orizzonte.

Nonostante l’incanto del momento però, i suoi pensieri non si staccavano de quello statuario corpo di donna che aveva acceso anche se solo per qualche istante il suo desiderio.

Il suo fantasticare fu interrotto dal capo stazione che gli consegnò le chiavi per chiudere la sala d’aspetto, essendo terminato per quel giorno il servizio viaggiatori. Approssimandosi alla sala, sentì un pianto sommesso provenire dall’interno; preoccupato si precipitò dentro, illuminandolo con una torcia elettrica che aveva con se, vide seduta su una panca e con la testa fra le mani la donna che tanti pensieri non casti aveva destato in lui, quando seminuda la strapazzavano dal finestrino. Vedendo ciò, la prima sensazione fu di sbigottimento a cui però reagì nel peggiore dei modi, trincerandosi dietro l’ordine ricevuto poco prima dal capostazione. Le disse pertanto con voce ferma: “Signora, il regolamento vieta a chiunque di rimanere nella sala d’aspetto durante la notte; è consigliabile perciò che lei raggiunga in fretta i viaggiatori che si stanno dirigendo al loro paese, prima che si allontanino troppo.-

Lei alzò lo sguardo sul nuovo venuto e, visto che era solo un ragazzo gli rispose sconsolata: “Dovevo appunto raggiungere il mio paese, mentre qui, non conoscendo nessuno non saprei dove andare; tieni presente inoltre che è già notte inoltrata”.

Che differenza fra l’energia volitiva dimostrata poco prima da quella giovane per salire sul treno, e la fragilità di quel momento marcata dal pianto, non sapendo come trascorrere la notte in quell’ambiente sconosciuto e ostile!

Istantaneamente al desiderio di quel corpo, provato fino a pochi istanti prima, si sostituì in lui un sentimento di pietà per quella donna afflitta, e con spirito solidale, unito al senso pratico acquisito nella dura vita a cui era stato addestrato, decise di trovare la soluzione migliore per risolverla.

“Aspetti qui per pochi secondi” le disse Giovanni con voce protettiva; chiuse quindi la sala, consegnò la chiave al capostazione e, raggiunta la giovane, le disse:

“Non si perda d’animo, se è per una notte, una sistemazione decorosa gliela trovo io”.

Lei osservò ancora quel ragazzo: longilineo ma non magro, dagli atteggiamenti sicuri e decisi, le parve di avere davanti un uomo con le sembianze di un adolescente.

Cominciò pertanto a rinfrancarsi: si asciugò il viso bagnato dalle lacrime, mentre i colori rosati ritornavano ad imporporarle il viso, precedentemente pallido, decise di seguire quel ragazzo così pieno di risorse. Lui la condusse nella parte posteriore della propria abitazione dove si trovava una stanza con ingresso indipendente e un piccolo bagno di servizio. Era un ambiente multiuso che conteneva, oltre alla dispensa colma di derrate alimentari e a un corredato di lenzuola, coperte e biancheria varia, una comoda branda con materasso e cuscino. Vi erano inoltre dei sacchi colmi di grano, farina e legumi vari.

Giovanni accese la lampada a carburo per illuminare la stanza, quindi, dopo averla pregata di attendere qualche minuto, si recò nel soggiorno dove, dopo essersi fatto largo fra le “mercatoneriste” disse ai genitori: “sono ancora spossato dalla fatica per la lunga giornata di lavoro e, dato che tutte queste donne sedute per terra mi innervosiscono, mi chiudo un paio d’ore nella stanza della dispensa per studiare in tranquillità”.

I genitori, sapendo che anche l’indomani avrebbe avuto una dura giornata di lavoro, lo rassicurarono affettuosamente che non sarebbe stato disturbato.

Quando Giovanni ritornò, lei, che curiosava nella dispensa, esclamò:

“Quanta grazia di Dio! Non credevo che esistessero famiglie così rifornite di grano, farina, legumi, olio, salsicce e formaggi!”. Sentendo questo, Giovanni impulsivamente rispose:

“Tutto questo che lei signora definisce grazia di Dio, è solo in minima parte dovuto a scambi con i magazzinieri del deposito militare, la maggior parte invece è frutto del mio duro lavoro ed io anziché vedervi una grazia di Dio ci vedo soprattutto il sudore della mia fronte”.

Pentitosi per averle risposto in modo quasi risentito, si rasserenò subito e gentilmente le chiese:

“ Come si chiama, signora?”

Lei con una tecnica tipicamente femminile, accorgendosi che aveva urtato la suscettibilità del ragazzo, cambiò subito atteggiamento rispondendogli con voce carezzevole:

“Io mi chiamo Lidia, e tu?”.

“Io mi chiamo Giovanni e ho sedici anni” precisò.

“Veramente ne dimostri di più” obiettò lei!

“Io però non sono sposata, ma nubile, e poiché non sono così vecchia come vuoi darmi ad intendere dandomi del lei, dal momento che ho solo ventidue anni, ti prego, dammi del tu”. Giovanni però, esitando a prendersi confidenza con una persona più matura di lui, mascherò la sua perplessità spostando i sacchi pieni di grano per aumentare lo spazio disponibile per lei nella stanza.

La facilità e l’impeto con cui spostava quei pesantissimi sacchi dovette affascinarla talmente che la donna esclamo:

“Giovanni, tu mi stai prendendo in giro sulla tua età; non si maneggiano con tanta disinvoltura i sacchi da ottanta chilogrammi a sedici anni, come fai tu; senz’altro devi avere un’età maggiore di quella che mi hai detto”.

Lui, a quello che ritenne un complimento, col viso rosso per lo sforzo, non seppe far di meglio che sorridere compiaciuto.

A lei però cominciava a piacere quel ragazzo dalle forme armoniche e dalla costituzione virile, che benché non molto robusto, dimostrava di avere una forza non comune.

Era inoltre delusa per quel viaggio quasi inconcludente, ma contemporaneamente eccitata per lo sviluppo gradevole che andava assumendo la situazione.

Così decise di rilassarsi con quel giovane che benché la guardasse continuamente con evidente desiderio, continuava ad avere per lei il massimo ossequio. Risolse così di cominciare col ridurre le distanze fra loro e per attirarlo verso di sé gli disse con voce suadente:

“Giovanni, perchè stai in piedi? Vieni a sederti accanto a me; c’è posto per tutti e due su questa cuscia e potremmo conoscerci meglio parlando un po’”.

Al pensiero di stare vicino a quella splendida donna egli fu preso da smarrimento, tuttavia accolse l’invito.

Si sedette accanto a lei arrossendo, ma lei lo trasse dall’imbarazzo mettendogli la mano sulle spalle ed esclamando:

“Mi sembra di ritornare a scuola”.

Giovanni, rispose, “ Anche a me, veramente”.

Uscirono entrambi dall’imbarazzo guardandosi negli occhi.

La donna sorridendo e diventando ancora più bella allungò cameratescamente il suo braccio sulla spalla di lui.

Giovanni avvertì il suo alito profumato e percepì il leggero effluvio che emanava dal suo corpo e fu colto da un turbamento misto a piacere. Avrebbe ceduto volentieri all’impulso di un abbraccio se un residuo di timidezza non lo avesse trattenuto .

Lei si accorse di questa emozione e per metterlo in confidenza gli disse:

“Credo che tu ti trovi nelle stesse condizioni in cui si è già trovato mio padre che da ragazzo viveva in uno stazzo gallurese vicino a una stazione ferroviaria. Per sua fortuna i genitori si trasferirono in città dove potè studiare: così oggi è dipendente comunale con mansioni di concetto. Purtroppo per me, ha conservato la mentalità contadina e pertanto è convinto che i giovani hanno il dovere morale di formarsi una famiglia e trasmettere ai loro figli quella vita che deve perpetuarsi”.

E dopo un attimo di silenzio continuò:

“Anche mia madre è della stessa opinione, ma, essendo più romantica, mi dice sempre che vorrebbe avere tanti bei nipoti”.

“Io, – continuò Lidia – ho sempre cercato di far capire, almeno a mia madre, che finché uscivo di casa, e in sua compagnia, solo la domenica per recarmi in chiesa, non avrei mai avuto l’opportunità di incontrare giovani con cui sposarmi”.

“Mia madre aveva sempre pronta la risposta:

-Figlia mia, quando le ragazze godono di troppa libertà, finiscono col perdersi o, nella migliore delle ipotesi, essere costrette a sposarsi già incinte col primo disoccupato che ha saputo approfittare della loro ingenuità. Le persone oneste però non mancano, tu sei una bella ragazza e sicuramente un giorno, quando meno te lo aspetti qualche bravo giovane, apprezzando le tue doti fisiche e morali, ti chiederà di sposarlo.¬

– Così il tempo è trascorso e io sono ancora signorina”.

“Godiamo comunque la stima dei nostri concittadini – continuò lei – e se sono venuta fin qui, non è con lo scopo di fare del mercato nero, ma solamente per acquistare derrate con cui integrare gli scarsi approvvigionamenti che permettono le tessere annonarie. Oggi purtroppo sono riuscita a trovare ben poco e a prezzi di strozzinaggio”.

Quindi soggiunse: “Vedo che la tua famiglia ha più del necessario così ti sarei riconoscente se tu potessi vendermi a prezzo ragionevole qualche chilogrammo della farina contenuta in quel sacco quasi pieno”.

Giovanni, pur attratto irresistibilmente da lei, le rispose arrossendo:

“Pur essendo tutto quello che vedi frutto del mio lavoro, non posso darti nulla all’insaputa dei miei genitori”.

Si pentì però subito di quella risposta perché, guardandola, vide nei suoi occhi un’ombra di mestizia, mentre sul viso le si diffondeva un tenue rossore.

Il giovane era abituato a decidere rapidamente quando le circostanze lo richiedevano, così, cambiando quasi simultaneamente tono, soggiunse sorridendo:

“ Come ti ho appena detto non vendo nulla, ma quattro o cinque chili di quella farina, se tu gradisci il mio omaggio, te li posso regalare: l’ammanco sarebbe così modesto che passerebbe inosservato e tu conserveresti di me un buon ricordo”.

Lei fu sul punto di rifiutare ma, guardandolo meglio negli occhi, capì la generosità dell’offerta e, riconoscente, gli prese le mani fra le sue e gliele strinse teneramente.

In quella stretta Giovanni vide un forte e caloroso richiamo di lei e vincendo d’impulso la sua timidezza l’abbracciò.

L’esitazione di Lidia durò un istante, quel giovane genuino e forte le aveva trasmesso sensazioni sconosciute e superando ogni esitazione controccambiò l’abbraccio.

Quell’incontro inaspettato fu per lei l’occasione per gettar via in un attimo ammonimenti e regole impostele dai genitori incuranti della sua personalità, col tenerla segregata in casa come sotto una campana di vetro.

Era convinta di non avere alcun dovere di fedeltà verso il fidanzato, un uomo gracile e minuto che il padre le aveva imposto nonostante avesse diciassette anni più di lei, solo perché l’agenzia di spedizioni, di cui era titolare, rendeva molto bene e le avrebbe assicurato una vita agiata.

Non aveva mai amato quell’uomo quasi quarantenne che le aveva prodigato solo qualche bacetto paterno, disinteressandosi della sua giovinezza e del suo ardore.

Il ragazzo però esitava ancora dopo l’abbraccio nonostante il desiderio che provava per lei e che le aveva trasmesso: le venne il sospetto che non avesse alcun esperienza in amore, cosi gli chiese con voce soffocata:

“ Sei fidanzato? Hai fatto l’amore altre volte?”.

“Come vuoi che abbia la ragazza-disse distaccandosi da lei- abitando in questo posto desolato o recandomi qualche volta in paese dove ti prendono in considerazione solo se le tue condizioni economiche sono sicure e sufficienti per far vivere decorosamente una famiglia”.

“Ma tu-osservo lei- quali prospettive hai ?”.

“Sto facendo un corso per essere assunto fra un anno dalle Ferrovie Dello Stato come capo stazione contrattista, ma nel frattempo, avendo sospeso gli studi all’istituto agrario per difficoltà di trasporti, sono costretto a lavorare in campagna per aiutare la mia famiglia”.

“Quanto a far l’amore – continuò lui – non l’ho mai fatto con nessuna donna, perché in quest’eremo tutte transitano frettolosamente tanto all’arrivo quanto alla partenza dei treni”.

Sentendo quelle confidenze, Lidia prvò un’attrazione ancora maggiore per lui, dal momento che, nel suo ambiente, più era importante apparire che essere realmente e pertanto non avrebbe offeso il perbenismo familiare amando quel ragazzo isolato di cui nessuno avrebbe saputo nulla, si sentì libera di lasciarsi andare ai sentimenti del cuore.

Era convinta inoltre che il conoscersi fra loro era quanto di più armonico potesse esistere dal momento che, come lei, anche lui , così impacciato ed esitante sembrava essere privo di esperienza.

Perciò riabbracciò con ardore Giovanni, ne fu contraccambiata, ed entrambi si abbandonarono all’impeto della passione, lasciandosi travolgere, in quel magazzino profumato di frumento, dall’impeto dei sensi e dalla frenesia del cuore.

Non smisero finché stanchi e appagati si distesero l’uno accanto all’altra, stringendosi la mano.

Il riposo fu breve, lei ebbe la sensazione che non avrebbe più avuto l’opportunità di esaudire tanto intensamente la sua passione ricominciò ad abbracciarlo languidamente e, ancora una volta, si amarono.

Avevano iniziato da poco ad assaporare un sonno ristoratore quando furono richiamati alla realtà da un battito discreto alla porta.

“ Giovà – gridò uno dei fratelli- è tardi ed è opportuno che smetta di leggere e venga a riposare”.

Il fratello si allontanò, ma per Giovanni non fu facile staccarsi dalle braccia di lei, che sperava di trascorrere tutta la notte con lui. Dovette lasciarla sola in compagnia di quel bendidio.

Nel rientrare a casa, solo il fascio di luce della lampadina gli permise di non calpestare qualcuna delle galluresi, che dormivano sul pavimento del soggiorno.

L’indomani mattina Giovanni si alzò malvolentieri dopo il trillo interminabile ed irritante della sveglia. Si vestì in fretta e, attraversato agevolmente il soggiorno, sgombrato finalmente dalle galluresi, che avevano già raggiunto il piazzale della stazione per attendere il primo treno che le avrebbe portate a casa, uscì all’aperto per raggiungere l’amata. Ancora rinchiusa nel magazzeno.

La fresca brezza settembrina preludeva all’incipiente autunno. L’alba non aveva ancora rischiarato la terra, la luna, alta nel cielo, rendeva trasparente l’aria e metteva una nuova poesia nel silenzio della notte. Giovanni però, in ansia per lei, non ammirò a lungo quello senario da sogno.

Aperta la porta e illuminata la stanza constatò subito che le sue preoccupazioni non avevano ragione d’essere: Lidia dormiva serena e col viso disteso, quasi sorridente.

Appena la risvegliò, gli sorrise e, sollevatasi ancora svestita, gli cinse con la braccia ancora calde il collo e lo baciò appassionatamente.

Lidia si rivestì in fretta, mentre lui, riempiva la sua grossa valigia di farina, di svariati legumi, di qualche pezza di formaggio e giri di salsiccia.

L’accompagnò quindi alla partenza, facendola sostare in quella sala d’aspetto dove aveva tanto penato la sera precedente. Lui si allontanò qualche minuto per staccare i biglietti e quando arrivò il treno lei lo baciò ancora una volta a lungo dicendogli sottovoce:

“Addio Giovanni, qualunque cosa succeda, il mio cuore sarà sempre con te”.

Salì agevolmente sul convoglio e quando questo partì lentamente, lei rimase affacciata, salutando finché il viso e la figura di lui divenne per lei un punto che si perdeva in lontananza.

Intanto l’alba aveva disteso su campi e colline i suoi freschi colori e Giovanni, dopo aver svolto la funzione di biglietteria, si recò al lavoro nei campi.

Questo risultò per lui molto più pesante del solito e, dopo la pausa per il pranzo, nonostante la sua determinazione, fu vinto dalla spossatezza e dovette ritornare a casa dove trascorse tutto il pomeriggio disteso sul divano. La madre fu prodiga di attenzioni per quel primo figlio, ma la sera lo obbligò ad andare a riposare presto dicendogli:

“ Figlio mio, non devi esagerare con lo studio dei regolamenti ferroviari; ecco cosa succede quando leggendo fai le ore piccole”.

Giovanni però non sorrise dell’ingenuità materna e fu preso da scrupoli per aver tradito la fiducia che sua madre aveva riposto in lui.

Nei giorni seguenti sospettò persino che Lidia non si fosse così improvvisamente innamorata, ma che si fosse servita di lui per rilassarsi i sensi dopo la tensione provocata per il pericolo corso di trascorrere la notte sola e all’addiaccio.

Si dovette però ricredere sui sentimenti di lei quando qualche settimana dopo il postino gli recapitò una lettera.

Era di Lidia che gli scriveva:

“Mio carissimo Giovanni! Ti sento ancora tutt’uno con la mia persona, mentre la tua immagine mi appare continuamente anche durante le più comuni attività giornaliere.

Purtroppo (per me) mio padre ha vinto il concorso per mansioni superiori alle attuali, presso il comune di Tempio, così si trasferirà quanto prima con la mia famiglia in quel centro di montagna.

Io comunque non li seguirò perché sposerò il mio fidanzato (scusa se non te l’ho detto subito, ma tu eri così riservato ed io così innamorata di te, che ho avuto paura di perderti, se te ne avessi parlato): così rimanendo nella mia cittadina continuerò a fare la squallida vita di sempre.

Fiore, mio non appassirti mai, affinché io abbia sempre sul cuore l’aspetto più bello della nostra giovinezza”.

Il contenuto di quella lettera riempì Giovanni di un senso di orgoglio: com’era possibile che un ragazzino come lui avesse ispirato tanto amore in una signorina che lui considerava “grande” vista la differenza d’età fra loro due?

Per quanto lo riguardava, considerava quella sua seconda esperienza amorosa, conclusasi nello spazio di tre ore, troppo fugace per innamorarsi, mentre la prima, durata due giorni, gli aveva lasciato tutto il tempo per passare dal desiderio all’amore.

Com’era possibile che le signorine, che a lui erano sempre apparse irraggiungibili persino ai loro coetanei con il loro contegno riservato e spesso scostante, fossero capaci di così intense passionalità amorose?.

Per avere una risposta ai suoi dubbi e perplessità pensò anche di andarla a trovare nella sua città sul mare, ma la durezza del lavoro quotidiano e soprattutto il buon senso ebbero il sopravento su quel progetto.

Infine, perché cercarla? Per rubare furtivamente come un ladro al legittimo, anche se vecchio, marito qualche istante d’amore?.

Aveva solo sedici anni e se quella donna era passata come una meteora sulla sua vita sentimentale, era certo che in seguito avrebbe trovato una ragazza adatta alla sua condizione e alla sua età.

Rimaneva però l’amaro di constatare che nelle sue due esperienze amorose le due giovani donne che lo avevano scaldato col loro amore, lo avevano fatto come il sole al tramonto anziché come quello del primo mattino come sarebbe stato logico considerata la sua giovane esistenza.

Si sorprese anche a far dell’umor nero sul fatto che le due ragazze che aveva “conosciuto” si erano entrambe sposate: l’ultima addirittura dopo pochi giorni: era forse il tipo adatto per dare l’addio al nubilato alle ragazze nell’imminenza del loro matrimonio?

Riflettendo seriamente concluse che era meglio non fare alcuna ricerca e continuare quel pesante lavoro manuale e soprattutto quell’impegnativa preparazione al concorso che, temprandolo lo preparavano ad affrontare le inevitabili difficoltà che si sarebbero presentate nel corso della vita.

 III. Undici anni dopo

Giovanni e Lidia si rividero undici anni dopo il loro primo incontro.

Era il trenta settembre del “55” giorno precedente all’inizio dell’anno scolastico e Lidia aveva accompagnato il suo unico figlio alla locale scuola media per sapere a quale sezione della prima classe fosse stato assegnato dopo aver superato l’esame di ammissione.

Era una giornata luminosa: di quelle giornate settembrine quando il sole, stanco di dardeggiare sulla terra, riverberava nell’aria e sulle cose un dolce tepore che induce alla malinconia dell’incipiente autunno.

Nell’ampio atrio della scuola Lidia si unì alle altre madri che, nell’attesa dell’appello, disinteressandosi dei loro figli irrequieti ed eccitatati che muovendosi continuamente di qua e di là e richiamandosi con voci concitate producevano un allegro ma ingovernabile disordine.

Richiamato dal chiasso, il preside uscì dalla segreteria, ma i suoi blandi richiami all’ordine non ottennero alcun risultato in quella folla dove ognuno cercava con la propria di coprire la voce degli altri.

Il preside però non perse né la calma né il buon umore e trovandosi vicino Giovanni, gli disse:

“Tu che sei stato ufficiale dell’esercito, al posto mio cosa avresti fatto per riportare l’ordine?”

“Aspetta un attimo e vedrai” – rispose il giovane professore.

Si fece quindi portare il megafono in dotazione alla scuola e, sotto lo sguardo incuriosito del suo capo d’istituto, disse con voce stentorea:

“ Siamo in una scuola! Vi chiedo pertanto di limitare il chiasso”. Un silenzio di gelo calò in quella allegra brigata: le mamme tacquero all’istante e i bambini bloccarono la loro agitazione.

Profittando dell’insperato silenzio, l’insegnante continuò:

“I genitori sono pregati di recarsi nell’aula magna dove il preside farà loro delle comunicazioni riguardanti i loro figli.

Gli alunni che chiamerò vadano col professore che vedete alla mia sinistra nell’aula della sezione A; le ragazze che chiamerò dopo vadano con la professoressa che vedete alla mia destra nell’aula B; i rimanenti, ragazzi e ragazze verranno con me nell’aula C.

Dopo un’ora sarete tutti rimessi in libertà”.

Quando tutti i genitori ebbero raggiunto l’aula magna, lesse ad alta voce le assegnazioni preparate dal preside.

Prima A: Balzano Raffaele, Isoni Quirico……

Prima B: Asara Paola, Degortes Lucia………..

Prima C: Tamponi Giovanni, Varrucciu Anna…

Terminata quell’incombenza e svolta la sua ora di lezione, trovò all’uscita le madri in attesa dei ragazzi.

Dopo aver salutato, tutte si allontanarono lentamente con i figli ad eccezione di una signora alta, avvenente e dall’aspetto distinto che, dopo aver detto al figlio:

“Rientra a casa con zia Caterina, vi raggiungerò più tardi”,rivolgendosi a Giovanni gli disse:

“Professore, posso parlarle?”

Giovanni si meravigliò della richiesta, ma ritenendo che volesse dei chiarimenti di tipo scolastico, la fece entrare nell’aula rimasta vuota.

