IX. Il fascino di Anghela Nigoleddu di Ange de Clermont
Il brigadiere Carrigni era un uomo sui trent’anni, con gli occhi azzurri, pelle chiara, i capelli castano-chiari, era alto un metro e ottanta ed aveva un bel portamento anche se, a prima vista, risultava piuttosto magro. Era riuscito a superare i momenti di crisi da quando era stato mandato in Zerdenia dalla Lombardia, dov’era nato da famiglia contadina.
Provenendo dalla bergamasca non poteva essere se non di sensibilità cattolica, tuttavia, aveva tenuto nettamente distinti il suo ruolo di sottufficiale dell’Arma e la sua professione religiosa. Col vicario era stato sempre deferente, ma mai contiguo.
Sapeva molto bene che per i carabinieri le prospettive del matrimonio si aprivano dopo i ventott’anni anni per cui si era mantenuto lontano dalla chiacchiere non eccedendo mai in familiarità con le ragazze del luogo. Con i commilitoni aveva festeggiato sobriamente, il 25 aprile trascorso, il compimento di quell’età.
Rientrando dalla visita a zia Giosiedda Montiju, col milite che gli faceva compagnia, scendendo dagli scalini della stradetta, vide una ragazza, che uscendo dalla chiesa parrocchiale, attraversando verso l’alto la piazzetta scoscesa, sfiorò il loro percorso. Salutò educatamente, rivolgendo verso di loro lo sguardo, e proseguì il suo cammino verso sa Piatta dove i rumori della bottega del fabbro e del falegname si erano attenuati e gli ultimi clienti, delle due negozianti che stavano da un capo all’altro della strada, tornavano alle loro case.
-Chi è questa bella ragazza- chiese al milite, il brigadiere.
-Anghela Nigoleddu- rispose il milite.
-Che se ne dice?-
-Bene, brigadie’! Di lei e della sorella: sono gemelle!
-Immagino che siano già impegnate.-
-Questa no, la sorella pare sia promessa ad un notabile del paese, possidente.-
-Certo non tarderanno a prendersi anche questa. Ha visto che portamento!
-Brigadie’, si sa che le belle ragazze, non tardano a sposarsi!
-Quanti anni potrà avere?-
– Non più di venti!-
Il discorso morì li, ma il brigadiere sentì un tuffo al cuore e pensò davvero che fosse venuto il momento di guardarsi intorno.
Tornando verso la caserma ultimò il verbale delle testimonianze, cenò, consumando con gli altri militi una buona minestra al formaggio, e se ne andò nella sua stanza a prender sonno.
Nel paese era scesa la notte e tutti i paesani, a lume di candela, raggiunsero i loro letto, per godere del riposo dopo gli affanni della giornata.
Anghela Nigoleddu, si tolse il costume quotidiano e, rivestita di un camicione da notte bianco, s’infilò nel suo letto in una camera che condivideva con la gemella Franzisca, promessa sposa.
Prima di dare la buonanotte Anghela si rivolse a Franzisca:
-Sai che ho incrociato il brigadiere Carrigni con un altro carabiniere, per poco non mi vengono addosso, ho salutato e sono corsa a casa.-
-Il brigadiere non è mica brutto è soltanto un po’ magro, poi con quei baffetti non dispiace.-
-Perché mi parli cosi, mica me lo debbo sposare. Sto bene come sto. Caso mai, se non piglio un buon marito rimango volentieri zitella.-
-Tu zitella? Marameo, vallo a contare alle Janas, fate!-
-Beh, ora lasciami dormire in pace, buona notte.- Vista la sorella a letto, spense la candela e prese sonno.
I sogni però vengono e vanno senza chiedere permesso e Anghela sognò un abito da sposa e poi una confusione incredibile di volti, compreso quello del brigadiere Carrigni, ma al risveglio la censura glieli fece dimenticare come la nebbia che sfuma all’apparir del sole.
