L’anima lieta di Chiaramonti di Ange de Clermont
Il 18 giugno scorso abbiamo lasciato l’anima mesta di Chiaramonti a meriggiare nel fresco bosco dei frassini tra i due gelsi e La Madonnina. Pensavo che fosse scomparsa per sempre, perché non si era fatta più sentire. Ieri sera però, vigilia di San Matteo, mentre ascoltavo ai giardini le liriche di Bainzu Truddaju, eccotela avvicinarsi ad un albero capitozzato vicino al quale io ero seduto. Si è stiracchiata come una bella fanciulla che abbia voglia di sbadigliare, poi si è trasformata in una nebbia sottile, finché non ha preso atto che io l’avevo notata. Allora ha cominciato a rotearmi intorno e poi a pizzicarmi la punta del naso, a farmi volare il cappello, insomma ha cercato di spazientirmi. Le ho chiesto se fosse allegra e mi ha risposto di sì. Le ho chiesto se fosse passata alla presentazione dei brevi racconti di alcune tradizioni popolari nella sala del Consiglio Comunale e ha storto il naso, dicendomi che si poteva fare di meglio e che qualche mio caro amico aveva già scritto sui ramagliettes meglio degl’intervistati! Manco a farlo a posta l’amico è pure anziano. Ho ribattuto che era ingrata che del resto la giovane azzurrina aveva lavorato sodo e aveva fatto tutto da sola. Lei ha proseguito dicendomi: -Non mi convinci e, poi, come si fa a parlare di settimana santa senza citare sas mattraccas, ne hai parlato anche tu nel sito del tuo amico Carlo Moretti, ma sas mattraccas le hai fatte sentire. Poi hai parlato sempre nello stesso sito della Pasqua e della Settimana Santa e hai descritto pure s’iscravamentu- Le ho risposto che io sono abbastanza vecchio e che non poteva pretendere molto dalla gioventù, aspetta che abbiano la mia età e poi vedrai. Lei per tutta risposta ha cominciato a sollevare un braccio, ad aprire le mani, a chiudere l’indice e il medio della mano destra e a scuotere le dita unite a metà del braccio sinistro. Ho capito che non c’era niente da fare, ormai l’anima era presa dal gioco e non voleva ascoltare i miei giudizi. Anzi per farmi dispetto mi ha dato uno schiaffetto e poi come un leggero venticelllo è andata a far saltare il berretto di Giuseppe Truddajau, un amico pastore di Sassu Altu, si è mesa a grattare la testa di Gianni Franchini, e a lucidare gli occhi di Peppa Truddaju, la figlia del poeta ricordato. Poi si è avvicinita a me di nuovo e mi ha detto: – Lo vedi quel tipo dai capelli brizzolati, quello, mentre starai parlando si metterà a cavallo su di te.- Le ho risposto ridendo: – Non dire sciocchezze.- Lei ha soggiunto: – Non contraddirmi, guarda che ti faccio cadere mentre starai per salire sul palco.- Le ho risposto serio: -Sono caduto già dalle scale in casa dando la caccia ad un geco; sono caduto a Funtana Noa mentre andavo nella campagna di Antonino Mureddu a prendere i fichi, sono caduto e mi sono fatto male nella vigna di Gianni Caccioni e mi son fatto varie ferite al ginocchio destro, e scommetto che sei stata tu a spingermi e adesso mi vuoi far scivolare dal palco verso Funtana Noa!- Ha cominciato a ridere, a fare le boccacce e mi ha portato via due fogli del discorso. Mia moglie che mi stava accanto, mi ha detto, di stare attento se no perdevo anche il cappello. E l’anima in allegria a ridere, anzi mi sussurrava all’orecchio ogni tanto: – Rie rie!- Ma queste sono tolti dai versi di Bainzu l’ho apostrofata, ma lei continuava -Rie, rie!- C’è da immaginare come mi son mosso quando l’assessora alla cultura ha chiamato: -Prof. T.- Mi sono affrettato a salire sul palco senza trovare gli scalini, ma l’amico Carlo Moretti, alla chitarra, mi ha indicato una cassetta di plastica enorme e uno sgabellino. Mi son detto: -Questa volta mi rompo il collo per sempre, ma l’anima trasformatasi improvvisamente nella persona dell’assessora Marina Manghina, mi ha dato una mano e sono salito sul palco del tutto integro. Non solo, ma è arrivata al punto di togliere il microfono a cui non arrivavo e l’ha tenuto in mano tutte le volte che ho parlato. In compenso mantenendo la parola, dopo la lettura della lirica di Roberto Demelas, di Peppa Truddaju, di Maria Sale, eccoti presentarsi con un salto atletico sul palco nientedimeno che il segretario del Premio Ozieri, che davvero si è messo a cavallo con un discorso da convegno universitario che io ho ascoltato, ma gli ascoltatori claramontani, vista la difficoltà di capire il linguaggio troppo specialistico, si sono distratti a tal punto che Canalis ha avvertito e con un saltello atletico è sceso dal palco. L’anima si è avvicinata a me dicendomi: -Dimmi tu se quest’ozierese illustre non si è messo di traverso al tuo discorso?- Ed io a lei: – Già, hai ragione, mi dovrei sotterrare, ma ora taglio e la faccio corta!- E lei a sganasciarsi girandomi attorno anzi stava per strapparmi il foglio al punto che ho perso l’inizio della lettura, ho detto qualcosa e poi finalmente, tralasciando di leggere un foglio intero sul ciclo liturgico delle feste cantato da Bainzu, e quatto quatto con le pive nel sacco sono scivolato giù dal palco grazie ad una mano invisibile che l’anima allegra claramontana mi ha dato. Tornato accanto a mia moglie Domitilla, alla cugina Domitilla, l’anima ha sussurrato:-Oggi per la prima volta sei fra due Domitille, quelle ti accoppano!- Le ho detto di smetterla che in fondo erano delle bravi madri di famiglia e delle cultrici d’arte, la prima di pittura, la seconda di teatro. Infatti Domitilla Mannu ha letto divinamente un racconto piuttosto movimentato di Bainzu: Sa Tanca de sas paghes, poi ancora la figlia, Maria Sale in duetto con Demelas hanno rievocato l’episodio del 1971 quando Bainzu aveva dovuto sostituire sul palco accanto a Sotgiu, il povero Piras che si era sentito male. L’anima per tutto il tempo è rimasta secca e pesta e addirittura si è commossa quando Peppa Truddaiju, la figlia del poeta, ha ricordato nel suo ultimo intervento con una composizione il padre ed ha ringraziato i claramontani tutti, commossi anche loro. Ultimata la serata con i cantori di Tzaramonte che hanno cantato il balletto composto da Bainzu, l’anima è venuta allegra allegra ripetendomi i versi del poeta: -Rie, rie.- Ero ormai stanco e alle prime ottave dei poeti, pur desiderando di restare, con mia moglie e la cugina siamo rientrai a casa. Ho dato la buona notte a mia moglie e alla cugina e mi sono ritirato, all’inglese, nella mia camera per pregare e finalmente addormentarmi. Stavo per prendere sonno e sento mormorare:-Angelinu, rie rie!- E chi poteva essere se non l’impertinente anima claramontana “isgiogatzada”?