Notando sul suo viso l’imbarazzo che le impediva di parlare e attribuendolo alla delicatezza dell’argomento da trattare, chiuse la porta e le disse:

“Adesso signora può parlarmi”.

“Professore – disse lei – posso farle una domanda personale?”

“Può farla – rispose il giovane” ormai incuriosito dall’aria di mistero e dalla titubanza di quella donna.

“Lei è figlio di ferroviere?”- chiese la signora.

“ Orfano di ferroviere” replicò lui.

“Mi dispiace- continuò lei- quando era ancora un ragazzo, abitava con la famiglia in una stazione isolata del Meilogu?”.

“Si signora” confermò il giovane.

Fu un attimo. “Giovanni Giovanni – rispose lei buttandogli le braccia al collo come hai potuto dimenticarmi?”

Giovanni rimase attonito e si lasciò baciare sulle guance, sugli occhi e sulla bocca e quando lei allontanò leggermente il viso per avvolgerlo con lo sguardo, riconobbe gli occhi ardenti della ragazza con cui undici anni prima aveva trascorso una meravigliosa notte d’amore.

Rimasero così per alcuni istanti e, tenendo i loro visi vicinissimi, ritrovarono quell’attrazione che assieme ai loro corpi aveva unito le loro anime.

Fu lui a essere richiamato alla realtà della situazione e, riflettendo sul fatto che si trovavano in un edificio pubblico le disse :

“Può entrare qualcuno da un momento all’altro che interpreterebbe male i nostri sentimenti”.

Si sedettero pertanto su due sedie non troppo vicine. Ma continuando a guardarsi negli occhi come per ritrovare nel loro animo la dolcezza dell’antico amore.

Giovanni fu il primo a riprendere il controllo dei propri sentimenti e cominciò col giustificarsi per non averla subito riconosciuta.

“ Il mio ricordo – le disse – era legato non solo a una ragazza dagli abiti dimessi e dall’aspetto stanco, ma anche dall’ambiente decisamente rustico di quel magazzino , mentre oggi ho visto una avvenente gran signora indossante un abito completo di capello ed altri accessori di tale eleganza da pensarlo firmato da un famoso stilista di moda. Anche l’ambiente non è quello della penombra ovattata che favorisce le passioni, ma quello luminoso del mattino reso gioioso dalla spensieratezza dei bambini”.

Lei sorrise compiaciuta per il complimento, accettò le argomentazioni del giovane e come gratifica gli raccontò come era vissuta durante gli undici anni trascorsi dal loro unico incontro.

“ Mi accorsi di aspettare un bambino subito dopo il matrimonio – esordì- e anziché dedicare le mie attenzioni ad un marito che mi era stato imposto dai miei genitori dedicai le mie cure al mio primo e unico figlio. Col trascorrere degli anni mio marito fece di tutto per farmi dimenticare che io non lo avevo né scelto né accettato, ma solo subìto: mi lasciò libera di frequentare le mie amiche (fra cui sua sorella che nonostante la differenza di età mi insegnò a ballare), mi accompagnò ai veglioni in maschera durante il carnevale e mi lasciò andare in vacanza al mare mentre lui rimaneva in città al lavoro”.

Quindi continuò: “Mi lasciò inoltre libera di recarmi anche sola, ogni pochi giorni, ad Enas dove ereditai dai miei nonni materni uno stazzo, con vasti terreni intorno, per tutelare i miei interessi”.

“Cosi sono trascorsi gli anni ; con le giornate spesso monotone, ma piene del ricordo di un ragazzo che mi ha fatto gioire in tre ore più di quanto abbia gioito nel resto della vita”.

Quella sincera confessione intenerì il giovane, che al posto dell’imponente, bella e raffinata signora vide nella sua interlocutrice esclusivamente la dolce ragazza che gli aveva dato tutta se stessa alcuni anni prima.

Fu tentato di prenderle la mano e di stringerla fra le sue, ma col trascorrere dei minuti sul suo rinascente sentimento per lei prese il sopravvento il suo carattere razionale e, pur avvolgendo il suo viso con uno sguardo di tenerezza, si tenne ad una distanza sufficiente per non destare sospetti in qualcuno che fosse entrato improvvisamente.

Fu previdente perché la porta sì aprì silenziosamente e sull’uscio comparve un bidello che vedendoli disse:

“Scusi professore credevo che fosse già andato via ed ero venuto per pulire l’aula”.

Istintivamente, dimostrando di avere una notevole prontezza di riflessi nell’irrigidire l’espressione del viso, lei si alzò, dicendo con rispetto:

“ Professore la ringrazio per le informazioni, ma desiderando chiederle altre delucidazioni, le vorrei chiedere un colloquio per domani”.

“Non occorre – replicò Giovanni- devo consegnare questi fogli al preside e sono nuovamente a sua disposizione”.

Quindi, rivolto al bidello: “ Signor Bardanzellu, accompagni la signora nella sala professori dove mi aspetterà mentre io conferisco col preside”.

Quando si allontanarono, il giovane si recò in presidenza per consegnare l’elenco dei nuovi alunni della scuola.

Appena lo vide il capo d’istituto gli disse:

“ Bravo Ruiu! Tu sei un militare nato. Utilizzerò questa tua qualità dandoti l’incarico di organizzare l’ingresso degli alunni nella scuola”.

“Accetto- rispose Giovanni- ma dal momento che dovrò essere sempre a scuola prima dell’inizio delle lezioni, vorrei insegnare la mia materia nelle prime ore della mattinata e, siccome abito fuori sede, desidero avere libere le ultime tre ore del venerdì e tutto sabato”.

La condizione fu accettata e Giovanni potè cosi trascorrere tutto il fine settimana in famiglia nella sua città.

Non fu del tutto soddisfatto però di quella soluzione, in quanto lo impegnava ad assolvere un compito che esulava dai suoi doveri e per di più senza alcuna indennità accessoria oltre allo stipendio.

Raggiunse quindi la sala dei professori dove trovò Lidia in attesa. La sala era vuota perché gli insegnanti erano andati via (la scuola però rimaneva aperta per il funzionamento della segreteria) così i due giovani potevano parlare liberamente del tempo trascorso.

Fu Lidia che raccontò per prima le vicende della sua vita dicendo:

“Sono nata in uno stazzo gallurese dove ho trascorso i primi anni della mia fanciullezza circondata dall’affetto dei miei genitori e degli altri familiari. Fu quando compii il tredicesimo anno e dopo il nostro trasferimento ad Olbia che cominciò per me l’assillante limitazione della libertà: potevo uscire di casa solo in compagnia di mia madre o di qualche zia, persino durante la passeggiata quotidiana al corso, in compagnia di qualche ex compagna di scuola, mi sentivo controllata e se si avvicinava qualche ragazzo, sopraggiungeva subito qualche “zietta” che mi invitava a rincasare con lei”. Lidia continuò il racconto:

“Mia madre e le mie zie, seguendo una tradizione antica, prendevano troppo sul serio l’integrità fisica, senza curarsi delle esigenze dei sentimenti. Non consideravano per niente il fatto che sottoposta com’ero al loro assillante controllo, non avevo alcuna possibilità materiale di perdere la mia illibatezza prima della celebrazione del matrimonio.

Così. caro, non devi meravigliarti se, anche per reazione verso i miei familiari, mi sono concessa a te che, oltretutto, non conoscevi donna come io non conoscevo uomo”.

Lidia sospese improvvisamente il suo racconto autobiografico e gli chiese con voce carezzevole:

“E tu Giovanni che cosa hai fatto di bello in tutto questo tempo?”

“Alla fine del “45”- rispose il giovane – in seguito a promozione, mio padre fu trasferito ad un’altra stazione, dove ebbe l’alloggio per se e per la sua famiglia. Io non feci il concorso per capo stazione perché preferii continuare gli studi.

Conseguita la maturità artistica, ebbi subito l’incarico per l’insegnamento. Contemporaneamente frequentai per due giorni alla settimana l’accademia delle belle arti di Roma, ma dopo il primo biennio non la frequentai più in quanto anche conseguendo quel titolo superiore non avrei avuto alcun vantaggio, né economico né di carriera”.

Si era fatto tardi. Lidia gli accarezzò una guancia, e dopo avergli detto”.

“ Ci rivedremo domani”.

Lo salutò e lasciò la scuola.

Allontanandosi dall’edificio scolastico, Lidia rincasò quasi subito. Si guardò intorno: l’ambiente, i mobili e le cose le apparvero insignificanti; come la vita che lei conduceva.

Adesso però vedeva l’immagine di lui continuamente; dovunque volgesse lo sguardo, non lo avrebbe più lasciato; quel giovane le era entrato nel sangue e sarebbe stato sempre suo; suo!

Intanto, come negli anni precedenti non avrebbe fatto accompagnare il figlio a scuola dalla collaboratrice familiare, ma lo avrebbe accompagnato lei stessa in modo da vedere tutti i giorni il suo perduto amore.

Quanto prima avrebbe trovato il modo da stare sola con lui come desiderava ardentemente il suo cuore.

Riuscì a scuotersi solo quando sentì la voce della giovane domestica che le chiedeva:

“ Signora si sente male? Non l’avevo vista mai rimanere per così tanto tempo immobile e con lo sguardo fisso nel vuoto”. Ritornata in sé Lidia le rispose che in mattinata aveva un’incombenza, ma non riusciva a ricordare quale. L’affezionata ragazza le rispose con un sospiro:

“ Non si preoccupi signora, sapesse quante volte succede anche a me quando penso al mio ragazzo”.

Al sentire quelle parole Lidia ebbe la percezione del pericolo in cui poteva incorrere se non controllava i propri sentimenti; se anche quella ragazza piuttosto semplice aveva subito intuito la verità, le proprie amiche, maliziose e indagatrici, l’avrebbero scoperta immediatamente e il castello di perbenismo che aveva costruito in tanti anni sarebbe svanito come nebbia al sole.

Non degnò quindi la domestica di alcuna risposta e uscì nuovamente di casa per acquistare dalla modista un nuovo capo di abbigliamento.

Pur cercando di reagire però la notte dormì poco sempre pensando a lui e l’indomani mattina, mezz’ora prima del dovuto, accompagnò personalmente il figlio per il primo giorno di scuola non più da scolaro ma da studente.

Arrivati al piazzale antistante l’ingresso dell’edificio scolastico, vide lui che ordinava l’entrata degli studenti: sentì un’oppressione al petto e non riuscì a distogliere lo sguardo da colui che le aveva tolto il sonno. Tuttavia ritornò a casa con l’animo lieto; le sembrò che tutte le persone che incontrava partecipassero alla sua gioia e persino l’aria le parve più dolce e luminosa dei giorni precedenti. No, non avrebbe rinunciato alla calda sensazione di benessere in cui si trovava; non avrebbe ripetuto l’errore fatto dopo il primo incontro: se per renderla felice era stato sufficiente poterlo vedere, pur senza parlargli per pochi minuti pregustava già la felicità di frequentarlo, anche onestamente, quando con suo marito sarebbero diventati amici.

Varie ma non discordanti furono le riflessioni di Giovanni quando Lidia andò via.

Aveva notato subito l’elegantissima e slanciata signora che spiccava in statura su tutte le altre madri. Era una bellissima creatura, alta, con un viso soave dal profilo purissimo e una massa di folti capelli biondi le cadevano morbidamente fluenti sulle spalle.

La vita sottile faceva risaltare il seno prorompente mentre le rotondità della sua spiccata femminilità lasciavano intravedere la sua trasparente giovinezza.

Più che la triplice collana di perle che le ornava il collo (e che sembrava frangesse la luce del primo mattino) aveva ammirato la sua bocca scintillante e carnosa che gli aveva suscitato, pur senza riconoscerla, una forte attrazione.

Adesso che si era allontanata, forse per rincasare, pensò che Lidia, questa affascinante donna che aveva ritrovato, non era l’ideale che aveva conosciuto tanti anni prima, ma era l’ideale del presente da vivere e da amare. Tuttavia considerava che si trsttava di una donna sposata.

Forse il marito, che aveva profittato dell’agiatezza che poteva garantirle per farsela consegnare dai poco sensibili genitori e tenerla come un bel sopramobile, non meritava alcun riguardo.

Però… Era sposata. Giovanni aveva un altissimo concetto del matrimonio e per nessun motivo al mondo avrebbe sedotto una donna sposata.

Nessuno dei suoi numerosissimi parenti si era preso delle libertà con le donne degli altri e tanto meno se ne sarebbe preso lui che aveva un profondo sentimento religioso e pertanto non poteva infrangere il comandamento che imponeva di “ Non desiderare la donna d’altri”.

Durante il loro primo incontro, tanti anni prima, egli la riteneva una donna libera e se dopo aver fatto l’amore, lei gli avesse chiesto di sposarla, egli non avrebbe esitato a unirsi a lei con un matrimonio riparatore.

Adesso la situazione era diversa e si sarebbe ritenuto una persona sventata e anche un po’ spregevole se avesse ripreso quella relazione che avrebbe annullato la stima di se stesso.

Non l’avrebbe evitata: sarebbe stato un atteggiamento di debolezza; fra loro due ci sarebbe stata solo dell’amicizia e lui avrebbe avuto la certezza di avere la forza di far prevalere il suo buon senso e la sua razionalità sul tumulto dei sentimenti. Nel corso della vita aveva sempre vinto le sfide con se stesso, così non dubitò di uscirne secondo dovere e coscienza anche in questa circostanza.

II. Il profumo degli asfodeli

Lidia, per un po’ di tempo accompagnò il figlio a scuola quotidianamente. Potè così vedere Giovanni ogni giorno, ma solo dopo un mese le si presentò l’occasione favorevole per parlargli.

Quando gli alunni furono avviati alle aule per l’inizio delle lezioni, si avvicinò a Giovanni e gli disse:

“Professore, mio figlio accompagnerà il padre che si recherà domani a La Maddalena per controllare la succursale della nostra Agenzia di quel centro marittimo; torneranno la sera tardi, così io, in compagnia di una mia amica, posso trascorrere la giornata nello stazzo-fattoria che ho ereditato dai miei genitori; si trova nei pressi della stazione ferroviaria di Enas: partiremo col treno delle nove”.

Si avvicinò quindi a lui ancora un po’ e soggiunse:

“Mi farebbe tanto piacere che venissi anche tu; non avere scrupoli: siamo due donne e nessuno può malignare vedendoci insieme perché crederanno che ti interessi alla mia amica, che è nubile e non ha impegni rosa.

Nel caso che non viaggiassimo assieme, ricordati che la casa è l’unica della zona ad avere la facciata tinta di verde”.

Giovanni, preso dalla curiosità di conoscere quell’amica nubile e libera, nonché desideroso di trascorrere una giornata diversa dal solito promise di partecipare alla gita-escursione.

Lidia trascorse il resto della mattinata acquistando quanto poteva essere necessario per il pranzo dell’indomani. Tanti anni di matrimonio l’avevano resa esperta nell’arte culinaria, ma dovette ammettere che il marito, parco nel mangiare e di gusti semplici, le aveva sempre facilitato il compito. I pranzi importanti erano stati consumati al ristorante o confezionati in collaborazione con parenti e amiche.

Quali gusti aveva invece Giovanni a tavola? Sotto questo aspetto non lo conosceva affatto.

Ci pensò insistentemente ma non trovando una soluzione si fece indicare un menù di sicuro successo dalla cuoca di un noto ristorante cittadino:

“Devo fare una sorpresa a mio marito al ritorno da La Maddalena” si giustificò.

Giovanni trascorse la serata precedente in uno dei due cinema cittadini e quindi in un bar della via principale della città.

Preferiva frequentare sempre lo stesso cinema per utilizzare uno dei tanti biglietti omaggio che il proprietario, padre di un suo allievo, gli regalava per non essere troppo severo col figlio svogliato e pasticcione.

Trovò posto vicino a un signore tarchiato e basso di statura il quale, durante l’intervallo tra un tempo e l’altro della proiezione, con la scusa di chiedergli che ore fossero, gli disse:

“Come mai un giovanotto niente male come lei trascorre i pomeriggi al cinema in solitudine?”.

Giovanni trovò la domanda impertinente, ma preferì rispondergli: “I pomeriggi li trascorro raramente al cinema perché preferisco dipingere, leggere o studiare; quanto agli amici e le amiche li trovo quotidianamente alla sera durante la passeggiata al corso”.

L’inizio del secondo tempo interruppe il dialogo, ma quando terminò il film il signore basso di statura gli disse:

“Visto che è solo, se lo desidera può unirsi alla nostra comitiva; le presenterò mia moglie”.

Usciti dal locale si presentò: era un consulente commerciale che aveva lo studio in città, nelle vicinanze della chiesa di San Simplicio.

Presentò poi le tre donne che erano con lui: la moglie, una donna alta, non bellissima che aspirava a diventare cantante, con una splendida capigliatura corvina; l’amica, una donna di piccola statura dalla faccia viziosa e con un paio di brutti occhiali, che aveva cercato di non accorgersi dello scorrere degli anni e anzi si credeva ancora molto vezzosa e appetibile. Non lo era affatto. Il suo petto, troppo simile a quello di un uomo e la sua piccolezza nonostante i tacchi troppo alti che calzava, la rendevano in modo assoluto poco desiderabile. La terza donna, che si teneva rispettosamente in disparte, era teoricamente un’accompagnatrice alla pari, ma di fatto una colf; era tanto bella e tanto giovane quanto l’amica pretendeva di esserlo ancora.

Aveva due grandi splendidi occhi, dall’aspetto ingenuo come quelli di un’educanda che si consuma per non corrisposto amore.

La moglie troppo alta e l’amica bisbigliarono qualcosa fra di loro e quindi la signora disse al marito dalla limitata statura:

“ Lino, perché non inviti il signore a prendere con noi il thè al bar più vicino?”

Il basso marito riferì e cinque minuti dopo il giovane si trovò seduto in loro compagnia attorno al tavolo di un bar del corso, contribuendo a realizzare un maggior equilibrio fra il numero degli uomini e quello delle donne in quell’eterogenea comitiva.

Appena seduti, le tre donne lo guardarono con una certa insistenza tanto che egli, sospettando di avere qualcosa di macchiato o comunque sporco sul viso, dopo aver chiesto il permesso, si recò al bagno per controllarsi. Non aveva nulla. Quando ritornò al tavolo però le tre donne ripresero a osservarlo, così Giovanni per togliersi dall’imbarazzo, non trovò di meglio che fare una sintetica esposizione dei fatti più salienti della propria vita.

Delle tre, l’unica avvenente era l’accompagnatrice. Era una delicata e giovane creatura, bionda e con una carnagione che la faceva rassomigliare alla porcellana finissima di Murano. Giovanni aveva intuito che si trovava li perché lo aveva desiderato la “tardona”, e pertanto, per non deluderla, riservò a lei le proprie attenzioni, ma non riuscì ad evitare qualche sguardo fuggevole verso la bellissima nordica che, benchè un po’ in disparte, era seduta proprio davanti a lui. Notando quei fuggevoli sguardi, il signore tozzo ritenne di completare la presentazione della giovane dicendo:

“ Si chiama Klara Tredup ed è di Klaghenfurt in Austria, è nostra ospite alla pari per perfezionarsi nella lingua italiana; nel frattempo da qualche volta una mano a mia moglie nelle occupazioni casalinghe”.

Anche la giunonica moglie però aveva notato quegli sguardi furtivi e ritenendo di fare cosa grata all’amica, decise di allontanarla dicendole in tono cortese ma deciso:

“ Klara, forse è meglio che rincasi adesso così potrai avviare la cena”.

Allontanatasi la bella nordica, “l’amica” ritenne di avere Giovanni tutto per sé e iniziò un discorso interminabile sulle numerose profferte d’amore che aveva ricevuto, anche recentemente, ma che aveva sistematicamente respinto.

Fra i numerosi avventori del locale, vi erano due amici del giovane, che, appena videro la bellissima accompagnatrice, tennero i loro sguardi pieni di desiderio sulla sua persona.

Quando Klara andò via, i loro sguardi, da bramosi, divennero canzonatori nei riguardi di Giovanni, sottoposto alle attenzioni morbose di quell’inguaribile tardona.

Il giovane notò i loro sorrisi e, contrariato, con la giustificazione di un precedente impegno, si congedò dai nuovi amici. Questi gli lasciarono il loro recapito, pregandolo di andarli a trovare.

Giovanni però li ritenne persone dai limitati interessi culturali e persino poco giudiziose e per la stessa loro bellissima collaboratrice aveva provato solo quell’ammirazione che si può provare per tutte le cose eccezionalmente belle come i grandi capolavori di pittura e le opere d’arte in genere, ma niente più.

Decise così di essere cortese con loro se li incontrasse occasionalmente ma di non frequentarli e, possibilmente, dimenticarli.

Quando rincasò il giovane cominciò a fantasticare sul come avrebbe trascorso l’indomani in compagnia di Lidia e dell’amica. Pensò soprattutto a quest’ultima: che aspetto fisico aveva? Era un’amica fidata? Possibile che le due amiche non avessero ciascuna un interesse personale come donne? Com’era pensabile che Lidia, così innamorata da recarsi quotidianamente a scuola (con l’alibi di accompagnare il figlio) solo per poterlo vedere e solo per vederla, per una decina di minuti, potesse scegliere una compagna che lei stessa aveva definito nubile in cerca di marito?

Com’era possibile che questa signorina non avesse capito che veniva invitata come donna schermo?

Si addormentò più tardi del solito, convinto che solo il giorno dopo avrebbe avuto una risposta alle sue perplessità.

L’indomani mattina arrivò alla stazione con un forte anticipo sull’orario convenuto per la partenza ed attese fiducioso l’arrivo delle due donne per alcuni minuti. All’approssimarsi dell’orario della partenza fu assalito da forti perplessità: non erano giunte perché il marito di Lidia non era partito? Oppure qualche contrattempo le aveva trattenute a casa? Voleva però vedere la casa dove lei aveva trascorso la sua fanciullezza, così salì ugualmente sul treno secondo le indicazioni ricevute. Quando il dirigente col berretto rosso sollevò la paletta come segnale di partenza, un velo di malinconia scese sul cuore del giovane: doveva far compagnia ad altri e si trovava solo, con la prospettiva di salire sul primo treno utile per il ritorno dopo aver soddisfatto la propria curiosità.

Qualche perplessità la ebbe anche quando arrivò alla minuscola stazione di Enas. Era l’unico viaggiatore in arrivo e quando il treno ripartì, anche senza guardarli, sentì gli occhi addosso del capo stazione e del manovale che lo osservavano incuriositi.

Infastidito dalla loro curiosità, si allontanò subito infilando l’unica stradetta che, dipartendosi da quell’eremo, raggiungeva la frazione di Enas, un agglomerato di poche case addossate ad una minuscola chiesetta che si intravedevano all’orizzonte a due chilometri di distanza.