Anche il brigadiere sognò la madre morta prematuramente che gli raccomandava, figlio mio, cercati una brava ragazza e sposatela, che cosa fai da una caserma all’altra sempre solo e talvolta triste. Non hai che da guardarti attorno, in questo paese di brave e belle ragazze ce ne sono. Non pensare alle ragazze di Trevij che sono stravaganti e ti farebbero soffrire troppo.
Il brigadiere Carrigni voleva rispondere alla madre, ma questa si dileguò come una visione. Si svegliò prima del solito e con la scusa di fare un giro in paese entrò in chiesa alla prima messa del vicario. Si fermò vicino all’ingresso e osservò le devote tra le quali la ragazza che aveva incrociato il suo percorso. Anghela si voltò per mettersi a sedere ed eccoti quel brigadiere dai baffetti impertinenti che era lì in fondo alla chiesa, rimase turbata, ma continuò a seguire la Messa e ad accostarsi alla Comunione.
Anche il parroco notò quello spilungone del brigadiere trevigliese in fondo alla chiesa e distraendosi dalla cerimonia pensò che qualche altro milite pensasse forse di prendersi una pecorella del suo gregge com’era avvenuto anni prima col brigadiere Zavattaro che s’era portata via la miglior ragazza del paese e della chiesa miramontana.
Prima che la Messa fosse finita il brigadiere, in punta di piedi, lasciò la chiesa e fu preso da una smania insolita di conoscere a fondo la ragazza e la sua famiglia.
Tornò in caserma e pensò di proseguire le indagini sul delitto compiuto, interrogando qualche pastore della parte più bassa del fiume Filighesos che, prima di andare a gettarsi sul rio Giunturas, costeggiava la località di Bados de Lovè.
Chiamò due militi e chiese loro di recarsi in Municipio, per farsi dare da qualche impiegato l’elenco dei pastori di quella località a valle del rio subito dopo una foresta di ulivi e olivastri e di varia macchia mediterranea: cisto, lentisco, mirto; lungo il fiume abbondano i pioppi.
I militi tornarono dopo un’oretta con un elenco.
Abitavano a Bados de Lové nel casolare, dove il fiume s’incurvava, la famiglia d’origine montana di Ciriaco Pittarru, sposato con una donnona, con quattro figli, dei quali uno era chiamato Fizedomus, ma il suo vero nome era Bustianu, gli altri tre Gonario, Salvatore e Istevene. Il detto Fizedomus era sui quarant’anni, gli altri ancora giovanotti. Seguiva più a valle la famiglia Trudda, d’origine gallurese, e più su i fratelli Massidda con tanti figli ancora piccoli.
Il brigadiere, incuriosito dal soprannome Fizedomus, chiese che significato avesse.
Il milite rispose che, incuriosito anche lui, aveva chiesto spiegazioni all’impiegato dell’anagrafe. Costui aveva raccontato che, essendo la madre del ragazzo incinta dell’ultimo mese, era scesa lungo il rio Filighesos, per riportare all’ovile il loro piccolo gregge di capre. All’improvviso era scoppiato un temporale che alla donna spaventata aveva provocato le doglie. Non potendo risalire verso la casa, si era rifugiata in una domus de Janas sotto roccia e sdraiatasi nella paglia, era venuto al mondo il bambino. Il marito, per fortuna, aveva cercato la moglie e l’aveva ritrovata in quella grotta, dove da tempo gli stessi riponevano la paglia per gli animali. Per questo motivo i familiari e i vicini lo avevano soprannominato Fizedomus, anche se poi in chiesa e in comune gli avevano imposto il nome di Bustianu.
Il brigadiere seguì il discorso del milite distrattamente e alla fine si risvegliò come da un pensiero fisso, e ordinò di convocare per il giorno successivo in caserma Fizedomus, più per la curiosità del nome che non per dubbi sull’onestà di quella famiglia di Bados de Lovè peraltro laboriosa.
Dati questi ordini chiamò il milite col quale era andato a trovare la zitella presso s’Arcu e lo invitò a fare un giro di routine per il paese