Il cielo era terso, ma una nebbia lieve saliva ancora verso l’alto dal terreno umido di rugiada, dando a quell’ambiente naturale il senso della freschezza della vita.

Dopo un po’, quell’angusta strada campestre si restringeva in corrispondenza di una depressione del terreno al cui centro un torrente sonnolento scorreva pigramente sul proprio alveo.

Non vi era passerella o ponte alcuno per attraversarlo. Fortunatamente vi scorreva poca acqua, così Giovanni potè superarlo sopra dei cubi di pietra intervallati opportunamente.

Risalita la china si guardò intorno;nonostante la mattinata ormai inoltrata e le diverse abitazioni, anche se intervallate fra di loro, non vi era tutt’intorno anima viva, ad eccezione di un contadino con gli abiti lisi e sporchi che conduceva un carro pieno di stallatico tirato penosamente da un paio di buoi di piccola stazza, magri e macilenti.

Giovanni ebbe la tentazione di chiedere a quel contadino l’ubicazione della casa dalla facciata tinta di verde, ma le esalazioni che quel fetido trasporto irradiava tutt’intorno erano talmente forti, che il giovane preferì non avvicinarsi e continuare a percorrere ancora per un po’ quella strada polverosa.

Cominciò però a pensare che quella giornata si stava mettendo per lui piuttosto male: prima l’assenza delle due donne tanto alla stazione di partenza quanto in quella di arrivo che lasciavano intravedere l’inutilità di quel viaggio, poi quell’incontro olfattivo a cui le sue narici di cittadino non erano assuefatte.

Resistendo alla tentazione di ritornare indietro avanzò indeciso ancora per un po’ e finalmente vide dietro un rado boschetto di querce da sughero la casa con la facciata tinta di verde.

Era una casa a due piani, tenuta con cura e circondata da un giardino che la isolava dalla sughereta della facciata posteriore e da un vigneto dalle foglie ormai gialle in quella anteriore.

Tutte le sue perplessità sparirono d’incanto quando, arrivato sul piazzale antistante la casa vide Lidia sorridergli fra le tendine di una finestra. Vedendola così in attesa sentì ancora più forte quel senso di tenerezza che aveva già provato per lei undici anni prima.

Pensò che solo quando una donna, che lo amava riamata, lo aspettava così, un uomo si sentiva completo e, se la felicità esisteva, si sentiva felice. Però pensò pure che Lidia era già sposata e che lui doveva sempre tenerlo presente per non essere sopraffatto dalla passione e, a causa del rimorso, perdere anche la serenità.

Lidia la notte precedente la partenza prese sonno solo molto tardi pensando come trascorrere nel miglior modo possibile l’indomani con “lui”.

Sarebbe stata la prima volta che avrebbe trascorso un giorno intero assieme ad un uomo che non fosse stato il marito.

Giovanni però non era un uomo qualunque ma era l’unico che aveva amato e che amava: si proponeva perciò di rendergli quel giorno insieme ad Enas il più possibile indimenticabile.

Aveva fatto progetti su quel breve soggiorno fin dal loro secondo incontro, ma adesso che mancava poco a realizzarli, era irrequieta per il timore di un loro possibile insuccesso.

La mattina si era svegliata prestissimo, così aveva preferìto anticipare la partenza rispetto all’orario convenuto: avrebbe così evitato le illazioni di chi conoscendoli, avrebbe potuto vederli viaggiare insieme. Avrebbe inoltre avuto il tempo necessario per controllare che tutto fosse in ordine per riceverlo nel migliore dei modi.

Quando Lidia arrivò alla tenuta, il sole sorto da poco cominciava ad indorare il cielo e a riscaldare la terra, facendo evaporare la rugiada che, sollevandosi, dava alle cose la parvenza di un delicato ricamo.

All’arrivo trovò il piazzale di casa cosparso di foglie: fantasticò su quel fenomeno autunnale che ogni anno le ricordava, oltre alla malinconica fine di una stagione, l’affievolirsi della speranza di rivedere quel ragazzo che non era riuscita a dimenticare.

Adesso però quell’evanescente speranza era diventata realtà: così idealizzò lui come un solitario fiore divenuto frutto maturo a cui lei, per nulla al mondo avrebbe rinunciato.

Tutti i suoi pensieri erano per lui, e per contribuire ad avvincerlo con più efficacia si adoperò per rendere la casa più pulita e ordinata in modo che gli apparisse nell’aspetto migliore.

L’ansia dell’attesa però prevalse sul desiderio di perfezionare la pulizia e l’ordine della casa e, con un buon anticipo sull’orario previsto per il suo arrivo, si mise ad osservare da dietro i vetri di una finestra l’ingresso della tenuta che si apriva sulla strada che conduceva dalla stazione ferroviaria alla frazione.

L’attesa le sembrò troppo lunga: come mai non era ancora arrivato? Aveva forse perso il treno? Oppure era ritornato indietro non trovando la casa nonostante le sue indicazioni? Si rammaricò per il fatto che queste non erano state molto precise, perché gli aveva detto che la casa si trovava nei pressi della stazione mentre ne distava circa un chilometro.

Le sue preoccupazioni cessarono quando lo vide mentre apriva un’anta del cancello di accesso alla proprietà.

Resistette al desiderio di andargli incontro e solo quando lui raggiunse il piazzale, lo salutò dalla finestra e quindi, apertagli la porta lo raggiunse e gli gettò con trasporto le braccia al collo, baciandolo sul viso con tutta la passione che provava per lui.

Stettero così abbracciati senza avere alcuna percezione del tempo che trascorreva e quando si ripresero lei lo attirò all’interno dell’abitazione sempre tenendolo abbracciato.

Lo fece quindi sedere su una poltrona davanti al caminetto dove aveva in precedenza acceso un fuoco con rami di quercia, ricreando così quell’ambiente riposante e familiare che la nonna faceva trovare al nonno quando egli rincasava alla sera, spossato dal lavoro.

Giovanni nel vedere quell’ambiente si commosse: i suoi pensieri vagarono nel tempo e indugiarono nel periodo della sua fanciullezza quando la nonna preparava la parca cena che serviva sulla lunga “mesa” al marito e ai figli di ritorno dal lavoro sui campi, rinnovando così quell’unione familiare cementato dalla solidarietà e dall’affetto reciproco.

Com’era stata ingiusta la sorte nei suoi riguardi. Quella splendida creatura che gli aveva dato tante convincenti dimostrazioni d’amore sarebbe stata una moglie ideale per lui in qualunque ambiente avessero vissuto; mentre era costretto, pur senza offenderla, a contenere gli impeti della sua passione, avendo la coscienza che, assecondandola, infrangeva le regole della morale e le altre che la società imponeva.

In lei però l’amore aveva superato tutti gli argini imposti da scrupoli e doveri. Perciò gli si sedette a fianco e, gli disse con voce commossa:

“Giovanni mio, sapessi per quanti anni ho fantasticato su questo momento.”

Giovanni la guardò: quel viso trasfigurato dall’amore, toglieva a quella donna qualunque riferimento alla sua età anagrafica. La vide vagamente giovane come quando l’aveva conosciuta, ma senza età né tempo, e si ritenne non meritevole di un amore così intenso e assoluto.

Terminate quelle prime effusioni, Giovanni si ricordò dell’amica che doveva far loro compagnia.

Chiese pertanto delucidazioni a Lidia che candidamente gli rispose:

“Purtroppo non ho trovato il modo di avvisarti che non sarebbe potuta venire perché indisposta. Non turbarti molto però, vedrai che staremo bene anche stando soli”.

Giovanni, vista la passione con cui l’aveva accolto, non ne dubitò affatto.

Nonostante fosse già mattino inoltrato fecero ugualmente colazione: utilizzarono il latte, il burro e il miele prodotti nella fattoria e forniti dal mezzadro, nonché i dolci che lei stessa aveva confezionato con l’aiuto delle amiche il giorno prima.

Gli fece quindi visitare la casa iniziando dal piano superiore dove vi erano tre camere da letto arredate con i mobili ereditati dai genitori, e proseguendo quindi con il piano rialzato composto da una vasta cucina-soggiorno, un tinello e i servizi.

Lo portò infine nella parte inferiore della casa dove, dentro un vasto ambiente autonomo vi erano, oltre a tre botti piene e a vari attrezzi indispensabili per la vendemmia, un mobile multiuso e un tavolo con tre sedie.

Vi era inoltre un’ottomana vetusta ma in un buon stato di conservazione.

Lidia vi fece sedere il giovane, quindi stando in piedi gli disse: “ti ricordi Giova?”

Giovanni si guardò intorno e , pur senza volerlo spalancò gli occhi per la sorpresa: ad eccezione delle botti al posto dei sacchi pieni di grano, vi era lo stesso ambiente e gli stessi mobili della stanza dove si erano conosciuti undici anni prima!

Rimase qualche istante senza fiato mentre un tumulto di pensieri si accavallavano in lui. Uno però prevalse su tutti: quella che vedeva era una vera dimostrazione d’amore. Lui non avrebbe mai concepito una prova simile. Riconobbe che il sentimento che provava per lei era affetto, tenerezza e attrazione fisica per una bellissima donna; ma non era amore.

Sotto questo aspetto pensò che forse lei era capace d’amare più di lui ed ebbe per Lidia un’ammirazione genuina per quel sentimento incontrollabile che l’aveva travolta.

L’attirò a sé e la fece sedere al suo fianco. Le prese la mano e la strinse fra le sue finchè la sentì che rispondeva con calore.

Gli venne un rimorso di non averla riconosciuta, anche se dopo tanto tempo, e volle dimostrarle che ricordava ogni minimo particolare del loro primo incontro; così, invertendo le parti, Giovanni fece a lei quello che lei aveva fatto a lui tanti anni prima.

Al termine si riposarono per un tempo che non esisteva, stando abbracciati come due sposini.

Fu lei ad alzarsi per prima anche perché doveva preparare un pranzo completamente diverso da quelli che solitamente preparava ogni giorno.

Non sentendo la sua presenza si alzò anche Giovanni che si offrì di aiutarla come faceva il genitore la domenica quando era libero dal servizio.

Lei però volle sbrigare tutto senza alcun aiuto e, dopo avergli servito su un tavolino di metallo l’aperitivo in giardino tornò al suo lavoro in cucina.

Giovanni profittò della momentanea libertà per vedere la zona che, a causa della posizione prominente della casa, situata sulla sommità di una collina, offriva allo sguardo tutto intorno una varietà eccezionali di paesaggi.

Dal retro della casa lo sguardo poteva spaziare per chilometri lungo terreni ora solo parzialmente coltivati, ma che dovevano essere ubertosi e coperti di campi di grano e altre coltivazioni, quando erano posseduti da Ate, la bella libèrta dell’imperatore Nerone, che in questa parte della Sardegna aveva il centro dei suoi interessi agricoli e commerciali.

Più oltre, la mole dell’isola di Tavolara che aveva acceso la fantasia dei navigatori Micenei, sorgeva possente come un’immensa nave, su un mare turchino appena increspato dalla lieve brezza del mattino.

Sul fianco sinistro dell’abitazione, oltre la frazione di Enas, spiccava la breve catena montuosa di Cugnana dove le rocce rosate alternate al verde intenso della vegetazione, col loro pittoresco contrasto, facevano pensare al fiabesco scenario di un dipinto rinascimentale.

L’occhio però si posava preferibilmente a soli cento metri dalla casa, dove su un poco vasto avvallamento del terreno contornato da rade macchie di mirto spiccavano le infiorescenze giallo-argento degli asfodeli che sotto il sole del mezzogiorno, anziché dare l’idea dell’Averno o dei Campi Elisi di tradizione greca, facevano di quell’affascinante paesaggio un autentico angolo di serenità e di poesia.

In quella incontaminata oasi Giovanni, più che la vaghezza dei colori, vide l’armonia della natura, che simbolicamente gli faceva percepire il profumo degli asfodeli.

Ma era sulla facciata principale che si poteva ammirare il paesaggio più suggestivo. Oltre il giardino, l’esausto vigneto, dopo la trascorsa vendemmia, faceva pensare alla caducità del tempo con i suoi ceppi ormai privi di foglie.

Più in là si offrivano allo sguardo le piccole case sparse dell’ampia valle di “Su Canale” che sembravano perle sparpagliate a caso su un fragile tappeto verde.

Serravano l’estesa vallata della frazione due catene di alte colline che, coperte da un fitto manto verde dai colori intensi, creavano la suggestione delle montagne omeriche.

Come quelle, anche queste apparivano grandi, vive, eterne.

Osservandole si vedeva nettamente la differenza esistente fra l’opera dell’uomo, spesso effimera, tanto nei tronfi monumenti quanto in quelle casette che gli stavano davanti e quella possente della natura che aveva sempre ispirato agli uomini i pensieri sull’eternità.

Interruppe le sue contemplazioni la voce squillante di Lidia che lo chiamava per il pranzo.

Quando vide la trasformazione dell’ambiente che aveva osservato solo un’ora prima, spalancò gli occhi per la meraviglia: le persiane delle finestre erano state abbassate quasi del tutto lasciando il soggiorno in una lieve penombra. Sul tavolo, coperto da una tovaglia bianca ricamata a mano spiccava un candelabro a tre candele che, spandendo intorno una calda luce familiare, ispiravano sensazioni di romantica intimità.

Nel vedere la preparazione dell’ambiente per quel pranzo risolta in modo così imprevedibile, ma non per questo meno suggestivo, Giovanni si convinse ancora di più che la donna, quando vuole, fa autentici miracoli per far felice un uomo. Ne era la prova quello scenario che, realizzato in campagna e con povertà di mezzi, ispirava nell’animo i più caldi e dolci sentimenti più di quanto avrebbero potuto le sfavillanti luci di un ristorante di lusso.

La preparazione, (piatti, posate, calici e bicchieri per ciascuna fase di un pranzo complesso), lasciavano intravedere non un covivio improvvisato, ma predisposto nel tempo.

Lei sorrise compiaciuta leggendogli sul viso tanta meraviglia e lo invitò a sedersi nel posto assegnatogli.

La grande varietà degli antipasti di mare, i due primi alle vongole e ai gamberi, nonché i diversi secondi e contorni, sembravano però troppo complessi e raffinati al giovane, per non essere il menù progettato da un cuoco professionista anziché da una casalinga, anche se brava.

Si guardò bene però dal farglielo osservare e si profuse invece in complimenti per le “seadas” col miele sicuramente confezionati da lei e per i dolci preparati in collaborazione con le amiche il giorno precedente.

Il pranzo durò a lungo e alla fine Giovanni dovette apparirle molto appesantito se lei sentì il dovere di accompagnarlo in camera per riposare

“Mentre io rigoverno la stanza da pranzo” gli disse sorridendo affettuosamente. Arrivò perfino ad aiutarlo a spogliarsi e gli rimboccò le coperte come avrebbe fatto una madre col figlio.

Giovanni cadde in un sonno profondo e quando si svegliò sentì il corpo caldo e senza veli di lei aderente al suo mentre con le braccia lo stringeva a sé: il giovane non aveva più la pesantezza del dopo pranzo e il tepore della femminilità di Lidia gli accese i sensi e in quel giorno per la seconda volta si lasciò trascinare dalla passione.

Al termine, il sentimento dolce che li univa, li coinvolse intimamente in una comunione di anime.

Sembrava loro che persino la penombra della stanza, che li avvolgeva nel suo musicale silenzio, facesse loro godere la gioia di essere vicini e di essere arrivati a quello stato poetico che si chiama amore; di essere inoltre giunti alla felicità che prova l’anima quando può splendere, giovane ancora piena di sole.

Il tempo trascorse veloce e dovettero lasciare quel nido d’amore per recarsi alla stazione.

Viaggiarono nello stesso scompartimento, uno di fronte all’altra, ma fingendo di non essere insieme.

Accorgimento inutile, perché l’intensità dei loro reciproci sguardi rivelava la loro unione e ne ebbero conferma quando due coniugi anziani che viaggiavano nello stesso scompartimento, chiesero loro se fossero ancora in luna di miele.

Il pericolo di essere visti insieme all’arrivo, consigliò loro di essere prudenti. Scesero pertanto dal treno separatamente e con la sensazione malinconica che difficilmente avrebbero trascorso un’altra giornata così intensamente felici.

IV. Le follie danzanti

Aveva piovuto tutta la sera: non una pioggia torrenziale, quando quel forte fenomeno naturale obbliga gli uomini ad adeguarsi e adattarsi loro stessi nelle occupazioni quotidiane alle forze della natura.

Era stata invece una pioggerella uggiosa e persistente che predisponeva l’animo a sentimenti malinconici che sconfinavano nella tristezza.

A Olbia, uno dei due cinema cittadini aveva sospeso per quella sera le proiezioni ed era stato predisposto per essere utilizzato come sala da ballo pubblica e senza inviti per chiunque avesse voluto festeggiare allegramente la fine del carnevale.

Fin dalla settimana precedente, le locandine che reclamizzavano l’avvenimento erano state diffuse in tutti i locali pubblici cittadini e incollate sui muri delle principali vie della città.

Mettevano in risalto la partecipazione di un complesso musicale chiamato da fuori e la presenza di un cantante-animatore fatto arrivare da oltre Tirreno. Erano previsti giochi a premi e un concorso per eleggere la giovane più bella fra le presenti in sala.

La gioventù olbiese si mobilitò per partecipare alla manifestazione dividendosi in gruppi e clan per trovarsi il più possibile a suo agio.

Giovanni decise di parteciparvi in compagnia di Eugenio Scopelliti, un collega di lingua francese nato a Paola in Calabria. Avevano la stessa età e la loro amicizia era rinsaldata dal fatto che erano entrambi scapoli e forestieri.

Il locale pur vasto, si affollò subito dopo l’apertura e pochi minuti dopo la folla era tanta che era possibile ballare solo ritmi lenti.

La ressa aumentò la tristezza di Giovanni che, pur apprezzando tanto i dolci quanto i briosi ritmi argentini, preferì andarsi a sedere ad un tavolo per non essere urtato continuamente dalle coppie di ballerini. La maggior parte di questi erano mascherati con “domino” scuri che davano a quella folla l’aspetto di una assemblea di fantasmi in nero.

Una di queste, di media statura e dalla corporatura che s’indovinava snella sotto il lungo domino, si fermò davanti al giovane e, con la voce sottile in falsetto, gli disse:

“Come mai pur essendo così giovane, anziché ballare, sta malinconicamente seduto? E’ forse solo nonostante tutta questa moltitudine?”

Giovanni capì la persona nascosta dal domino era una donna per le sue movenze e la corporatura esile, ma in quel momento non aveva nessuna voglia di parlare con una sconosciuta. Così rispose con un asciutto

“Già” e, guardando da un’altra parte la obbligò ad allontanarsi. Non provò alcuna soddisfazione per averla allontanata e pensando ancora una volta alla solitudine in cui si trovava si immalinconì maggiormente.

La mascherina però doveva avere uno scopo preciso perché ritornò pochi istanti dopo in compagnia di un’altra persona, pure in domino che, essendo molto più alta della prima, venne dal giovine ritenuta un uomo.

La prima mascherina si allontanò, mentre la seconda, sedutasi confidenzialmente vicino a lui, con la solita voce in falsetto gli disse:

“Professore, io la conosco come una persona che sta briosamente in compagnia, come mai adesso è così solo e avvilito?”

Le parole erano cortesi e quasi affettuose e Giovanni non se la sentì di rispondere a chi doveva essere probabilmente una persona amica, almeno conoscente, in modo sgarbato. Tuttavia gli rispose:

“Senta, lei ha una notevole statura, un corpo armonico e, nonostante il falsetto che usa, una buona proprietà di linguaggio; perché allora non va a corteggiare le belle ragazze presenti in sala?” otterrebbe sicuramente in buon successo e non perderebbe il suo tempo col sottoscritto che, oltretutto ha proprio l’umore sotto i piedi”.

Il presunto uomo represse a stento una risata quindi, con ambo le mani, strinse il fluttuante domino, facendolo aderire al corpo e facendo risaltare due prorompenti seni che la svelavano senza ombra di dubbio, donna.

Giovanni restò di sasso e il presunto maschio, dopo avergli accarezzato brevemente il braccio, gli disse:

“Giova’, ho assoluto bisogno di parlarti e ti sarei molto grata se mi invitassi a ballare”.

Il giovane, ormai incuriosito, non se lo fece ripetere e, al suono dolce della “comparsita” lei gli cinse le braccia al collo e si strinse a lui.

Solo allora, dalla statura e dal modo con cui lo abbracciava egli capì che era Lidia. Tuttavia volle rassicurarsi ulteriormente chiedendogli:

“Da quanto tempo ci conosciamo?” .

“Da undici anni” rispose lei.

Giovanni non ebbe più dubbi e ricambiò l’abbraccio di lei, mentre la malinconia che l’aveva invaso fino a pochi istanti prima, sparì come per incanto.

All’inizio l’orchestra alternò ai motivi lenti musiche vivaci, ma questi ultimi, a causa dell’eccessivo affollamento di ballerini, determinò ben presto troppa confusione, per cui, per il resto della serata, furono preferiti i languidi motivi argentini.

Lidia, anche se l’orchestra suonava con un volume alto, non se curò. Perché stringendosi fortemente a lui fantasticò di avere tutto il mondo fra le sue braccia e quella musica le sembrò solo l’accompagnamento lungo la via verso un mondo di sogno.

Ebbero la percezione del tempo trascorso solo quando l’orchestra smise di suonare e l’organizzatore della serata annunciò il programma per l’elezione della più bella fra le ballerine presenti.

Lidia, ancora trasognata chiese al giovane:

“Sei venuto in compagnia?”

“Si” rispose lui sono venuto insieme a Scopelliti, un mio collega calabrese della locale scuola media; dall’inizio della festa l’ho visto solo di sfuggita; è sempre in compagnia della nostra collega di educazione fisica”.

“Vieni al nostro tavolo- soggiunse lei- ti presenterò le mie amiche”.

Al tavolo, oltre alla mascherina che gli aveva rivolto la parola prima di Lidia e che adesso era senza maschera, vi era una non più giovanissima donna smascherata. Anche Lidia si tolse la maschera, facendo quindi le presentazioni: Lalia, una donna alta quasi quanto Lidia, vestita elegantemente con tre belle collane esotiche al collo, aveva una folta chioma di capelli castani che le incorniciavano bene il viso regolare, nonostante le mascelle squadrate; l’altra amica era più giovane, ma aveva il viso armonico, bocca carnosa e una pelle chiara, delicatamente giovanile.

Dimostrarono di avere un carattere del tutto diverso: Lalia aveva opinioni personali su qualunque argomento e difendeva con fermezza i suoi punti di vista. Licia dimostrò un carattere più duttile dell’amica: conversava con piacevolezza ed esponeva con tanta ragionevolezza le sue opinioni che alla fine i suoi interlocutori approvavano le sue idee.

Intanto il gruppetto degli organizzatori del concorso di bellezza passavano fra i tavoli e parlavano con le giovani che ritenevano meritevoli di uno dei tre titoli (reginetta della serata, miss eleganza e miss cinema Balzano). Si fermarono anche al tavolo delle tre amiche e furono tutte meravigliate quando quella giuria fece diverse domande proprio a Lidia.

La giovane cercò di schernirsi, ma il rossore del suo viso denotava il suo compiacimento per la loro scelta, finché con grazia e modestia disse loro di accettare la candidatura. Il concorso era preventivato di li a un’ora. Lidia, che pure indossava un vestito elegante, telefonò alla domestica (abitava a soli duecento metri dal cinema) perché le portasse lì l’abito da sera più elegante.

Quando la domestica arrivò con la valigia piena di quanto richiesto, compresi gli accessori indispensabili, si recò con le amiche nell’apposito locale dello spogliatoio per cambiarsi.

Impiegarono quasi mezz’ora, ma quando arrivarono al tavolo dove attendeva Giovanni, questi spalancò gli occhi per la sorpresa; Lidia era completamente trasformata: l’abito da sera lungo fino ai piedi le slanciava la figura, resa più alta anche dai tacchi altissimi, i capelli pettinati con cura le scendevano sulle spalle, mentre una collana di perle dava risalto alla sua carnagione bianchissima.

Le tre elette furono invitate a salire sul podio e a ciascuna di loro fu fatta indossare una sciarpa con la scritta del titolo assegnato, una pergamena- attestato e un mazzo di fiori.

Lidia non ebbe il primo premio perché era sposata ma accettò ugualmente con orgoglio il titolo di miss eleganza.

Finita la manifestazione le amiche e Giovanni l’accompagnarono a casa e lei si accomiatò baciando tutti e tre sulle guance; a Giovanni però disse sotto voce:

“Ci vediamo nuovamente al ballo dopodomani; portati il domino, staremo insieme”.

Era ormai diventata una tradizione: per il martedì dell’ultimo giorno di carnevale, le autorità scolastiche concedevano la brevis lectio. Quell’anno invece il Provveditore agli studi ritenne opportuno non concederlo. Per un disguido postale però la disposizione arrivò solo il lunedì seguente, così il preside, con l’alibi che non era arrivata in tempo, concesse di far lezione nelle prime due ore e festa in classe per il restante orario scolastico.

Nelle prime due ore di lezione i ragazzi si dimostrarono talmente svogliati che Giovanni nella sua classe anticipò di un bel po’ l’inizio della ricreazione (“A condizione che non facciate chiasso fino all’ora in cui è stata autorizzata la festa”).

I ragazzi sciolsero subito le confezioni delle più svariate cibarie e aprirono le bottiglie di bibite, mangiando quindi voracemente una parte delle troppe vivande che avevano portato da casa.

Un’ora dopo, appesantiti da quell’alimentazione eccessiva, sedevano tutti sui banchi con l’aria stanca e annoiata.

La festa per loro era terminata prima di cominciare! Giovanni pensò che quei ragazzi di città, se non avevano quei giocattoli che venivano reclamizzati dai mass media, non sapevano proprio divertirsi. Il suo pensiero volò quindi ai tempi della sua fanciullezza, quando non esisteva la società del benessere e la povertà aguzzava la fantasia di bambini e ragazzi che con qualche rametto, delle pietruzze o, addirittura senza niente, riuscivano a divertirsi ininterrottamente per diverse ore.

Fece anche considerazioni su alcune differenze fra gli uomini del mondo rurale e gli abitanti della città. Questi ultimi erano in generale più istruiti, conoscevano maggiormente i loro diritti e si muovevano meglio nell’ambito cittadino; i “rurali” però, pur apparentemente impacciati nel traffico della città risolvevano con senso pratico tutte le situazioni nuove e inaspettate o comunque eccezionali: qualità riconosciute dalle loro donne che si affidavano a loro per avere un sostegno sicuro. Ben diverso era il rapporto cittadini-cittadine nella società dei consumi dove le donne si ritenevano uguali se non superiori agli uomini.

Vedendo tutti quei ragazzini malinconicamente silenziosi, disse loro:

“Volete divertirvi facendo qualcuno dei tanti giuochi che facevo io quando avevo la vostra età?”

Si aspettava qualche indeciso assenso e niente più; invece un coro di si accolse la proposta.

“Bene- disse l’insegnante- cominciamo per primo col gioco chiamato in dialetto sassarese “bacchetta mamma”.

Si formarono i gruppi e ragazzi e ragazze giocarono con tanto entusiasmo da attirare con le loro grida gioiose l’attenzione dei loro compagni delle altre classi.

Giovanni spiegò altri giochi e mezz’ora dopo tutti giocarono a “una monta luna”, “Lo schiaffo” ed altri divertimenti che gli avevano allietato la vita nei suoi anni verdi.

Mezz’ora prima dell’uscita gli insegnanti invitarono gli alunni a pulire i pavimenti da confezioni lacerate, resti di cibo e stelle filanti.

I ragazzi lo fecero con entusiasmo, anche come gratificazione per i tanti giochi loro insegnati e che trovarono divertenti perché consoni e adatti alla loro età.

Quando Giovanni, dopo aver indossato il domino nel vestibolo, entrò nel salone dove si ballava, vide che il tavolo prenotato dalle tre amiche era ancora vuoto.

Era venuto solo, così in attesa che arrivassero le tre donne ascoltò i ritmi che l’orchestra aveva già iniziato a suonare.

L’attesa fu breve: il gruppetto delle tre giovani infatti entrò subito dopo e vistolo isolato gli andarono incontro. Lo abbracciarono tutte, ma fu Lidia che lo prese per mano e lo condusse al loro tavolo dicendogli:

“Adesso fai parte del nostro gruppo”.

Giovanni e Lidia parteciparono al ballo come due giorni prima: stretti uno all’altra, percepivano appena le musiche suonate dall’orchestra e sognavano di essere soli, in un luogo deserto dove esistevano solamente loro e quel sentimento incontenibile che li teneva uniti.

Fu dopo la mezzanotte che Lidia sospese quel trasporto fantastico mormorandogli:

“Giovanni mio, sapessi quanto mi rattrista l’animo non poterti parlare (per salvare le apparenze), ma solo vederti, quando quotidianamente accompagno mio figlio a scuola; sapessi quante ne ho pensato in questi ultimi due giorni”.

Quindi dopo una lunga pausa soggiunse:

“Quando rimani a Olbia, dormi in albergo?”

“No- rispose lui- dormo in una casa- pensione gestita da un’anziana vedova dei paesi”

“Mi piacerebbe vederla” osservò lei quasi sovrapensiero.

“Niente di più facile- rispose ancora il giovane- si trova solo a due o trecento metri da qui e, dato che l’abitudinaria padrona di casa occupa il piano superiore rispetto a quello degli affittevoli e a quest’ora dorme sempre, posso farti vedere la mia camera quando lo desideri”.

“Anche adesso”? propose lei.

“Anche adesso” confermò lui.

Lidia avvisò le amiche- complici che si sarebbe assentata qualche istante.

“Non più di un’ora” risposero quelle ridendo.

Quando uscirono, li avvolse subito il fresco della notte; affrettarono perciò il passo, ma non tanto da non ammirare la luna che, alta nel cielo, sembrava che col suo sorriso, proteggesse il loro sogno d’amore. Giovanni fece vedere a Lidia la camera dove lui trascorreva le sue notti solitarie, quindi spensero la luce e per un’ora furono felici.

 VI. La peschiera

Era di primavera; ed era stata una di quelle giornate durante le quali, cessato il freddo invernale e non ancora iniziata l’arsura estiva, le campagne dopo essersi vestite a festa di foglie e fiori, emanavano un lieve tepore che invitava gli uomini a godere le bellezze del creato.

Il risveglio della natura ispirò a Lidia il rinnovarsi suo e della casa. Così cominciò ad abbellire questa iniziando dalle tende.

Stava infatti, con l’aiuto della giovane domestica, agganciando le nuove tende che aveva acquistato la mattina del giorno precedente, quando rincasò il marito.

Sospese il lavoro e preparò il thè che, come ogni giorno con Tosino il coniuge, al suo rientro dal lavoro, consumavano insieme.

Quella sera Tosino, fra le altre notizie gliene comunicò una (che la interessò in modo particolare) dicendole:

“Ieri sera al bar mi hanno presentato un insegnante di Giovannino nostro. Non ricordo bene il cognome, mi pare Ruiu, mentre ricordo bene il nome Giovanni perché è lo stesso di nostro figlio.

L’attenzione di Lidia, concentrata sulle tende da sistemare si spostò subito su ciò che stava dicendo il marito. Interloquì subito pertanto, osservando:

“ Gli ho parlato brevemente, assieme agli altri genitori, quando ho firmato alla fine del trimestre la pagella di Giovannino. Come modi mi è sembrato troppo riservato e formale, ma praticamente non so nemmeno se è olbiese o forestiero; a te che impressione ti ha fatto?”

“ Mi ha fatto un’ottima impressione- rispose Tosino- forse è riservato a scuola, ma ti posso assicurare che fuori dall’ambiente di lavoro è completamente diverso: vivace e brioso nella conversazione, espone senza saccenteria le sue opinioni, suffragate sempre da una conoscenza degli argomenti trattati.

Quando ha saputo che ero un genitore di un suo alunno si è dilungato sulla maturità che dimostra un uomo quando si realizza nel matrimonio e si rammaricava per la sua condizione di uomo solo.

Siamo così diventati amici e ho pensato, visto che mio cognato Stefano mi ha consegnato le chiavi della peschiera di cui è proprietario, (dovendosi assentare per una breve vacanza in Svizzera), perché non lo invitiamo a partecipare al pranzo in peschiera che abbiamo organizzato per domenica prossima con la tua amica Licia?”.

Lidia riuscì faticosamente a mascherare il suo turbamento nel sentire che avrebbe trascorso un’intera giornata con Giovanni, seppure con altri. E questa opportunità gliela offriva proprio il marito!

Non volle però lasciare intuire il suo stato d’animo a Tosino, anzi, ripresasi dalla sorpresa gli disse: “Vuoi che lo invitiamo oppure tu, senza conoscere la mia opinione, lo hai già invitato”?

Tosino dovette ammettere che l’invito lo aveva fatto lui di sua iniziativa e Lidia poté così osservare la scarsa considerazione dimostrata verso di lei, invitando un estraneo senza il suo consenso.

“In effetti è uno sconosciuto- continuò- e potrebbe annoiarsi rimanendo alcune ore in pescheria”.

“Se è per questo non dobbiamo preoccuparci- soggiunse Tosino- perché Licia è un’ottima conversatrice, anzi, visto che sono liberi entrambi, chissà… potrebbe fra di loro sbocciare qualche fiore.

“ Va bene- terminò Lidia – che venga pure, avrete così tutto il tempo che vi serve per parlare di sport, di politica e di tutti quei temi che interessano voi uomini”.

Detto questo la giovane prese una rivista e cominciò a sfogliarla: non lesse però una sola riga, ma benché mancassero ancora cinque giorni alla domenica, pensò subito di utilizzare al meglio quell’invito fatto un po’ troppo estemporaneamente dal marito.

Intanto doveva fare in modo di non lasciare sola Licia col suo Giovanni e doveva anzi chiedere all’amica di distrarre Tosino facendosi accompagnare nella visita all’intera peschiera, mentre lei avrebbe cercato di non fare annoiare troppo l’insegnante del figlio.

Una volta decisa l’iniziativa da prendere, si lasciò andare a riflessioni sulla sua situazione.

Fin dai primi tempi da coniugata si era imposta fermamente di vivere con una dignità esemplare.

Interrogando il suo passato nel matrimonio ci vedeva uno stile di vita retto, da considerare come esempio mentre la vita di tutti i giorni scorreva tranquilla, senza scosse.

Dopo aver rivisto Giovanni invece quella vita le era apparsa piatta, monotona e solo adesso poteva assaporare le gioie dell’esistenza.

Per questo aveva continuato ad accompagnare il figlio a scuola, anche approfittando della dolcezza del clima e del cielo che mantenendosi sempre azzurro, manifestava il miracolo della primavera che festeggiava in lei la nuova giovinezza che sentiva nel cuore.

Mettendo in pratica i propositi della sera, l’indomani mattina si fece accompagnare da Licia con la scusa di fare acquisti, ma in effetti per dirle:

“Giovanni, che ho conosciuto prima di sposarmi, è sempre stato tutto per me, tanto che sono disposta a fare qualunque cosa per non perderlo, perciò, dato che sei la mia migliore amica, solo a te posso fare questa richiesta. Domenica esprimi a mio marito il desiderio di farti accompagnare da lui per vedere nei dettagli la peschiera e, mentre la visitate, trattienilo il più che ti è possibile”. “ Ho già capito- rispose Licia – che hai perso completamente la testa per quel giovane.

Ti avverto che stai commettendo un grave errore, ma io come amica per questa volta ti aiuto. Però ti prego di non chiedermi più favori di questo genere”.

Quando Giovanni sentì l’invito rivoltogli da Tosino per trascorrere insieme la domenica in peschiera, dissimulò in modo maldestro la sua perplessità osservando che mentre loro due si sarebbero intrattenuti a parlare di argomenti di interesse comune, la moglie avrebbe potuto annoiarsi.

“ Non si deve preoccupare – rispose Tosino – perché verrà anche un’amica nubile di mia moglie che le terrà compagnia”.

Il giovane cercò allora di inventare lì per lì qualche impegno preso per quel giorno; Tosino però vide subito la sua indecisione e insistette tanto che Giovanni, anche per non offendere il suo nuovo amico, accettò.

Quando si lasciarono, Giovanni ebbe dei rimorsi per aver accettato quell’invito. Aveva subito provato della simpatia per quel non più giovane amico che, oltretutto, gli era sembrato una gran brava persona.

Ormai però aveva già accolto l’invito; si propose perciò di conversare quasi esclusivamente con Tosino e di prestare attenzione alle due donne solo quel tanto che bastava per non farle sentire trascurate completamente da lui.

Licia, appena lasciata l’amica, si pentì subito dell’impegno preso di portare in giro Tosino per permetterle di rimanere sola con quel giovane.

Si pentì persino di aver avvisato Lidia, dopo aver visto Giovanni seduto e con l’aria sconsolata, durante la festa da ballo.

Sarebbe bastato fare indossare un domino anche a lui, ballare insieme a coppia fissa, fargli vedere il suo viso in un angolo appartato e, con la giustificazione di farsi accompagnare a casa, restare sola con lui in un posto isolato per il tempo necessario ad iniziare una nuova relazione che, con un po’ di fortuna, poteva essere coronata con il matrimonio.

Riconobbe che Lidia con i suoi folti capelli biondi, gli occhi azzurri, la carnagione bianchissima e un corpo le cui curve attiravano lo sguardo di tutti gli uomini, era una rivale difficilmente superabile.

Riconobbe che Lidia non dimostrava affatto i suoi trentatré anni e che spesso la ritenevano sua coetanea, con la differenza che lei era sposata.

Sposata ad un uomo serio, tutto dedito al lavoro e alla famiglia, che occupava un posto di rilievo nella scala sociale della loro città.

E’ vero che aveva ben diciassette anni più di lei e, con la sua limitata statura, la magrezza e il viso già grinzoso dava l’impressione che la differenza di età fra loro due fosse ben maggiore tuttavia la circondava di tutte quelle attenzioni che ogni donna è felice di ricevere dal proprio uomo.

Il proprio uomo?

Nonostante quell’atteggiamento serio e pieno di sufficienza verso gli altri, nonché di riguardi verso il proprio coniuge che le permettevano di censurare chiunque non assolvesse pienamente ai doveri verso la propria famiglia, ecco che proprio lei, nonostante quella maschera da donna virtuosa, non solo era disposta a tutto per conservare una relazione extraconiugale. ma addirittura chiedeva all’amica nubile, più giovane di lei e più onesta, di favorire quella relazione censurabile sotto tutti gli aspetti.

Aveva dato la sua parola e, considerato lo stesso ambiente che frequentavano, non poteva più ritirarla, ma quando nel corso della giornata fossero stati tutti insieme, avrebbe dimostrato che come equilibrio interiore, assennatezza e buoni sentimenti uniti a briosità nella conversazione, non era inferiore alla sua amica, maggiorata fisica sì, ma che non era quella che voleva apparire di essere.

Fece quindi delle considerazioni sulla sua vita trascorsa. Pur essendo arrivata al suo ventisettesimo anno ancora nubile, le occasioni per sposarsi non le erano mancate.

Nella prima giovinezza quando ebbe delle speranze che però non confidò nemmeno in famiglia, cominciò a vestire con ricercatezza e seguendo la moda.

Fu un periodo di successi e la sua personalità frizzante e spumeggiante piacque a due giovani che in tempi diversi le chiesero la mano. Avevano però un’occupazione troppo precaria e scarsa volontà di migliorare, per cui aveva deciso di respingerli.

In seguito ebbe altre occasioni, ma così poco convinte che decise di lasciarle cadere senza risposta.

Adesso però aveva un’età adeguata per formarsi responsabilmente una famiglia.

Nel colloquio avuto durante il ballo con le amiche e con lui, si era fatta di quel giovane una buona impressione; perché allora non conoscerlo meglio ed eventualmente sistemarsi entrambi unendosi in matrimonio ed evitando così anche la disgregazione di una famiglia, dovuto all’insana passione di quella maggiorata ma forse un po’ sconsiderata amica?

Quando l’indomani mattina vide i due coniugi che erano venuti a prenderla con l’auto, seduti a fianco, fu ben felice di occupare uno dei sedili posteriori: avrebbe avuto lui vicino nel recarsi alla peschiera ed era sicura che proprio in quel breve tratto di strada avrebbe dato l’avvio alla seduzione.

La sua soddisfazione però durò poco, perché quando andarono a prendere il giovane, Lidia lasciò il suo posto e si sedette vicino a lei con il pretesto di avere necessità di parlarle.

Quando arrivarono alla peschiera trovarono il paesaggio marino che si offrì loro intorno talmente suggestivo che, profittando anche del leggero tepore che il sole irradiava sulla terra, decisero di fare colazione all’aperto.

La conversazione fu animata, Giovanni e Lidia, pur dandosi del lei, tesero a non ignorarsi, e per brevi periodi si guardarono seri come se si vedessero in fondo al cuore; si scambiarono delle semplici frasi, ma che, indipendentemente dal suono delle parole, sottintendevano pensieri loro comuni, in un accordo intimo e assoluto che veniva dal fondo delle loro anime.

Lei, pur ammirando il mare, gustava l’incanto di stargli vicino e chiudendosi nella sua emozione sentiva con lui qualcosa di molto dolce , tanto più dolce in quanto nessuno lo divideva con loro.

Nel corso della mattinata, mentre le due giovani erano impegnate nei preparativi per il pranzo, Tosino fece vedere a Giovanni la peschiera, soffermandosi sui dettagli tecnici e organizzativi che caratterizzavano quella piccola industria.

Giovanni, pur ascoltando con attenzione le spiegazioni percepì la crescente simpatia e rispetto che provava nei riguardi di quel suo nuovo amico e, ancora una volta, provò rimorso per il proseguo della relazione che, anche se con poca convinzione, continuava a intrattenere con la moglie.

Il pranzo, basato prevalentemente sui prodotti della peschiera, fu quanto di più genuino avesse mai gustato il giovane. Dagli antipasti di mare, alla zuppa di pesce, ai diversi secondi (calamari, pagelli, anguille e aragoste) preparati perfettamente, fu tutto un susseguirsi di ottime prelibatezze che alla fine appesantirono il giovane fino a fargli sopravvenire la sonnolenza.

Fu Tosino che, vedendolo con gli occhi semichiusi, lo accompagnò nella camera del custode, adiacente al soggiorno, dove il giovane potò riposare su un provvidenziale lettino.

Licia aveva deciso fin dalla notte precedente di non far allontanare Tosino col pretesto di visitare la peschiera, come aveva chiesto l’amica.

Adesso però vedendo Giovanni vinto dal sonno e pertanto non in grado di ricambiare le attenzioni di Lidia, decise di profittare dell’insperata situazione che si era creata.

Dopo aver aiutato l’amica a rigovernare l’ambiente chiese a Tosino, che accettò di buon grado, di visitare la peschiera.

Mentre passeggiavano lentamente parlarono poco delle tecniche di allevamento ittici e di reti per catturare pesci, ma si dilungavano sul modo migliore di far cadere nella rete il loro commensale. Quel giovane, pur frequentando diversi amici, sentiva senz’altro la lontananza dagli affetti familiari, così per colmare quella carenza di affetti, Tosino l’avrebbe invitato a casa un po’ spesso e sempre quando fosse presente Lidia.

In quell’ambiente familiare, soffuso di calore umano, le sarebbe stato facile trasformare l’attuale amicizia in amore del giovane per lei.

Lidia però aveva altri propositi e appena si furono un po’ allontanati si recò sollecitamente nella stanza dove riposava Giovanni e, stando seduta sullo stesso lettino, lo accarezzò lungamente finché lui, svegliandosi, la vide china sul suo viso.

Le sorrise con aria sognante, ma appena ebbe la percezione del luogo dove si trovavano e del rischio di essere colti in quell’atteggiamento compromettente, si sollevò di colpo e le disse preoccupato:

“Tosino e Licia sono dietro quella porta ed entrando improvvisamente e vedendoci così addossati scoprirebbero i nostri sentimenti”.

“Non preoccuparti – rispose lei – si sono allontanati per visitare la peschiera, però – soggiunse – da dietro le tendine della finestra di questa stanza, la peschiera si vede completamente e noi possiamo controllare in ogni momento dove si trovano”.

Li videro infatti, mentre a circa duecento metri di distanza, discorrevano con un’aria di congiurati.

Improvvisamente Giovanni sentì le calde braccia di lei intorno al collo e le labbra ardenti della giovane che lo baciavano sulla fronte, sugli occhi e infine sulla bocca. Dimenticò istantaneamente tutti i buoni propositi fatti in precedenza e si lasciò travolgere da quel fiume di dolcezza che sentiva irresistibile.

La passeggiata di Tosino e Licia, più lunga del previsto, fu controllata spesso da Lidia, così quando stavano per arrivare, Giovanni andò loro incontro, dicendo appena raggiuntili che si era svegliato proprio in quel momento.

Presero il caffè all’aperto, proponendosi, vista la buona riuscita di quella gita, di farne altre per cementare ancora di più quella “sincera amicizia” che si era stabilita fra di loro.

Di quella gita, ormai alla fine, tutti trassero delle conclusioni sostanzialmente positive.

Tosino fu felice delle decisioni dell’amica di legarsi, possibilmente in modo definitivo col matrimonio. Era un’amica fidata della moglie da anni ed egli era soddisfatto di quell’amicizia, considerate le doti di onestà, disinteresse e assennatezza dimostrate da Licia in tutto questo tempo.

La stessa Licia terminava, secondo lei, nel migliore dei modi quella giornata perché aveva scoperto un complice-amico che con tanto disinteresse l’avrebbe aiutata a conseguire una decorosa e definitiva sistemazione.

La giornata terminava in modo positivo anche per Lidia che aveva potuto ancora rinverdire, dopo un mese di inutili accompagnamenti del figlio, una relazione che concepiva ormai irrinunciabile per il suo equilibrio interiore e comunque dovuta a una passione superiore alla sua volontà e a cui si era abbandonata seguendo unicamente la via alla quale la portava il cuore.

L’unico che non considerava del tutto positiva la giornata, eccezionale per lui, era proprio Giovanni.

Si era reso conto, durante il pranzo, di essere al centro dell’attenzione degli altri commensali, ed aveva cercato, complici la squisitezza e prelibatezza dei cibi, di rendere spumeggiante e briosa la riunione.

Aveva quindi inizialmente subito, al risveglio del dopopranzo, le effusioni passionali di Lidia ed aveva corrisposto, dopo qualche istante, con uguale trasporto, ma adesso, approssimandosi il termine della gita, era stato nuovamente assalito dagli scrupoli per non aver saputo risolvere una volta per tutte quella relazione che il suo senso etico non approvava.

Non si accorse nemmeno dell’atteggiamento gaio e della vivacità di Licia che forse, pensandoci, avrebbe considerato di luce riflessa.

Cercò anche delle attenuanti al suo senso di colpa, considerando che, più della grande differenza di età fra i due coniugi, era l’aspetto fisico che avrebbe prima o poi determinato la differenza non colmabile fra loro; lei, oltre all’aspetto fisico aveva la passionalità di una giovane di venticinque anni, mentre lui, col suo fisico decadente e gracile denotava una vecchiaia da ultrasessantenne.

Questa differenza avrebbe potuto aumentare quel senso di ribellione verso la propria non benigna sorte che l’angustiava da troppi anni e spingerla a soluzioni extraconiugali definitive nonostante la presenza di un marito e di un figlio.

Finché lui, pur in contrasto con la propria coscienza, teneva accesa la fiammella dell’amore, attutendola un po’ alla volta, ma non spegnendola del tutto in modo traumatico, lei non avrebbe cercato soluzioni estreme.

Era pertanto convinto che facendo così avrebbe contribuito alla serenità di quella famiglia verso cui sentiva aumentare progressivamente il proprio affetto.

Così, quando lo accompagnarono alla pensione, salutò convenzionalmente le due giovani donne e abbracciò con trasporto Tosino a cui dentro il suo animo, andava tutta la fraterna solidarietà.

  VII. Plenilunio sul mare

Il mese di maggio volgeva al termine e l’intenso verde dei monti in fiore dava un senso di forza al pittoresco paesaggio che circondava la città.

Quel giorno i raggi solari, che fin dal primo mattino dardeggiavano sulla terra, davano quel tepore che preannunciava l’estate non lontana.

Lidia, accompagnando il figlio a scuola dopo un’assenza, aveva un solo scopo: vedere Giovanni e parlargli. Si ritenne fortunata quando vide che era proprio lui a giustificare le assenze.

Lo considerava ormai un amico di famiglia così, quando gli chiese di parlargli in privato, lui le rispose semplicemente: “Andiamo nell’aula- laboratorio, è sempre vuota, così possiamo parlare liberamente”.

Entrati nell’aula, lui per scrupolo chiuse la porta, ma nel voltarsi, rimase senza fiato sentendo le braccia di lei attorno al collo mentre con passione lo baciava a lungo.

Solo dopo un po’ Giovanni, riavutosi dallo stordimento, ricambiò tanta veemenza. Non per molto tempo però perché staccandosi da lei, le disse:

“Potremmo essere noi stessi stando soli nello stazzo di Enas dove non ci disturberebbe nessuno; qui però potrebbe entrare improvvisamente qualcuno che si scandalizzerebbe vedendoci abbracciati”.

Si sedettero vicini in posizione defilata da eventuali visitatori e lei, tenendogli le mani fra le sue gli disse:

“ Non occorre che ci rechiamo ad Enas per stare un po’ soli; mio marito ha preso in affitto un appartamento a Golfaranci dal 10 giugno al 10 luglio; lui però potrà venirci solo durante il mese di luglio, quando sarà in ferie. Nel frattempo noi due, anche se starò in compagnia di mia cugina che ha preso in affitto una pensione in quel centro, potremmo prendere tutti i giorni il sole insieme nella magnifica spiaggia di quel borgo di pescatori”.

La prospettiva di trascorrere per qualche tempo delle serene giornate al mare piacque subito a Giovanni che diede il suo assenso; così i due giovani si lasciarono con l’impegno d’incontrarsi a Golfaranci il giorno successivo alla fine delle lezioni.

Per quanto il fatto di vederla, parlarle e rimanere in sua compagnia, seppure in presenza del figlio, della cugina e del nipote, gli riempisse l’animo di felicità, Giovanni ebbe contemporaneamente anche qualche preoccupazione: pur facendolo apparire occasionale il loro incontro, era molto difficile nascondere, per un tempo così prolungato e con una frequenza così assidua, i loro sentimenti alla cugina che, con il suo intuito femminile, avrebbe prima o poi scoperto la tresca.

Se erano riusciti ad apparire solo amici nella precedente gita alla peschiera, lo dovevano al fatto che erano stati vicini solo poche ore, mentre al mare, dovevano stare insieme per alcuni giorni.

Così, dopo il primo entusiasmo per quel prossimo prolungato soggiorno in compagnia di Lidia, Giovanni fu preso nuovamente dagli scrupoli della propria coscienza, dovuti in buona parte alla sua educazione familiare e all’ambiente in cui era vissuto.

L’alibi che si era creato di preservare con la sua relazione la famiglia di lei da pericoli maggiori non gli sembrava una giustificazione plausibile per il proprio giudizio morale. Era un alibi e basta.

Si ripromise pertanto di comportarsi per quello che Tosino credeva: un fidato amico di famiglia e niente più.

L’indomani si recò a Golfaranci per cercare una camera sufficientemente comoda per un breve soggiorno.

Iniziò le ricerche andando a trovare Stefano, un vecchio amico che non essendo riuscito a conseguire un titolo di studio, per difficoltà economiche, si era adattato a proseguire il mestiere del genitore che, pur non essendo riuscito ad arricchirlo, gli aveva dato sufficienti possibilità di vita decorosa: la pesca.

Venne accolto fraternamente dall’amico Stefano e dalla giovane moglie.

“Sei capitato bene – gli disse Stefano – perché non dovrai più richiedere ulteriori informazioni: disponiamo, adiacente al nostro, di un altro appartamento ammobiliato che ogni anno nei mesi di luglio e agosto affittiamo a famiglie di vacanzieri galluresi. Essendo attualmente disponibile, puoi occuparlo tu per tutto il mese di giugno pagando una somma certamente modesta”.

Giovanni accettò subito e gli amici con molto senso pratico, gli fecero vedere il piccolo appartamento e contestualmente gli consegnarono le chiavi:

“Da questo momento l’appartamento è tuo” gli disse Stefano prima di allontanarsi.

Il giovane, rimasto solo, si mise a suo agio osservando fin nei minimi particolari la sua nuova dimora, anche se per pochi giorni.

Era una delle numerose case di pescatori che si allineavano nella via principale del piccolo paese.

In quella parte della casa che maggiormente la caratterizzava, come nelle altre abitazioni, si trovava il soggiorno composta dal soggiorno, dalla cucina e dai servizi. Più avanti vi era un ampio terrazzo, utilizzato per asciugare e riparare le reti; era chiuso da un cancello attraversato il quale si accedeva ad un piccolo molo dove erano attraccate due barche da pesca.

Il giorno stabilito e all’ora convenuta Giovanni incontrò Lidia al bar ristorante situato nella piazzetta del piccolo paese.

La giovane gli presentò la cugina che era con lei: si chiamava Bernardetta, aveva occhi e capelli neri, la stessa età di Lidia e un’altezza media.

Rimasta vedova di un medico tre anni prima, non si era lasciata vincere dall’apatia, ma continuando a mantenere la sua borghese onestà vedovile e l’impiego comunale, si era prodigata nell’educazione dell’unico figlio e nelle opere di bene.

Fu proprio durante l’attività benefica che divenne amica di Lidia facendo insieme collette in danaro e raccolte di abiti smessi a favore dei poveri.

Insieme divennero anche più religiose partecipando puntualmente alle messe domenicali. Bernardetta non era però una musona, anche se in presenza di estranei aveva un atteggiamento molto riservato. Adattandosi alla continua presenza di Giovanni, dimostrò un carattere gaio e pieno di brio: ne dette un saggio quando sulla spiaggia semideserta, provando un po’ di freddo, dopo essere rimasta in costume da bagno, corse e folleggiò come fosse l’immagine dell’eterna giovinezza. Giovanni però non le badava molto, felice di sentire su di lui la dolcezza dello sguardo di Lidia oltre la grazia del suo sorriso.

I pomeriggi, anziché trascorrerli al mare come nelle mattinate, preferirono fare delle escursioni fra calette e scogli e ammirare le bellezze di quella natura ancora incontaminata: ne approfittavano le due giovani per cogliere fiori campestri per adornare le loro provvisorie dimore. Alla sera invece, quando si spegnevano gli ultimi bagliori del sole, passeggiavano lentamente lungo il molo o per le vie del piccolo borgo: era l’ora in cui le campane della chiesa suonando le note dell’Ave Maria, davano un addio al giorno che se ne andava.

Si attardavano quindi ancora un po’ per ascoltare il vago mormorio delle onde che lambivano la riva prima che la brezza le smorzasse con il cader della notte.

Dopo cena, nella calma di certe notti lunari, amavano intrattenersi nel pergolato giardino antistante la casa, rievocando episodi della prima giovinezza.

Furono giorni d’incanto ma Giovanni dovette convincersi che più del fascino del golfo, del cielo sempre azzurro e del profumo della campagna in fiore, egli era attratto in quel poetico borgo dalla presenza di Lidia alla quale, nonostante gli scrupoli di coscienza, si sentiva sempre più legato dalla simbiosi dei sentimenti.

Giovannino intanto diveniva sempre più amico del cugino finché, dopo qualche giorno, chiese alla madre di poter dormire per una notte a casa di Bernardetta per fargli compagnia. Lidia esitò prima di permetterglielo, ma lui insistette tanto che alla fine le due madri lo accontentarono.

“Visto che per una notte sono completamente libera – disse Lidia a Giovanni chiamandolo in disparte- potremmo partecipare ad una battuta di pesca notturna del tuo amico pescatore e della moglie”.

Il giovane non si aspettava quella originale proposta, ma riflettendoci bene, ricordò anche lui che alcuni anni prima, durante una breve vacanza, osservando i pescatori che si recavano al lavoro, fantasticò sulla loro vita errante e desiderò, almeno per una volta, partecipare ad una loro battuta di pesca notturna in mare aperto.

Cosi, un po’ per accontentare Lidia e un po’ per soddisfare quel suo vecchio desiderio, durante il pranzo ne parlò a Stefano.

Il pescatore però si dimostrò subito poco disposto ad accettare una simile proposta.

Accennò alle numerose difficoltà a cui sarebbero andati incontro e solo quando Giovanni gli disse che tanto lui quanto Lidia erano buoni nuotatori e che lui in un precedente soggiorno a Golfaranci aveva partecipato a diverse battute di pesca, se pure non lontano dalla riva, divenendo un discreto rematore, accettò la proposta.

Giovanni e Lidia trascorsero parte del pomeriggio acquistando pane, affettati, formaggio e quant’altro potesse essere utile per la cena sul mare in condizioni così eccezionali.

All’ora convenuta si presentarono davanti al piccolo molo dove trovarono Stefano e la moglie Valentina intenti a caricare a bordo della barca coperte, acqua, arnesi e tutto l’indispensabile per la pesca.

Partirono quasi subito.

La stagione, fra la fine della primavera e l’inizio dell’estate era quanto mai propizia per la pesca. Era il tempo in cui i pescatori golfarancini di giorno stendevano le reti sulla sabbia finissima della spiaggia per asciugarle al sole e di notte si allontanavano dalla terra, pieni di fiducia nel mare provvido, per andare a pescare a tre o quattro miglia a largo di Capo Figari.

Mentre la barca si allontanava, Lidia ammirò ancora una volta il paesaggio di Golfo Aranci che durante quella stagione col verde intenso dei mirti e dei lentischi contrastanti col grigio arancione degli scogli e col mare più azzurro del cielo era particolarmente suggestivo.

Entusiasmata da quello scenario, segnalò a Giovanni il gioco delle radi nubi, particolarmente rossastre in quell’ora del tramonto. Dei due rematori fu però Stefano a risponderle: “Purtroppo il colore di quelle nuvole è spesso sinonimo di tempesta e, se non vogliamo correre pericoli è opportuno ritornare a terra prima delle tre di notte”.

Fu facile profeta perché il mare, che alla partenza era liscio come l’olio, cominciava, anche se debolmente ad incresparsi.

Intanto la riva si allontanava sempre più: le luci del borgo, rosseggianti sotto l’arco della grande montagna, impallidivano progressivamente finché scomparvero: rimase solo, alta sul monte, la luce del faro che indicava la terra ai marinai. Dopo alcune ore di navigazione, mentre Giovanni dava delle deboli spinte alla barca, Stefano buttò le reti e Valentina iniziò a dondolare lentamente la piccola lampara per attirare i pesci. Lidia invece, osservando quelle operazioni che vedeva per la prima volta ebbe, complice la notte, pensieri romantici e fantasticò persino di partecipare ad un sogno: il sogno poetico di una notte di mezza estate.

La barca fu fermata e, mentre Stefano e Valentina continuavano le operazioni della pesca, Giovanni vedendo Lidia col viso trasognato le andò vicino e le prese le mani fra le sue. La notte era tiepida e luminosa e il ritrovarsi in quella barca dondolata dalle onde sotto un cielo profondo e stellato diede ai due giovani la sensazione di confondere il sogno con la realtà e di trovarsi liberi di amarsi senza dare spiegazioni a nessuno.

La pesca fu abbondante e al termine, iniziando il ritorno a casa, anche Stefano e la moglie, soddisfatti del risultato, si sorpresero ad ammirare il sereno plenilunio sul mare. La contemplazione fu di breve durata: quasi improvvisamente il cielo si coperse di nubi e il vento li sorprese, prima soffiando lievemente poi mugghiando sempre più violento. Si trovarono a molte miglia di distanza da Golfo Aranci, mentre la costa più vicina, dalla parte opposta di Capo Figari, dove avrebbero potuto attraccare in un’insenatura al riparo dal vento, era distante solo due miglia.

Stefano non esitò e, coadiuvato da Giovanni, vogando con forza diresse la barca verso quell’approdo.

L’imbarcazione però, nonostante gli sforzi, non fece alcun progresso. Come l’aratro riduce in solchi il terreno, così il vento di nord ovest aveva ridotto la superficie del mare in un immensa superficie di onde spumeggianti.

Sarebbe stato da insensati cercare di andare in quella direzione, così Stefano decise di passare al largo del gran monte, incunearsi fra le sue pendici e l’isolotto di Figarolo per approdare infine a Cala Moresca.

Fu riaccesa la piccola lampada che, oltre a rischiarare la convulsa manovra, doveva segnalare a poco probabili soccorritori quel guscio di noce che stava per affondare ogni volta che sprofondava fra un cavallone e l’altro: più che un’invocazione di aiuto, sembrava l’ultima luce che illumina i moribondi.

Fu durante la virata che la barca, trovandosi diagonalmente rispetto alla direzione del vento, corse il maggior pericolo di affondamento e solo apponendo la massima resistenza coi remi i due uomini riuscirono ad evitare il naufragio.

Il peso del carico era però eccessivo: le sponde della barca divenute molto basse, se offrivano poca presa alla furia del vento, lasciavano entrare l’acqua da tutte le parti. Inutilmente Lidia e Valentina cercarono, con la forza della disperazione, di svuotarla; la massa liquida aumentava sempre, così Stefano diede loro l’ordine di buttare a mare tutto quanto riempiva la barca: le ceste col pescato, le taniche con l’acqua, l’ancora, gli attrezzi per la pesca e persino le coperte per coprirsi.

Valentina obbedì con le lacrime agli occhi e guardò con rammarico quella parte della loro ricchezza che galleggiava un po’ sull’acqua prima di affondare. La barca alleggerita del suo carico balzò in avanti come un levriero, galleggiando agile sulla cresta delle onde e rendendo meno pesante lo sforzo dei due rematori. Lo stesso vento soffiando sulla loro direzione li spingeva in avanti.

Nel canale fra Figarolo e Capo Figari però i marosi, a causa del restringimento dello spazio erano particolarmente violenti. Passare era impossibile, così Stefano dovette rinunciare al vicino approdo di Cala Morena; indietreggiare non era pensabile perché si sarebbe dovuto andare incontro ai gorghi di quella marea tumultuante; pertanto il pescatore, dopo essersi fatto il segno della croce, decise di seguire l’unica via possibile per salvarsi e salvare gli altri: affidarsi al vento che avrebbe spinto l’imbarcazione da poppa.

Seguirono quindi la direzione delle onde che fuggivano spinte dall’uragano e tenendosi sulla sommità dei cavalloni a forza di remi.

Aggirarono così Figarolo e, al riparo di quell’isolotto, entrarono in un tratto di mare meno sconvolto.

Un po’ alla volta il vento perse forza, finché cessò del tutto: le onde si appianarono e il mare ritornò calmo.

Mai le luci artificiali che illuminavano fiocamente il borgo apparvero così luminose a quei quattro scampati alla morte; mai i due giovani remarono con tanta foga per raggiungere finalmente quella meta; mai Lidia aveva provato tanto affetto come lo sentiva per questa nuova amica che abbracciava fraternamente mentre le luci della salvezza apparivano sempre più vicine.

Quando la barca attraccò al piccolo molo tutti balzarono a terra con un senso di liberazione e, mentre Stefano apriva l’uscio della loro modesta abitazione, Valentina colse dei fiori che ingentilivano lo spazio fra la casa e il mare. Entrati nella loro dimora depose i fiori sulla mensola che sosteneva la statuina della Vergine della Speranza, davanti alla quale ardeva una lampada ad olio, ex voto per un altro scampato pericolo.

Valentina e il marito ringraziarono la Madonna, che ancora una volta aveva salvato la loro famiglia, mentre Giovanni e Lidia rivolsero alla Vergine la loro gratitudine per averli fatti uscire incolumi da una situazione tanto pericolosa.

La fatica, lo spavento e le emozioni avevano messo a dura prova la resistenza dei due giovani, così, dopo i ringraziamenti e la promessa di rivedersi l’indomani, Giovanni e Lidia si congedarono dai loro nuovi amici.

Il giovane accompagnò Lidia fino all’ingresso della sua abitazione e si apprestava a congedarsi a sua volta per raggiungere la sua pensione, ma lei lo prevenì dicendogli:

“La prova che ho sostenuto è stata superiore alle mie forze per cui ti prego di non lasciarmi sola per il resto della notte che ci rimane”.

Il giovane, stremato fisicamente per la lunga vogata a cui non era abituato e accomunato a lei anche da quella durissima prova, fu felice di accettare quell’invito perché era talmente esausto che riteneva troppo faticoso persino dover percorrere a piedi, quelle poche centinaia di metri per raggiungere la propria pensione.

Consumarono svogliatamente lo spuntino che lei improvvisò sul momento e rimpiansero l’abbondante cena che avevano organizzato in un’intera serata di acquisti e che avevano dovuto buttare a mare assieme a tutto il resto per potersi salvare.

Andarono quindi a riposare insieme, ma il sonno ristoratore stentò ad arrivare: l’abbondante pesca perduta dai loro amici, la barca traballante sempre in pericolo di affondare, la furia continua dei marosi, li tennero svegli lungamente finché, tenendosi stretti come per difendersi da quei fastidiosi pensieri, fecero l’amore.

Riuscirono così a rilassarsi un po’ e cadere finalmente in un lungo sonno ristoratore.

Quando si svegliarono, il sole già alto nel cielo, faceva filtrare i suoi raggi luminosi dalle imposte semiaperte.

Nonostante l’ora tarda però preferirono riposare ancora per lungo tempo stando distesi, in quel dormiveglia che permette agli esseri umani di pensare in modo non ben definito e di sentire rumori, suoni e voci prima di avere la volontà di agire come le persone completamente sveglie.

Solo poco prima di mezzogiorno Lidia raggiunse l’amica e i due ragazzi sulla spiaggia. Fu accolta con preoccupazione: era la prima volta, lei così puntuale, che arrivava con tanto ritardo. La giovane la tranquillizzò subito dicendole:

“Ho trascorso tutta la mattina facendo le pulizie straordinarie della casa; forse verranno a trovarmi due mie lontane parenti e ci tenevo a far trovare nel massimo ordine l’abitazione”.

L’amica trovò la spiegazione plausibile e quindi commentò lungamente i fastidiosi rumori, causati dal forte vento, che durante la notte l’avevano tenuta sveglia per alcune ore.

Lidia fu sul punto di raccontarle che l’uragano a lei aveva causato ben altri disagi, ma nonostante l’affetto che l’univa all’amica, preferì essere prudente e non raccontarle il pericolo a cui si era esposta nella notte.

Seguendo la consuetudine si rividero tutti alla solita ora del pomeriggio al bar della piazzetta per sorbire l’ennesimo gelato.

Dopo aver chiesto il permesso all’amica Giovanni e Lidia si recarono in casa di Stefano e Valentina per esprimere ai loro amici la loro solidarietà per le perdite subite; trovarono i due coniugi seduti mestamente davanti alla loro barca ridotta a un guscio vuoto.

Nel vederli, mentre Stefano cercò di modificare l’espressione disperata del viso, Valentina scoppiò in lacrime. Inutilmente Lidia abbracciandola e carezzandole il viso, cercava di confortarla. Quando i singulti si calmarono un po’, diede sfogo, lamentandosi, alla sua disperazione.

“Siamo troppo poveri per riacquistare tutto quello che è indispensabile per lavorare e senza l’attrezzatura necessaria, come possiamo pescare e, di conseguenza, come potremo vivere?”

Nel sentire quei lamenti, Giovanni pensò subito al modo più pratico per risolvere il loro problema. Chiese pertanto all’amico l’entità del danno che avevano subito. La somma era abbastanza consistente in quanto equivaleva a un mese del suo stipendio di insegnante.

“Potreste chiedere un mutuo bancario”

propose il giovane.

“Non ce lo concedono – rispose il pescatore, perché non avendo uno stipendio fisso e sicuro non diamo sufficienti garanzie”.

“Possedete però due appartamenti – replicò il giovane – e impegnandone uno, le banche il credito ve lo concederanno sicuramente”.

“Forse così ce lo concedono – sostenne Stefano – ma rischiamo di perdere la casa impegnata se, a causa di una stagione di pesca non positiva non riusciamo a pagare il debito entro i termini della scadenza”.

Giovanni si convinse che l’avvilimento del pescatore per le difficoltà economiche in cui si dibatteva poteva portarlo alla disperazione, così decise di comportarsi da vero amico aiutando Stefano anche materialmente. Chiamò pertanto Lidia in disparte e le disse:

“I nostri amici non sono in grado di superare da soli il disagio momentaneo in cui si trovano: possiamo aiutarli pagando, in parti uguali, la metà della spesa per l’acquisto delle attrezzature da pesca?”

La giovane, desiderosa di aiutare i nuovi amici, si disse pronta a versare anche subito la sua quota e presa da giovanile entusiasmo, lo baciò con passione. Si congedarono quindi dai due pescatori e si recarono insieme alle loro pensioni dove compilarono i due assegni.

Solo mezz’ora più tardi si ripresentarono dai due coniugi che non nascosero la loro meraviglia nel rivederli.

Fu Giovanni a spiegare il motivo di quella seconda visita dicendo loro:

“Forse senza l’aumento del peso dovuto alla presenza delle nostre persone, non sareste stati costretti a buttare a mare pescato e attrezzi per salvarci. In ogni modo liberando la barca da tutto quel peso avete salvato la vita non solo a voi, ma anche a noi.

Intendiamo così dimostrarvi la nostra riconoscenza, contribuendo alle spese e pregandovi di non rifiutare questi due assegni”.

Nel ricevere gli assegni i due pescatori rimasero senza fiato per la meraviglia e quando lessero gli importi abbracciarono fortemente Giovanni e Lidia con gli occhi lucidi per la riconoscenza.

Terminati i ringraziamenti, Giovanni disse loro:

“Spero di mettervi in condizioni di saldare l’altra metà della somma necessaria per acquistare le attrezzature senza ricorrere alle banche; per adesso non vi prometto niente ma stasera spero potervi dare buone notizie”.

Congedatosi da loro, Giovanni andò quindi a trovare Arturo Moroni, un suo amico di vecchia data.

Era questi l’unico grosso commerciante del piccolo borgo; possedeva quasi tutti i pescherecci del luogo che dava in uso ai pescatori, ricavandone un terzo di tutto il pescato. Acquistava quindi il rimanente che rivendeva nei principali mercati della Sardegna. Era anche il proprietario dell’unico grosso emporio del pesce, che gli permetteva di vendere i generi alimentari e altri prodotti in regime di assoluto monopolio.

Giovanni espose all’amico Arturo le momentanee difficoltà economiche di Stefano e gli chiese se poteva prestargli la somma necessaria per riprendersi.

“Mi meraviglia che non mi abbia chiesto direttamente la somma necessaria – rispose Arturo – sono diversi anni che mi vende tutto quello che pesca; non gli resta che continuare a farlo ed io, naturalmente, tratterrò un terzo della somma finché non mi salda il debito”.

Giovanni trovò ragionevoli le condizioni richieste, e gli indicò la somma che serviva al pescatore.

Arturo compilò quindi l’assegno con la somma richiestagli, l’intestò a Stefano e lo diede a Giovanni dicendogli:

“Consegnalo tu stesso al tuo amico, è una persona onesta e sono sicuro di potermi fidare”.

Lasciato il commerciante, il giovane ripassò nella piazzetta dov’erano Lidia, l’amica e i figli, si trattenne un po’ con loro e quindi, assieme a Lidia, andò a trovare ancora una volta i due coniugi.

“Ecco qua – disse Giovanni, appena i due giovani furono fatti accomodare – voi che ve la cavate così bene sul mare, siete indecisi sulla terraferma”.

“Le vostre preoccupazioni sono finite” soggiunse consegnando loro l’assegno.

Espose quindi le condizioni di pagamento, che furono trovate ragionevoli e adatte alle loro possibilità.

I due pescatori li ringraziarono ancora una volta calorosamente e quando Giovanni e Lidia li lasciarono avevano quasi dimenticato la loro disperazione di alcune ore prima. I due giovani, soddisfatti per la buona azione compiuta, raggiunsero lietamente l’amica e i due ragazzi. Questi però, ignorando i motivi di tanta soddisfazione, espressero la loro preoccupazione per la prolungata assenza.

L’indomani mattina i due coniugi si recarono a Olbia ed acquistarono tutto il necessario per poter continuare il loro lavoro.

Poterono così far vedere a Giovanni e Lidia la loro barca carica della nuovissima attrezzatura da pesca e li invitarono a casa loro per una cena a quattro, come in quattro avevano rischiato di morire in quella notte di tempesta.

La cena, preparata con i prodotti del mare più squisiti, fu varia e degna di un ristorante di lusso e cementò la loro amicizia come solo può farlo il pericolo di perire insieme sul mare.

Quando, dopo cena, i due giovani si congedarono dai loro amici, non rincasarono subito, ma preferirono attardarsi un po’ per ammirare ancora una volta il plenilunio sul mare. L’astro notturno, alto nel cielo, rifletteva sul mare i suoi raggi d’argento e dava all’intorno una vaga parvenza di sogno. Mai a Giovanni e Lidia la luna era apparsa così splendente e nell’ammirarla i due giovani capirono che il loro amore reciproco era superiore all’esperienza e alla realtà materiale: era qualcosa di trascendentale rispetto ai loro stessi pensieri.

Giovannino era rimasto ospite del suo piccolo amico, così Lidia, essendo rimasta sola, chiese a Giovanni di farle vedere il suo appartamento.

Il giovane fu ben felice di accontentarla e per il resto della notte la loro unione non fu esclusivamente delle loro anime.

Continuarono a frequentare, assieme a Bernardetta e ai due bambini, la bianchissima spiaggia e gli affascinanti paesaggi che circondavano il borgo in una simbiosi che man mano che passavano le ore e i giorni diventava sempre più perfetta. Essendo terminate nel giorno precedente le prove scritte, quel sabato mattina Giovanni stava ultimando, assieme ai colleghi la formulazione dei giudizi sulla prima parte degli esami di licenza media, quando gli si avvicinò un bidello che gli disse a bassa voce:

“Professò, c’è qui fuori un signore che vorrebbe parlarle; lo faccio attendere?”

-Sì – rispose il giovane – qui ne avremo solo per qualche minuto e, uscendo potrò darle le informazioni che probabilmente desidera.-

Era persuaso infatti che fosse uno dei tanti genitori apprensivi che volevano essere rassicurati sull’esito della prova scolastica del figlio.

Fu pertanto meravigliato quando all’uscita, anziché un genitore in ansia trovò ad attenderlo Tosino che, sorridendogli, gli disse: “Ho anticipato il periodo delle ferie così, almeno per tutto il periodo degli esami, durante le ore pomeridiane potremo prendere la tintarella insieme nelle belle spiagge golfarancine”.

Pranzarono insieme e nelle prime ore pomeridiane raggiunsero con l’auto di Tosino l’amena località balneare.

Le due donne erano già al mare con i bambini e sgranarono gli occhi per la meraviglia quando videro il marito di Lidia: gli fecero delle feste così calorose e vivaci che Tosino, un po’ per il piacere e un po’ per l’imbarazzo arrossì vistosamente.

Quel rossore lo fece apparire ancora più umano a Giovanni che provò ancora una volta per quell’amico cinquantenne e con i capelli già bianchi, oltre al sentimento di amicizia, un affetto molto vicino a quello che si ha per un fratello maggiore.

Perciò, oltre al rimorso di essersi lasciato vincere dalla passione per Lidia, provò rabbia contro sé stesso per non essersi comportato secondo quei principi di onestà in cui tanto credeva.

Così, nei giorni che seguirono, pur sentendosi indissolubilmente legato a Lidia, preferì dimostrare, nelle ore che trascorsero insieme al mare, al bar o a passeggio, tutta la sua rispettosa solidarietà al suo anziano amico.

Il tempo passò in fretta, finché terminati gli esami di licenza media, Giovanni dovette lasciare quella dolce compagnia, per rientrare nella sua città, sicuro però che il suo pensiero sarebbe sempre andato a quel mare che, seppur gli aveva riservato ore drammatiche assieme a Lidia, gli aveva offerto l’occasione di trascorrere con la donna amata i più dolci momenti della sua vita.

VIII .Il valore dell’amicizia

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Questo recita il vecchio adagio che tutti conoscono e su cui contava Giovanni per dimenticare, arrivato nella sua città, la sua passione per Lidia che tanti scrupoli gli creava, essendo lei sposata ad un altro.

Invece… trovò ristretto il suo concetto di morale che gli aveva impedito di vivere uno stato di gioia viva e profonda durante le loro passeggiate tra i fiori delle campagne golfarancine.

Fiore lei stessa di esaltazione e frutto maturo del desiderio senza tempo, la vedeva camminare al suo fianco, ma non vestita come allora dei leggeri abiti che, se palesavano la vita sottile e il busto possente, non ne facevano risaltare completamente la figura, bensì con il “due pezzi”, da spiaggia che mettevano in evidenza lo splendore del suo corpo flessuoso.

Si sentiva orgoglioso di essere amato da una creatura così straordinaria e metteva a tacere le voci della coscienza che insistentemente gli dicevano:

“Non hai il diritto di desiderarla, di amarla perché ciò è contrario all’etica dell’educazione che hai ricevuto.”

Tuttavia sperava che stando lontano da lei, il suo sentimento, spogliandosi del senso di colpa, diventasse platonico e lo riabilitasse ai propri occhi.

Invece, proprio con il passare dei giorni ricordava sempre più nitidamente la sua pelle radiosa e il sorriso della sua bocca carnosa e sensuale. La vedeva limpidamente in quelle campagne vergini vicino al mare, mentre con flessioni del corpo che ricordavano l’amplesso, raccoglieva i bei fiori selvaggi di quella penisola incantata.

Si ribellava così all’idea che quella splendida donna che lo rendeva così orgoglioso dei sentimenti che aveva potuto ispirarle, potesse un giorno diventare solo un ricordo evanescente.

Pensava a lei soprattutto la sera, quando sulla spiaggia più vicina alla sua città, dopo il breve crepuscolo, sopraggiungeva la notte e una dolcezza recondita si diffondeva nell’aria.

In quei momenti rivedeva i suoi sguardi profondi e voluttuosi e il suo seno palpitante d’amore.

Non riusciva a concepire la fine di quel sogno prodigioso che era il suo sentimento per Lidia. Era come che si fosse impossessato di lui; non esisteva che lei, non voleva e desiderava che lei.

Col passare dei giorni quel sentimento, anziché diminuire aumentava sempre di più. Com’era possibile che dopo essere stato conquistato da quel sentimento, che tanto somigliava all’amore, se ne potesse separare?

Ormai era come se fosse dentro di lui, che facesse parte di lui, come il respiro.

Visse pertanto quell’estate contando i giorni che mancavano al 1° settembre, data in cui tutti gli insegnanti dovevano raggiungere le sedi di servizio.

Finalmente il giorno venne e Giovanni salì sul primo treno in partenza per Olbia, pensando che durante il viaggio si sarebbe sempre più avvicinato a lei.

Transitando davanti alla stazioncina di Enas, Giovanni volle affacciarsi al finestrino e vedere ancora una volta quei luoghi dove con “lei”, aveva trascorso le più gioiose ore d’amore.

Così per un istante rivide, trasfigurandoli, quei paesaggi che ricordava sempre come uno dei più incontaminati esempi della forza rinnovatrice della vita.

Nell’arrivare alla sua scuola fu preso da una violenta emozione: assieme ad altri genitori di alunni, interessati agli esami di riparazione, c’era lei.

Le andò incontro e, stringendole fortemente le mani, riuscì solo a mormorare sommessamente “Lidia, Lidia!” Non poté aggiungere altro; lei gli buttò le braccia al collo e lo baciò sulle guance come farebbe con un familiare, ma dicendogli sottovoce:

“Giovanni mio, sapessi quante volte ho sognato questo momento!”.

Soggiunse quindi con voce normale:

“Sono venuta per l’iscrizione di Giovanni alla seconda classe e per invitarti a pranzo da noi: è un desiderio di Tosino, che è ammalato e che ha bisogno di una presenza amica per tirarsi su col morale”.

“Rassicuralo – rispose Giovanni – verrò senz’altro.”

Avrebbero voluto dirsi tante cose, ma Giovanni dovette congedarsi e raggiungere i colleghi con i quali partecipò alla riunione plenaria degli insegnanti prima dell’inizio degli esami di riparazione.

Terminata l’assemblea il giovane si recò nella pensione occupata per tutto l’anno scolastico precedente e confermò l’affitto della camera per tutta la durata degli esami di riparazione.

Raggiunse quindi l’abitazione di Lidia e Tosino dove era atteso per il pranzo.

Gli aprì la giovane cameriera che lo fece accomodare nel salotto dove si trovava Lidia.

Aveva il viso mesto e triste, in contrasto con l’aspetto sereno di alcune ore prima, così il giovane gliene chiese il motivo

“Credevamo che il malessere di Tosino fosse terminato e lui stesso mi ha inviato da te per invitarti a venire da noi per festeggiare insieme la guarigione. Più tardi però ha avuto una ricaduta, ma lo stesso medico, chiamato subito dopo, ha diagnosticato il malessere come il risultato di una crisi passeggera che sarebbe cessata entro un’ora; invece la crisi continua ancora e mio marito è costretto a rimanere a riposo.”

In quel momento entrò la cameriera che, avvicinandosi a Lidia le disse sottovoce:

“Il ragioniere vorrebbe vedere appena possibile il professore.”

Lidia riferì al giovane il desiderio espresso dal marito e un minuto dopo entravano entrambi nella camera dove steso sul letto riposava Tosino.

Nel vedere l’amico così emaciato, con la barba non rasata da tempo e gli occhi spenti, Giovanni sentì non il semplice calore umano che si ha per un sofferente, ma il più profondo affetto per quel non più giovane amico: lo abbracciò con trasporto, lo baciò come farebbe a un fratello e fu prodigo di parole d’incoraggiamento per rimetterlo su, almeno nel morale.

Tosino infatti parve rianimarsi e, riaprendo gli occhi, sorrise all’amico che sembrava gli desse vitalità con la sola sua presenza.

Decise così di alzarsi e partecipare al desinare a cui aveva invitato il giovane.

Durante il pranzo Giovanni cercò di risollevare lo spirito dell’amico a cui sempre si rivolgeva, ma indipendentemente dal suono delle parole, per far sentire a Lidia quella comunione che sempre più univa le loro anime. Lei sentiva la dolcezza di quella solidarietà che trascendeva la loro presente situazione e si sentiva ancora più intimamente legata a lui.

Ben presto la grande stanchezza che lo spossava ebbe il sopravvento sul fisico già debilitato di Tosino che, subito dopo il pranzo, fu costretto a a rimettersi a riposo.

Giovanni, anziché andar via, preferì accompagnarlo e rimanere seduto accanto al letto per dimostrargli la sua solidarietà.

Dall’altra parte del letto si sedette Lidia che, tenendo una mano del marito fra le sue, gli dimostrava tutto il suo affetto.

Vedendola in quell’atteggiamento il suo desiderio per lei si trasformò in una maggiore affettuosità per quella famiglia tanto duramente provata. Cercò così di infondere loro il coraggio sufficiente per poter superare quel momento particolarmente difficile.

Dopo alcuni minuti però, per non stancare Tosino, il giovane preferì tacere, cosi nella camera penombrata si diffuse un mesto silenzio che gli dette l’impressione di un triste presagio.

Tuttavia col trascorrere delle ore Giovanni e Lidia, pur accomunati dal desiderio di una pronta guarigione di Tosino, ebbero la certezza che i loro cuori si fondevano sempre più l’uno nell’altra.

Infatti, se nel momento in cui salì la febbre le loro mani si incontrarono sulla sponda del letto perché ansiosi per l’aggravamento, si strinsero ancora di più quando, diminuita la temperatura, speravano ancora in una possibile guarigione .

Finalmente la febbre cessò del tutto e Tosino sollevò un po’ le palpebre, poi le richiuse per la stanchezza, ma la moglie intuì che il peggio era passato e, felice, baciò prima il marito e poi, come se fosse un altro familiare, Giovanni, riconoscente per la sua presenza solidale.

In attesa che il malato si rimettesse sufficientemente dalla crisi, Giovanni si trattenne ancora un po’ vicino all’amico, rimanendo nella sponda opposta a quella dove sedeva Lidia.

La presenza di Tosino non li divideva, anzi li univa ancora di più: entrambi rasserenati, gustavano la gioia di trovarsi vicini dopo le ore trascorse in angoscia. Non pronunciavano una parola e solo di sfuggita si scambiavano sguardi appassionati , consapevoli che si amavano maggiormente in quelle apprensioni e in quelle gioie comuni quando, anche interessandosi unicamente al malato, sembrava che proprio lui fosse il complice del loro amore.

Quando Giovanni andò via, promettendo di ritornare l’indomani, lei lo accompagnò all’uscita e un bacio, anche se breve, suggellò l’unione delle loro anime.

La notte Lidia sognò di passeggiare con Giovanni a primavera in viali costeggiati da alberi rigogliosi in fiore come le speranze del loro indissolubile amore.

L’indomani, quando il giovane ritornò nel tardo pomeriggio, trovò l’amico, gia convalescente, seduto su una poltrona. Si abbracciavano affettuosamente e Tosino, che aveva saputo della moglie dell’aiuto morale dato dal giovane la sera precedente, prima lo ringraziò, poi gli disse:

“Quando ho avuto la sensazione di essere in pericolo di vita, mi sono invocato alla Madonna perché mi salvasse ed ora che il pericolo è cessato vorrei offrire, come ex voto, un dipinto raffigurante la Vergine, alla chiesetta della frazione di Enas-quindi soggiunse:

“So che hai esposto i tuoi dipinti in due mostre a Urbino e a Pesaro e ottenuto lusinghieri successi in alcune mostre collettive estemporanee; potresti eseguire tu il quadro ex voto?”

La proposta di Tosino colse di sorpresa Giovanni che, non volendo decidere affrettatamente, si riservò di dare la risposta in tempi brevi.

La sera, nel silenzio della sua camera ci riflettè a lungo.

 IX. Gli ex voto

Pur interessandosi solo marginalmente alla pittura, materia principale dei suoi studi, Giovanni aveva ritenuto quello degli ex voto un fenomeno da studiare a fondo per le implicazioni che aveva con l’etnologia e le tradizioni popolari, tanto che ne aveva approfondito la conoscenza dando un esame facoltativo sull’argomento all’accademia di Belle arti di Roma.

Ricordava che la preparazione di quell’esame, ritenuto facile all’inizio, si era dimostrato nella pratica piuttosto difficoltoso a causa dello scarso tempo disponibile che aveva e della povertà dei mezzi finanziari a disposizione per la ricerca.

Aveva infatti constatato che moltissimi ex voto venivano conservati in santuari isolati sparsi per tutta l’isola, dove era persino difficile arrivarci.

Non aveva pertanto potuto svolgere il lavoro di schedatura e di informazione completa in tutta l’isola e si era dovuto accontentare delle ricerche nei santuari del settentrione dell’isola nelle cui pareti interne erano ancora ostensibili gli ex voto più rappresentativi: il santuario di Nostra Signora di Valverde a 7 Km da Alghero, quello di San Giovanni nelle vicinanze di Mores e, in misura minore, la chiesa del Latte Dolce a Sassari e la chiesetta di San Gavino a Mare a Porto Torres.

Anche visitando quei pochi santuari aveva rilevato la grande varietà tipologica degli ex voto perché accanto a quelli simbolici, circostanziali, ai gioielli e ai cuori d’argento, vi erano quelli figurativi come per esempio fotografie, rappresentazioni di figure o parti anatomiche e tavole ricamate o dipinte.

Aveva limitato le sue ricerche a queste ultime e constatato che molte erano state asportate, forse perchè deteriorate o per essere conservate in locali più idonei. Ciononostante lo studio di quelle rimaste gli aveva permesso di acquisire una conoscenza più che soddisfacente per la sua ricerca.

Ampliando il campo delle sue ricerche Giovanni si era interessato anche alla plastica votiva e aveva trovato interessanti le teste in legno, tanto quelle più antiche dai tratti rudi ed essenziali e dall’espressione volitiva, quanto quelle più recenti caratterizzate da una evidente nota realistica e dal tentativo di rendere la fisionomia dell’offerente.

Ma era sulle tavole votive che il giovane aveva cercato il maggior numero di informazioni possibile, non tanto su quelle ricamate che riflettevano solo una spiccata abilità artigianale, quanto su quelle dipinte, che aveva ritenuto indispensabili per la compilazione delle sue schede.

Queste tavole, pur essendo presenti in molte chiese, non erano numerose; facevano eccezione la chiesa del Latte Dolce e la chiesetta di San Gavino a Mare e, soprattutto, il santuario di Nostra Signora di Valverde dove erano numerosissime.

Nonostante il non vastissimo materiale di ricerca , l’originalità dell’argomento interessò vivamente i suoi professori e Giovanni ricordò di aver superato l’esame col massimo dei voti.

Il giovane fu tratto dai suoi pensieri dall’orologio della parrocchiale che in quel momento scandiva i dodici rintocchi della mezzanotte.

Si affacciò alla finestra e vide apparire fra le stelle l’esile falce crescente della nuova luna, l’astro però tramontava nella maestà della notte. Non sarebbe però tramontato il suo amore per Lidia e per farlo rinverdire continuamente decise di accettare l’incarico dell’amico.

Quando l’indomani ritornò a casa di Tosino però, temendo che la vicinanza fisica con Lidia aumentasse la sua passione per lei, cercò di non impegnarsi definitivamente. Nascose loro la sua preparazione, anche se solo teorica, sull’argomento e cercò di schernirsi dicendo:

“Mancano solo due giorni al termine degli esami di riparazione ed io, secondo gli accordi convenuti, devo lasciare libera la camera della pensione e ritornare a Sassari; inoltre non so se potrò accontentarvi, avendo visto solo qualcuno di questi ex voto”.

Tosino però sorrise di quelle presunte difficoltà e replicò quindi con convinzione:

“Abbiamo nel piano terra di casa due camere degli ospiti, dove potrai riposare e il tinello dove potrai dipingere per tutto il tempo necessario e in tutta tranquillità perché noi non lo utilizziamo mai. Quanto all’aver visto solo pochi ex voto, non è un problema; andremo con la mia auto a vedere la chiesa di San Paolo di Monti le cui pareti interne sono quasi del tutto ricoperte di ex voto, così potrai vedere diversi modelli a cui ispirarti”.

Giovanni era ancora esitante, ma quando incrociò il suo sguardo con quello intenso di Lidia non esitò più e si disse lieto di accettare l’incarico.

Il giovane si trattenne in loro compagnia tutta la sera e mentre conversava con l’amico in presenza di Lidia, i due giovani furono ancora una volta invasi dalla dolcezza di sapere che si amavano sempre di più e godevano il momento magico dell’ora presente senza pensare all’indomani e alle convenienze sociali.

Quando rincasò alla pensione si soffermò a guardare il giardino retrostante: la luna ancora crescente era allo zenit e gli alberi sotto la luce bianca che cadeva a piombo non avevano ombra. Però, nonostante il fascino di quella luce romantica, Giovanni sperò che l’amicizia per Tosino attutisse il crescente scrupolo di coscienza che lo torturava per la persistente passione che lo legava a Lidia.

Il mattino seguente, secondo gli accordi, i due amici si recarono con l’auto di Tosino, nella località dove era ubicata la chiesa di San Paolo di Monti, andarono prima a trovare il parroco del paese, vecchio amico di Tosino, che fu ben felice di accompagnarli al santuario.

Questo sembrò a Giovanni inferiore alla fama di cui godeva presso le popolazioni locali e lo stesso interno non era, come lo aveva descritto Tosino, completamente tappezzato da ex voto.

Vi erano infatti numerosi vuoti e il sacerdote al quale Tosino chiese spiegazioni rispose che molti manufatti erano stati rimossi perché deteriorati a causa del materiale deperibile usato, mentre altri erano stati tolti perché ridotti in cattivo stato dall’azione dell’aria e della luce. Concluse la sua risposta osservando che, ad eccezione dei dipinti protetti dal vetro e dall’incorniciatura, tutte quelle tavolette erano destinate a deteriorarsi, venendo così a mancare un prezioso patrimonio dell’arte popolare.

Giovanni, dopo aver pensato che proprio il sacerdote poteva sensibilizzare gli offerenti per la necessaria protezione delle loro offerte, iniziò ad esaminare i dipinti esposti.

Constatò così che in tutte le loro dolorose narrazioni di incidenti o di malattie i protagonisti, pur avendo un’espressione estatica o smarrita esprimevano un’evidente immediatezza comunicativa. In alcuni era evidente l’ingenuità infantile dovuta a esecuzioni degli stessi offerenti che non avevano alcuna cognizione di pittura e di prospettiva, mentre in altri, dovuti ad amici volenterosi con “la mano buona”, era riscontrabile il tentativo di raffigurare la Vergine e i santi secondo l’iconografia tradizionale.

Giovanni trovò invece interessanti alcuni quadri eseguiti da pittori più o meno colti (uno era del pittore Mario Paglietti vissuto dal 1895 al 1943) nelle cui opere era evidente l’influsso delle grandi correnti artistiche.

In tutti però, tanto in quelli “popolareschi” quanto in quelli “colti” gli autori avevano affidato l’efficacia emotiva all’atteggiamento di spavento o di disperazione oppure di fiducia o di rassegnazione.

Alla fine della visita, Giovanni ebbe ancor più la convinzione che gli ex voto non erano dovuti solo alla religiosità del popolo, in quanto rappresentavano un documento di vita, di ambiente e di costume della società popolare isolana.

Eseguì i primi bozzetti appena rincasato alla pensione e, senza badare al tempo che scivolava veloce, continuò con veemenza finché, esauriti i pochi fogli che aveva a disposizione, dovette smettere.

Fra i tanti bozzetti scelse quello che aveva il miglior equilibrio compositivo e che meglio si prestava all’illustrazione del miracolo. Aveva uno schema piramidale non centrale al cui vertice troneggiava la figura della Vergine mentre dalla parte opposta stava disteso l’infermo col volto atteggiato a meraviglia per l’apparizione, ma anche di fiducia nella sperata guarigione.

L’indomani, dopo aver acquistato tutto il necessario per l’esecuzione, preparò una tela di cm. 60×80 e due quadretti di masonite per avere due bozzetti con soluzioni coloristiche diverse.

Dovette aspettare un giorno che lo strato per la preparazione asciugasse.

Purtroppo i giorni in cui si svolgevano gli esami di riparazione scolastica erano trascorsi velocemente e l’indomani dopo la riunione plenaria dei professori, l’anno scolastico veniva considerato definitivamente ultimato e Giovanni, bloccato dalla parola data per l’esecuzione del quadro, non sapeva come risolvere il problema della camera dal momento che doveva lasciare libera quella che occupava alla pensione.

Si ritenne pertanto fortunato quando, finita la riunione, uscendo dalla scuola vide Tosino che l’aspettava con la sua auto.

Il giovane abbracciò l’amico fraternamente e non ebbe bisogno di spiegargli la sua momentanea situazione, perché Tosino gli disse:

“Sono venuto per aiutarti a fare i bagagli e a portarti a casa dove soggiornerai come abbiamo convenuto”.

Arrivati all’abitazione di Tosino, aprì loro il portoncino Lidia che li salutò festosamente e stringendo la mano a Giovanni e mettendogli la mano sulla spalla gli disse con disinvoltura:

“Ciao Giovanni, adesso per qualche giorno sei di famiglia”.

Giovanni si meravigliò per quell’insolita disinvoltura, ma la ritenne positiva per nascondere agli occhi del marito l’amore che li univa.

Chiese però espressamente a Tosino di aiutarlo a sistemare i bagagli nella camera riservatagli, prima di mettersi a tavola. Non era infatti sicuro di contenersi nel caso che fosse Lidia ad accompagnarlo in camera.

Durante il pomeriggio Tosino rientrò al lavoro e Giovannino si recò a casa di due suoi amici. La domestica rimase in cucina e Giovanni dipinse per tutto il pomeriggio sentendo sulla spalla la mano di Lidia che gli trasmetteva tutta la sua passionalità pur stando in silenzio. Non c’era bisogno di dirgli ad alta voce le sensazioni che provava per lui: queste avevano invisibili messaggeri che gliele riferivano, mentre la sua bocca muta gliele ripeteva continuamente.

Sentendo Giovanni tanto vicino a lei, col cuore e fisicamente, quella fu per Lidia una delle più felici, ma anche tormentose notti della sua vita: felice perché sapeva che il “suo” Giovanni riposava nella camera accanto alla sua, tormentosa perché le convenzioni sociali lo rendevano in quel momento irraggiungibile.

Non riuscendo a dormire volle affacciarsi alla finestra, con la giustificazione di trovare un po’ di sollievo dalla calura stagnante della camera da letto (ma con la segreta speranza di vedere affacciato anche l’oggetto dei suoi pensieri).

Lui però non c’era. Quando l’orologio della chiesa scandì i dodici colpi della mezzanotte i grandi pini nascondevano ancora la luna all’orizzonte; non nascondevano però il riverbero sempre più chiaro che l’astro notturno irradiava nel cielo. Sarebbe stato così per la sua unione con Giovanni? Lo sperava.

La camera però rimaneva in penombra, specchio fedele della sua attuale situazione, che stentava a cambiare. La mattina successiva, dopo che Tosino si era recato in ufficio, Lidia ricevette una telefonata: era la cugina che invitava Giovannino ad andare con lei e col figlio a trascorrere la mattina sulla spiaggia di Pittulongu. Il ragazzo accettò con entusiasmo e raggiunse poco dopo i parenti.

Giovanni provò una sensazione di disagio: non aveva dipinto al meglio delle sue possibilità la sera precedente sentendo sulla sua spalla la mano di Lidia che lo abbracciava e lo accarezzava alternativamente. Non era sicuro di resistere all’attrazione che continuamente sentiva per lei, per non tradire la fiducia di Tosino se si fossero ancora trovati soli.

Lo confortava la presenza della domestica che li obbligava a rispettare le apparenze.

Le aspettative del giovane però svanirono subito come la nebbia al sole del primo mattino quando Lidia mandò la ragazza ad acquistare quanto era necessario per il pranzo.

Il giovane si accinse a continuare il dipinto ma Lidia lo pregò di farle vedere i vari bozzetti che aveva eseguito come preparazione.

“Li ho in camera” le disse il giovane per eludere la richiesta.

“Devo appunto metterla in ordine – rispose lei – andiamo insieme così mi aiuterai”.

Giovanni non poté esimersi dall’affettuoso aiuto. Quando si ritrovarono soli insieme, Lidia vide in quella circostanza l’avverarsi di ogni sua gioia, ma anche il giovane capì che la solidarietà e il rispetto per Tosino non avrebbero mai potuto contrastare l’amore per lei, che non era senza ragione o causato dai capricci del cuore, ma era completo, assoluto.

Così i due giovani seguendo l’impulso che veniva dalle loro anime, si abbracciarono e, dimentichi di tutto e per un tempo che non esisteva, attinsero ancora una volta in modo completo al calice della felicità.

Furono richiamati alla realtà dal suono del campanello dell’ingresso: era la domestica che rincasava carica dei pacchi della spesa. La mattinata era inoltrata e il loro amore splendeva ancora come la luce del sole.

Nello scarso tempo rimastogli Giovanni dipinse con alacre brio fino al ritorno di Tosino e quindi per tutto il pomeriggio proseguì con impegno la colorazione del quadro principale e dei due più piccoli, tanto che alla fine del giorno il quadro maggiore era in fase esecutiva avanzata. Sopravenne però la stanchezza e Giovanni, rinunciando a cenare con gli ospiti si ritirò in camera.

Si era fatto notte, una calda notte di settembre la cui pace solenne entrava dalla finestra socchiusa. Nel cielo di cobalto scuro brillavano innumerevoli le stelle.

Giovanni spalancò la finestra, ma anche al cospetto di tanta solennità ebbe il timore di essere in colpa dal momento che si lasciava vincere dagli impulsi del proprio cuore.

Il sonno ristoratore arrivò tardi e Giovanni nella camera scarsamente illuminata dalle stelle rifletté a lungo sugli scrupoli che aumentavano a dismisura le sofferenze del proprio amore.

Si svegliò prima dell’alba, meravigliandosi che la stanza, poche ore prima semibuia, fosse invasa da un vivo chiarore: era dovuto alla luna che saliva piano piano sopra i pini, spegnendo le stelle nel cielo, impallidito per l’imminente aurora.

La giornata fu quasi una fotocopia della precedente, anzi, l’unica differenza fu che la domestica si trattenne fuori per le spese ben più a lungo del giorno precedente, dando ai due giovani ancora una volta l’opportunità di godere delle gioie dell’amore.

Pur tuttavia Giovanni, dedicandosi al quadro tutto il pomeriggio e parte della sera, riuscì a terminare il quadro principale. Così prima di cena poté far vedere ai suoi ospiti il risultato del suo impegno pittorico.

Si turbò comunque quando Tosino, osservando il viso della Madonna, ancora fresco di vernice, esclamò vivamente rivolto alla moglie:

“Lidia, ma quella Vergine sei tu!”.

Giovanni si spaventò. Erano ricorsi ad ogni accorgimento prudenziale per nascondere a tutti e soprattutto a Tosino il sentimento che li univa ed ecco che per un fattore inconscio, che lui conosceva benissimo, aveva dipinto la Madonna con le sembianze della donna che amava, correndo il rischio di far scoprire a Tosino, la passione che li univa.

Fu però un attimo perché Giovanni ripresosi subito disse: “Caro Tosino, ho osservato Lidia mentre con tutta se stessa ti assisteva nel momento del pericolo e mi sono convinto che la Vergine, nel fare il miracolo della guarigione, si sia servita proprio di lei per realizzarla.

Non per caso, ma riflettendo su questa circostanza ho voluto, pur senza usarla come modella, dipingere la Madonna con le sembianze di tua moglie”.

Tosino si commosse e abbracciando teneramente Lidia, la ringraziò per quanto devotamente e con coniugale impegno aveva fatto per la guarigione.

“Conserveremo qui in casa nostra questo magnifico dipinto – proseguì Tosino, appendendolo nella camera dove tu amico mio stai soggiornando. Al suo posto doneremo alla chiesa uno dei dipinti in formato ridotto che stai ultimando e che trattano lo stesso tema, mentre l’altro lo terrai tu come ricordo del nostro affetto”.

Il rossore diffuso che apparve sul viso di Giovanni fu interpretato come ringraziamento per la decisione presa: era invece dovuto alla vergogna e al rimorso che provava per aver carpito la buona fede dell’amico persino in casa sua; così, per non perdere la stima di sé, si ripromise di spezzare il legame che lo legava a Lidia, anche a costo di qualunque afflizione.

Dopo i suoi buoni propositi, essendo a posto con la propria coscienza, aveva sperato di dormire tranquillo, ma non fu così: il suo sonno notturno non fu sereno, ma quando, terminato il riposo, vide nel rettangolo della finestra aperta la nuova alba, già tiepida per l’imminente giornata ancora estiva, questa gli sorrise, mentre ingrandendosi splendeva nel cielo, dove le stelle si erano spente rapidamente.

In quel sorriso, specchio della propria anima, il giovane vide la soluzione dei suoi problemi. Questi non potevano venire dall’esterno. Infatti, quando si era sentito solo non era lasciato in solitudine dal mondo che lo circondava? Quale aiuto morale gli avevano dato nei momenti dell’incertezza i familiari, i parenti, gli amici e i saggi conoscenti che per cultura, religione o saggezza riscuotevano la sua stima? Nessuna. Nel momento della necessità aveva avuto solo risposte di opportunità che lo avevano convinto di essere solo. Solo con due “demonietti” invisibili che lo strattonavano per attirarlo ciascuno dalla sua parte: l’amore e il dovere dell’amicizia e della propria coscienza. Il primo, che non era solo di carattere personale, ma era insito in ogni essere vivente per la prosecuzione della specie; il secondo era solo apparentemente un dovere di coscienza, perché era il risultato della sua educazione a carattere tradizionale che gli aveva impresso i modelli del buon vivere civile della società, (qualche volta persino ridicolizzati dai mezzi della comunicazione sociale cosiddetti “moderni”). che avevano permesso un’accettabile convivenza fra gli uomini per un periodo lunghissimo.

In quell’inizio radioso del nuovo giorno Giovanni vide la speranza di una nuova vita. Una vita che fosse il naturale evolversi di quella serietà di intenti che aveva sempre ricercato fin dalla più giovane età.

Si convinse che un’esecuzione troppo affrettata dei due quadretti da ultimare poteva significare, e proprio a se stesso, un desiderio di terminare subito per sfuggire all’attrazione che lo legava a Lidia, soprattutto standole vicino. No, non poteva dimostrare a se stesso di essere capace di resistere a tale attrazione se fuggiva.

Non si sarebbe trattenuto in casa di Tosino più dello stretto necessario per terminare i due dipinti, ma non avrebbe accettato di trascorrere alcuni giorni di vacanza con loro come gli aveva proposto l’amico.

Intuì che Lidia avrebbe anche per quel giorno creato le condizioni per rimanere sola con lui, così riuscì a prevenirla dicendole durante la colazione che consumarono insieme:

“Per ottenere un buon risultato oggi lo dedicherò completamente ed esclusivamente alla pittura”.

Lidia non percepì sul momento il cambiamento dello stato d’animo del giovane e accettò di buon grado la breve interruzione delle loro effusioni, a favore della passione di Giovanni per la pittura, che lei considerava assolutamente innocua.

In quel momento non intuì che dopo la decisione del giovane, quella interruzione, anziché momentanea, per il rispetto dovuto a Tosino, poteva diventare definitiva.

Alla fine della sera il giovane terminò anche i due quadretti: uno lo consegnò a Tosino perché lo esponesse come ex voto nelle pareti interne della chiesetta di Enas, mentre l’altro lo trattenne per sé come ricordo.

Durante la cena comunicò ai suoi ospiti che per necessità familiari improrogabili era costretto a rientrare a casa l’indomani.

Si sarebbero rivisti dopo una settimana, alla ripresa delle lezioni del nuovo anno scolastico, Tosino accettò di buon grado la decisione dell’amico, ma osservò che non poteva portarsi appresso il quadro fresco di pittura senza un supporto adeguato in legno o in altro materiale che solo l’indomani mattina avrebbe potuto far preparare.

Poteva pertanto pranzare da loro per festeggiare l’ottimo risultato pittorico ottenuto e partire col treno del pomeriggio per rientrare nella sua città.

“Ci rivedremo fra una settimana- continuò Tosino- al tuo ritorno a Olbia per l’inizio delle lezioni del nuovo anno scolastico. Pranzerai da noi e nel primo pomeriggio ci recheremo tutti insiemi in auto a Enas dove scioglieremo il voto fatto alla Madonna offrendole l’ex voto che faremo esporre all’interno della chiesa di quella frazione.”

Giovanni non se la sentì di deludere un amico così ospitale e riflettendo che era difficile trasportare un dipinto ancora fresco, finì con l’accettare la proposta di Tosino.

Si propose però di trascorrere la mattinata fuori casa con la giustificazione che doveva far preparare il supporto per il trasporto del dipinto, non essendo sicuro di resistere al fascino di Lidia nel caso che fossero rimasti soli.

Quanto al recarsi insieme ad Enas accettò senz’altro in quanto la compagnia di Tosino gli avrebbe reso più facile il proposito di interrompere la sua relazione con Lidia. La giovane però non accettò di buon animo quel distacco che, a differenza del marito, riteneva troppo prolungato nel tempo.

In quei quattro giorni trascorsi insieme sotto lo stesso tetto aveva vissuto la vita incantevole che aveva desiderato, amandosi reciprocamente. Persino in presenza di Tosino, anche senza dirselo avevano trascorso ore deliziose, durante le quali avevano avvertito la loro reciproca tenerezza con la sola presenza.

Anche stando in silenzio, la vicinanza di Giovanni l’aveva inondata di una tale passione che persino l’aria circostante le era sembrata più dolce.

Quando i due uomini avevano dialogato fra di loro, le era sembrato che il respiro del giovane fosse arrivato fino a lei: aveva però preferito non interloquire per non tradirsi, sentendosi il cuore sulle labbra.

Giovanni, finalmente in pace con la propria coscienza, quella notte si abbandonò al sonno più profondo.

Fu svegliato dal bussare discreto alla porta quando il sole, già alto all’orizzonte, attraverso la finestra semiaperta, inondò di luce la camera.

Ancora assonnato vide Lidia che, sorridendogli, posava sul piano del comodino il vassoio con la colazione.

Non gli avevano mai servito la colazione a letto, così il giovane non si ritenne sicuro di non stare ancora sognando ma, appena completamente sveglio, fantasticò su quanto può essere bella la vita per un uomo quando è veramente amato dal “gentil sesso”.

Dopo pochi istanti però la situazione in cui si trovavano lo preoccupò, così disse alla giovane:

“Forse sei stata un po’ imprudente nel venire sola da me; potrebbero sorprenderci i tuoi familiari o la domestica”. “Stai tranquillo – rispose lei – mi sono accertata, con una telefonata, che Tosino e Giovannino si trovano già nella nostra Succursale di Golfaranci e ritorneranno solo per il pranzo.

Quanto alla domestica, l’ho mandata, dopo aver preso le misure del tuo quadretto, nella segheria di mio zio che mi ha promesso di prepararti entro mezzogiorno una cassetta idonea al trasporto del quadretto che devi portar via”.

“Ma potrebbe sbrigare la commissione in mezz’ora”, osservò il giovane. “Non credo – replicò lei – perché, oltre ad acquistare l’occorrente per il pranzo dovrà ritirarmi un documento da un ufficio che apre alle undici”.

Il giovane l’ammirò col pensiero per l’abilità con cui aveva superato tutti gli ostacoli che le impedivano di rimanere sola con lui, le fu grato per la gentilezza, per lui insolita, riservatagli ma soprattutto per la sua prorompente vitalità, così fu attratto irresistibilmente da lei. Anche Lidia sentì aumentare progressivamente la sua passione, per cui i due giovani cedettero all’amore che li dominava entrambi.

Tuttavia quando nel pomeriggio Tosino accompagnò il giovane alla partenza del treno che lo avrebbe portato a casa, Giovanni si sentì profondamente amareggiato per l’ennesimo torto fatto all’amico e nel salutarlo fraternamente fece voti col pensiero di evitare qualunque occasione di rimanere solo con Lidia quando, in occasione dell’inizio del nuovo anno scolastico, sarebbe ritornato fra loro. Era però una promessa che aveva fatto a se stesso altre volte, ma inutilmente: l’amore aveva sempre prevalso sull’amicizia.

X. Nell’incanto dell’isola

Le prime ore di quel supplemento di vacanza furono per Giovanni piene di mestizia e solo la proposta fattagli dall’amico Antonio di recarsi insieme a La Maddalena per dipingere dal vero alcuni aspetti della cittadina lo rese meno melanconico.

Dopo la passeggiata serale con gli amici nel rincasare costeggiò i giardini pubblici.

Nel silenzio della notte si udiva solo lo stridìo di un uccello notturno. Nonostante la centralità della zona, il brusio della città non vi arrivava; sembrava che gli alti alberi del giardino attuttissero i rumori per restituirli alle strette vie del centro fiancheggiate da altri palazzi.

Non aveva fretta di rincasare Giovanni e camminava adagio come se l’angustia della separazione da Lidia gli opprimesse il cuore e persino lo spirito.

Il giovane, pur melanconico era allo stesso tempo tranquillo, avendo la certezza che trascorsi dieci giorni, rientrando in servizio, avrebbe potuto rivederla.

Questa persuasione lo rese ancor più sereno e sembrò che tutto ciò che lo circondava gli fosse amico; persino la sua ombra, che spariva e appariva a seconda che un albero o un’alta siepe la nascondesse e, oltrepassate queste, riapparisse nella luce libera sulla terra.

Subito dopo però la voce della sua coscienza si fece sentire:

“Che diritto hai tu – diceva – di amare una donna sposata, di immaginare, di sognare e persino di pensare a lei che in questo momento gioisce serenamente dell’intimità familiare?”.

Inavvertitamente guardò la sua ombra: era un poco curva; così si accorse che era lui a camminare a capo chino melanconicamente.

Sollevò il capo, e sognò che nel nitido cielo brillassero anche per lui le stelle del firmamento.

Quando si svegliò l’indomani, il sole dell’alba, pur emettendo una luce vivida, non aveva ancora lo scintillio del pieno mattino.

Preparò di buona lena l’indispensabile per dipingere e quindi riempì due borsoni di quanto era necessario per una vacanza di tre o quattro giorni. Infine prenotò una camera in un albergo sito nelle vicinanze dell’abitazione dei parenti di Antonio.

Questi lo avevano invitato come ospite a casa loro per un periodo non inferiore a una settimana, ma il giovane si impegnò solo per quattro giorni dovendo sbrigare alcune incombenze in città prima dell’inizio del nuovo anno scolastico.

Partirono nel primo pomeriggio e arrivarono nella città gallurese quando il sole era ancora alto.

Dopo aver depositato i bagagli di Giovanni nell’albergo, Antonio volle che l’amico lo accompagnasse per fargli conoscere gli zii presso i quali si recava come ospite nella loro casa della frazione Moneta.

A metà strada bloccò l’auto nelle vicinanze della spiaggia, incuriosito dalla presenza di tre giovani donne che, sedute sulle sdraio, prendevano il sole nonostante la stagione estiva volgesse al termine. Si rinfrescavano al soffio di una lieve brezza marina e dalla loro pelle molto chiara, Antonio ne dedusse che erano villeggianti nordiche.

Una soprattutto attirò la sua attenzione per la fluente massa di capelli biondi, il candore della pelle e le forme statuarie messe in risalto da una maglietta aderente e da pantaloni rossi pure aderentissimi.

La segnalò a Giovanni dicendogli “Quando sono belle queste teutoniche, sono veramente splendide; non trovi ammirevoli le forme di quella tedesca?”.

Il giovane osservò distrattamente ma ad un tratto guardò con maggiore attenzione: il colore e la massa dei cappelli oltre alle proporzioni del corpo erano identici a quelli di Lidia!

Era seduta su una seggiolina da spiaggia e guardava il mare dando le spalle ai due giovani.

Volendo osservarla anche in viso Giovanni scese dall’auto e, inoltrandosi nella spiaggia senza guardare le bagnanti, finse di ammirare l’azzurro intenso del mare.

Improvvisamente si scosse sentendosi alle spalle la carezzevole voce di Lidia che mormorava: “Giovanni!”

Ebbe appena il tempo di voltarsi: due braccia forti e allo stesso tempo morbide lo avvinsero e subito dopo le labbra calde della donna si appoggiarono freneticamente sulle sue guance, senza proferir parola.

Giovanni, che non si aspettava una così improvvisa e passionale manifestazione di affetto, rimase senza fiato e solo quando lei smise di tenerlo stretto fra le sue braccia, riuscì a dirle sottovoce

“Lidia, le tue amiche ci stanno guardando con la bocca semiaperta per la meraviglia; forse è meglio allontanarci per evitare illazioni inopportune”.

“Così può apparire un incontro organizzato – rispose la giovane – mentre invece è giusto farlo ritenere quello che realmente è: un incontro occasionale e inaspettato”.

Quindi proseguì:

“La tua definizione di amiche mie è impropria perché sono solo nostre dipendenti che io ho fatto assumere da Tosino per impiegarle in questa nostra filiale di La Maddalena”.

Infine concluse dicendo:

“Le ho preferite ad altre aspiranti non perché con la loro avvenenza attirassero clienti di import-export, ma solo perché, nonostante la giovane età, sono abilissime nel curare gli interessi della nostra azienda”.

Nel frattempo avevano raggiunto le due ragazze e Lidia presentò loro Giovanni:

“Professor Ruiu, il miglior amico mio e di mio marito”.

Le due ragazze gli strinsero la mano vigorosamente e continuarono a guardarlo con crescente interesse finché il giovane per togliersi dall’imbarazzo chiese il permesso di presentare loro il suo amico-pittore.

Antonio fu ben lieto di fare la loro conoscenza, iniziando subito una vivace conversazione. Ne profittò Lidia per dire alle due ragazze:

“Fate compagnia al nostro nuovo amico, mentre io e Giovanni ci allontaniamo per circa un’ora, dovendo trattare insieme questioni di famiglia”.

Si allontanarono quindi lungo la spiaggia e Lidia, tenendolo sottobraccio disse al giovane:

“Adesso dimmi perché hai scelto La Maddalena per trascorrere questi ultimi giorni di vacanza”.

“La sera stessa del mio arrivo a Sassari – rispose Giovanni – mi sono recato nella piazza maggiore della città per incontrare alcuni amici; questi mi trovarono malinconico così il mio amico Antonio mi propose di venire insieme per dipingere a La Maddalena, sua città d’origine dove è atteso come ospite per alcuni giorni da parenti stretti che abitano nella frazione Moneta. Ho accettato e stamane ho prenotato una camera nell’Albergo al Mare, vicino a Moneta, dove praticano prezzi contenuti. Siamo partiti subito dopo pranzo e, arrivati a La Maddalena, ho depositato i bagagli in albergo e stavo accompagnando Antonio dai parenti quando vi abbiamo viste”.

“Io invece sono qui per lavoro – disse Lidia – alcune ore dopo la tua partenza si imbarcava con la nave della Tirrenia Giovannino, che partecipava ad una gita nella colonia di Monteluco in Umbria, organizzata da mio padre su incarico del Comune di Tempio.”

“Essendo libera, Tosino mi ha pregato di eseguire io quel controllo mensile che lui svolge nella nostra filiale maddalenina”.

Camminando lentamente arrivarono all’estremità della spiaggia nelle cui adiacenze era parcheggiata l’auto di Lidia.

Con l’auto raggiunsero il punto dove Antonio stava conversando vivacemente con le due ragazze.

Si dettero l’appuntamento per l’indomani: Lidia e le due ragazze all’apertura dell’ufficio, Antonio e Giovanni all’ingresso dell’Albergo al Mare.

Rimasti soli, Lidia volle far visitare la Filiale a Giovanni. Era questa una costruzione a due piani il cui ingresso prospettava su una via costellata di esercizi commerciali e uffici, mentre l’ingresso secondario si apriva su un giardino costellato di piante sempreverdi.

Dall’ingresso principale si accedeva agli uffici composti da due vasti ambienti, uno per ricevere il pubblico e uno di rappresentanza, oltre ai servizi.

Dall’ingresso posteriore, attraverso una scala interna, si accedeva al piano superiore, composto, oltre che dai servizi, da due camere da letto, una matrimoniale e l’altra per un ospite.

Soffermandosi su quest’ultima camera Lidia disse al giovane: “La nostra Agenzia tramite il nostro commercialista, ha l’appalto dell’amministrazione dell’albergo dove tu sei alloggiato per cui se vuoi posso benissimo disdire la camera che hai prenotato e, dopo aver ritirato i bagagli, potresti sistemarti qui”.

Proseguì quindi con voce appassionata:

“Così potremo trascorrere insieme le più belle giornate della nostra vita”.

Giovanni la guardò perplesso: la dolce e sensuale donna di cui credeva di conoscere persino i pensieri, era in realtà una persona pratica ed energica, piena di mille risorse.

Lei lesse sul viso del giovane la meraviglia e, presolo sottobraccio, gli disse sommessamente:

“Giovanni mio! I miei familiari e l’ambiente mi hanno costretta a diventare quella che vedi; solo con te sono me stessa e se tu occupi nel mio cuore e nella mia anima un posto che custodisco gelosamente fin dal primo momento che ti ho conosciuto, nelle mie azioni quotidiane sono quella che altri mi hanno portato ad essere”.

“Anche io assecondo con tutto me stesso il sentimento che mi unisce a te ­ rispose il giovane ­ tuttavia dobbiamo rispettare le apparenze che ci impongono le convenzioni sociali ed essere prudenti, anche per non perdere la stima delle nostre persone care”.

Quindi aggiunse:

“Lascerò i bagagli in albergo, dove riposerò tutta la notte. Noi però trascorreremo, anche se in compagnia di altri, le ore pomeridiane, e soli quelle serali, dopo che avrai telefonato a casa a tuo marito”.

Lei approvò pienamente la proposta del giovane e si ripromise di telefonare al marito dopo cena. Si recò quindi nella camera matrimoniale per indossare un abito adeguato per la passeggiata.

Quando ebbe terminato si mise davanti allo specchio e si guardò con attenzione: vedeva davanti a sé una donna splendida e lentamente un sorriso soddisfatto apparve sulle sue labbra; con quel vestito scuro che metteva in risalto le sue forme le sembrò di essere un’altra persona in cui rifulgeva una bellezza sfolgorante.

Pregustò sulla sua pelle scoperta l’alito carezzevole del suo Giovanni, la sua ammirazione, la sua passione, la sua virilità.

Desiderò che il giovane potesse sentire l’odore fragrante della sua pelle e immaginando le mani di lui sulle sue spalle provò un piacere violento che la fece ardere.

Chiamò Giovanni, ma quando il giovane la vide, l’ammirazione per quella meravigliosa creatura superò l’amore e, quasi intimidito, l’abbracciò delicatamente; ma lei sentì il suo calore attraverso la stoffa leggera dell’abito.

Quando uscirono era calata la sera e lo sfolgorio delle luci pubbliche e degli esercizi commerciali creava nella principale via cittadina un’aria salottiera che favoriva lo scambio delle vicendevoli cordialità.

L’ambiente, influenzato dalla presenza di militari e civili della Marina militare e delle loro famiglie, era notevolmente elegante; sembrava che tutti si fossero dati convegno in quel luogo e a quell’ora per sfoggiare gli abiti migliori.

Giovanni sapeva che Lidia era estranea all’ambiente e quindi era sicuro che sarebbero passati inosservati; ebbe perciò delle perplessità quando notò che la sua compagna era osservata dalle donne presenti; ma provò un notevole disagio quando constatò l’insistenza con cui gli uomini posavano lo sguardo su di lei.

Lo disse a Lidia che, dopo avergli accarezzato teneramente la guancia, gli rispose:

“Vieni, andiamo in un vicino ristorante alla moda dove ho già prenotato due posti abbastanza appartati per salvaguardare la nostra intimità”.

Nel ristorante, elegante e confortevole, Giovanni capì perché tutti guardavano la giovane: era veramente bella Lidia ed era diversa da ogni altra donna.

Dopo cena si avviarono lentamente verso casa, godendo la dolcezza del momento: quel giorno di primo autunno, iniziato con malinconia, stava per concludersi in modo insperato. Il cielo azzurro pallido si manteneva sereno, anche se una brezza fresca suggerì ai due giovani di rincasare.

Sostarono tuttavia nel piccolo giardino di casa stretti l’uno all’altra silenziosi e felici. Lidia stette fra le braccia di Giovanni con gli occhi chiusi, immersa nella sua felicità, mentre il giovane si smarriva guardando il viso amato e staccandosene ogni tanto per ammirarne meglio la rosea bellezza.

Quando i due innamorati rientrarono nella realtà guardarono l’orologio smarriti: il tempo a loro insaputa era trascorso inesorabile.

Appena rincasati la giovane telefonò a casa: le rispose il marito dicendole che stava rientrando in quel momento dopo aver cenato con un’allegra brigata di amici.

Arrivati al piano superiore Giovanni accennò a ritirarsi nella cameretta, ma Lidia, prendendolo per le braccia, gli disse:

“Non ti accorgi che il tempo passa e che io ho sempre più bisogno di te”?

Il giovane sorrise, attirandola a sè.

Si affacciarono al balcone; le vette degli alberi si perdevano nelle ombre del cielo mentre il giardino sottostante era appena schiarito dal riverbero delle luci cittadine. L’immobilità completa era scesa sugli uomini e sulle cose.

Lidia si staccò dal giovane, chiuse la finestra e accostò gli scurini.

Istantaneamente il mondo esterno non esistette. Ci fu soltanto il loro mondo, chiuso in quella villetta e il suo giardino silenzioso e sempre verde.

La giovane strinse una mano di Giovanni fra le sue e lo condusse nella camera matrimoniale: erano entrambi pallidi e mossi da un’ineffabile passione.

Si sedettero su un divano, tenendosi ancora per mano ed evitando di guardare il gran letto dalle lenzuola candide.

“Giovanni mio­ disse infine lei­ ricordati la data di oggi perché è la prima notte che trascorriamo completamente insieme”.

Il giovane non rispose, ma con una mano si premette il cuore che gli doleva.

“ Fa male anche a me” disse lei e si portò sotto il seno la mano di lui.

Si baciarono perdutamente e si concessero finalmente un’intera notte d’amore.

Al risveglio, dopo l’alba, Lidia aprì la finestra: fu come se il primo raggio del sole volesse baciarla. Giovanni vide il colore dorato invadere la bianca pelle della sua donna e la raggiunse alla finestra.

Lei con atto voluttuoso e dolce lo strinse a sé mormorandogli:

“Ti trovo sempre più bello e adorabile quando mi sei accanto e vorrei trascorrere con te tutte le notti della mia vita”.

Si sentì abbracciare forte e sollevare dal giovane che le rispose:

“ Ti ringrazio per quanto mi hai detto, perchè mi basta starti accanto un po’ per sentirmi un altro; tu fai ribollire il mio sangue e arricchire il mio spirito; tu hai il potere di rendermi l’uomo più felice del mondo”.

“ A me però non basta starti accanto per un po’­ soggiunse lei­ io ti voglio per sempre”.

Avevano già la voce tremante e ardevano già di desiderio al solo pensiero della notte d’amore che li attendeva.

Arrivarono puntuali agli appuntamenti: lei all’apertura della Filiale e lui all’incontro con Antonio, alla ricezione dell’albergo.

Giovanni dipinse con slancio e fissò sulla tela tutta la felicità che sentiva dentro di sé.

Quando ebbero terminato, Giovanni andò a trovare Lidia in ufficio. Lei appena lo vide lo invitò a seguirla nella parte privata della casa e salì a cambiarsi d’abito.

Quando ridiscese il giovane la trovò più affascinante che mai, oltre che bella e procace nel suo abito azzurro di maglia che la modellava. Lei percepì l’ammirazione; si lanciò fra le sue braccia e gli si avvinse quasi volesse fondersi in lui. Dalla scollatura dell’abito, salì al giovane l’amato, e delicato profumo della sua pelle

Giovanni la baciò con passione, felice di sentire in lei il tremore che era in lui, inebriato come lei al pensiero della prossima voluttà.

Pranzarono insieme ma, al ristorante di lusso della sera precedente, preferirono un locale caratteristico dove fu loro servito il pasto tipico delle genti del mare.

Dopo pranzo fecero un’escursione in auto sulla strada panoramica dell’isola, sostando in una piazzola da dove poterono osservare le località più suggestive dell’isola e del suo arcipelago.

Il giovane rimase affascinato dallo splendore di quella natura incontaminata e trovò stupendo l’accostamento armonioso fra i forti colori della vegetazione spontanea e le calde tonalità delle rocce, che alla loro volta venivano valorizzate coloristicamente dall’azzurro intenso del mare.

Fu distolto dal suo incanto estetico da Lidia che unendogli le sue calde braccia intorno al collo gli sussurrò: “Come sarebbe bello se nel corso della vita potessimo sempre vedere insieme e soli paesaggi come questo”.

Giovanni ricambiò l’abbraccio e i due giovani provarono ancora una volta la reciproca gioia di trovarsi insieme e soli.

Quando si recarono all’ormai solita spiaggia, Antonio e le due ragazze erano già sul posto.

Sedute una a destra e l’altra a sinistra del giovanotto ognuna aspirava ad essere la preferita delle sue attenzioni.

Antonio era un bel ragazzone, alto e dal corpo atletico e sicuramente piaceva a entrambe, ma quella “simpatica” contesa era determinata non solo dal desiderio di ciascuna di far prevalere sull’altra la propria femminilità, ma anche dalla circostanza che nell’agenzia dove lavoravano, una era impiegata e l’altra era la sua “capoufficio”.

Fisicamente però si equivalevano: entrambe alte, con capelli e occhi castani e la carnagione chiara, sembravano sorelle, così Antonio, attirato a destra e a sinistra, non sapendo scegliere faceva la figura dell’ingenuo senza malizia.

L’arrivo di Giovanni e Lidia mise fine all’animosità tutta al femminile delle due ragazze che stipularono un tacito armistizio per non far capire la loro contesa sentimentale alla proprietaria dell’Agenzia dove lavoravano.

Giovanni venne in aiuto all’amico e dissertando con lui di pittura, musica e arte in generale, lo fece apparire alle due ragazze, più che un bel ragazzo, un giovane studioso.

Trascorsero quindi insieme, conversando piacevolmente, quella serata calma e radiosa che preannunciava i tepori languidi dell’autunno.

Per la passeggiata dopo il tramonto Lidia vestì in modo più semplice rispetto alla sera precedente, sperando così di passare inosservata.

Si ripeterono invece gli sguardi curiosi della sera prima e Giovanni notò che alcuni uomini insistevano con lo sguardo oltre i limiti della decenza. Infastidito, propose a Lidia di regalarle una collana, scelta da lei la sera stessa.

“Ti ringrazio­ osservò lei­ ma quando mio marito, vedendomela per la prima volta al collo, mi chiederà da chi l’ho avuta in regalo, cosa gli risponderò”?

“Semplice ­ gli rispose il giovane ­ gli dirai che durante la passeggiata l’hai vista esposta in una vetrina ed hai così deciso all’istante di concederti un regalo”.

Lei trovò credibile quella giustificazione e accettò volentieri il dono.

Si fermarono lungamente nelle gioiellerie per la scelta della collana e quando ne scelse una di suo gradimento, “la passeggiata” era finita.

Prima di rincasare si soffermarono ad osservare l’incanto profondo che era sul mare: tutto era in pace e calmo sotto il cielo stellato.

Lidia, suggestionata da quell’incontro era tutta un palpito d’amore. Abbracciò il giovane e con voce carezzevole ma decisa gli disse:

“Giovanni mio, io ti amo e voglio trascorrere il resto della mia vita con te”.

“Anch’io ti amo tanto” rispose il giovane, ma non aggiunse altro, perché convinto che Lidia avesse fatto quella proposta solo perché suggestionata dalla visione di sogno che stavano ammirando.

Appena rincasati Lidia telefonò al marito per comunicargli le novità commerciali dell’Agenzia. Quindi i due giovani si affacciarono alla finestra della camera.

L’aria era fresca e le stelle, nel cielo, erano infinite. La luce che veniva dagli astri era pallida, ma era sufficiente a delimitare i contorni di piante e cose del piccolo giardino.

Giovanni percepì la gioia e l’impazienza di lei e lesse nei suoi grandi occhi azzurri una luce insolita.

Gli fu pertanto difficile convincerla che, per prudenza , era opportuno che lui a mezzanotte rientrasse in albergo.

Lei infine accettò, anche se a malincuore, quindi gli disse:

“Mancano ancora tre ore durante le quali possiamo essere felici, però ricordati che tu sei il mio uomo e il mio sangue e io farò di tutto per averti con me per sempre”.

Chiusero le imposte e andarono a riposare così Lidia poté esprimere al giovane la sua passione, illimitata come la sua ardente tenerezza.

Il trillo dell’orologio svegliò Giovanni poco prima dell’ora fissata. Ancora non sveglio del tutto percepì il respiro di Lidia; quel respiro che gli dava un leggero incanto e una seduzione sempre nuova.

Resistette però alla tentazione di rimanere ancora con lei e frettolosamente raggiunse l’albergo dove cade in un sonno profondo.

La mattina, dipingendo in compagnia di Antonio, Giovanni espresse, ancora una volta, il suo felice stato d’animo, passando sulla tela dei colori tonali ma, allo stesso tempo, più vivaci del solito. Ne risultò però ancora una volta non la riproduzione illustrativa della veduta cittadina col suo porto, ma l’espressione fedele della sua felicità.

Quando ebbe terminato portò i colori, il cavalletto e il dipinto in albergo prima di andare a trovare Lidia in ufficio.

Alla ricezione dell’albergo però il suo stato d’animo cambiò improvvisamente quando gli fu notificata una telefonata da casa con la quale la madre lo informava che vi era arrivata una raccomandata dal Provveditorato agli Studi.

Dallo stesso albergo telefonò alla madre autorizzandola ad aprire la lettera per conoscerne il contenuto.

Dopo pochi minuti ricevette la risposta:

“Ti comunicano che hai vinto il concorso alle scuole medie superiori che hai dato due anni fa e che il Ministero ti ha assegnato la cattedra all’Istituto Magistrale di Sassari. Devi però spedire l’accettazione entro due giorni per evitare di essere considerato rinunciatorio”

Era la notizia che aspettava da diverso tempo così, per rifletterci responsabilmente, rispose alla madre:

“Verrò a casa stasera stessa”

Giovanni mise al corrente l’amico­collega della sopravvenuta necessità e Antonio solidale col giovane (anche perché aveva gli stessi problemi di carriera) fu d’accordo di rientrare insieme a Sassari la sera stessa.

Il giovane informò Lidia durante il pranzo, dell’urgenza di far rientro a casa. Non le disse, però, il vero motivo di tale urgenza, preferendo parlare di esigenze personali e familiari.

Lei, pensando che due giorni dopo, con l’inizio dell’anno scolastico, lo avrebbe rivisto, accettò senza amarezza quell’improvvisa e inaspettata separazione.

Rientrato in famiglia Giovanni rifletté a lungo sull’opportunità di accettare la nomina conferitagli.

L’amore per Lidia aveva sempre prevalso sul suo senso etico, sull’onestà e sul rimorso di coscienza per lo scorretto comportamento nei riguardi dell’amico Tosino.

Adesso però si trattava della sua sistemazione, non solo economica e sociale, ma per il resto della vita.

La nuova nomina, infatti, gli avrebbe permesso di prestar servizio, non più a cento chilometri dalla sua località di residenza, ma a soli duecento metri da casa.

Infine, avrebbe insegnato in un istituto superiore anziché in una scuola media col conseguente vantaggio di un aumento di stipendio.

Così il suo carattere razionale prevalse sulla passione amorosa e Giovanni accettò la nomina conferitagli.

Scrisse la sera stessa all’amico Tosino informandolo della promozione e spiegandogli che solo l’avanzamento di carriera lo costringeva a trasferirsi da Olbia dove aveva ricevuto tante attestazioni di amicizia da lui e dalla sua famiglia.

“A causa del servizio di mio padre, io e la mia famiglia siamo sempre vissuti lontani dalla mia città ed io ho trascorso i miei anni migliori sperando di ritornare nel luogo dove sono nato.

Questa nomina tanto attesa rappresenta la realizzazione delle mie aspettative e un’occasione irripetibile di sistemarmi definitivamente per la vita.

Il legame affettuoso che mi unisce a voi­ sarà sempre costante e sarà rinvigorito tutte le volte che avremo la ventura di incontrarci.

La lettera era indirizzata a Tosino, ma di fatto era diretta a Lidia che, leggendola, avrebbe capito e forse giustificato il desiderio di Giovanni di avere una sistemazione secondo l’etica e la morale della società a cui entrambi appartenevano.

Mentre ultimava la lettera, nel cielo che si oscurava, saliva una nebbia umida che lasciava presagire l’imminente pioggia. Era la prima pioggia d’autunno, che simboleggiava il nuovo lavoro, il nuovo ciclo della vita, ma anche il pianto per un amore finito.

La saggezza aveva vinto sull’amore, anche se egli considerava Lidia una parte di se stesso perché ancora dominato da quel sentimento amoroso che gli aveva persino fatto apprezzare l’acre profumo degli asfodeli.

INDICE

Il volo delle cicogne

Le luci silvane

Undici anni dopo

Il profumo degli asfodeli

Le follie danzanti

La peschiera

Plenilunio sul mare

Il valore dell’amicizia

Gli ex voto

Nell’incanto dell’isola

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