Le lacrime commuovono l’amico degli uomini di Manuel Nin
Le liturgie cristiane di oriente e occidente celebrano il 20 luglio la festa del profeta Elia il tesbita. Quella bizantina lo presenta come ilgrande intercessore per il popolo, pieno di zelo per il Signore. Romano il Melodo ha un kontàkion dedicato al profeta di 33 strofe, dialogo – in alcuni momenti, quasi una lotta – tra la misericordia e la magnanimità di Dio e lo zelo e l’ira di Elia. “Dio, il solo amico degli uomini” è il ritornello che lo scandisce.
La prima strofa del testo lo riassume tutto: “Vedendo le molte trasgressioni degli uomini e il grande amore di Dio per loro, Elia fu sconvolto dall’ira e al Pietoso rivolse parole senza pietà: Fa’ sentire la tua collera a quanti ora ti offendono, giudice giusto! Ma non poté indurre in alcun modo la misericordia del Buono a punire quelli che lo offendevano, perché sempre attende il ravvedimento di tutti, il solo amico degli uomini”. Di fronte alla pazienza di Dio, il profeta decide di agire per conto proprio.
Toccanti sono le espressioni del profeta: “Vedendo il profeta tutta la terra nell’empietà e l’Altissimo che sopportava e non si adirava, si infuriò e dichiarò: Agirò io d’autorità e punirò quelli che ti offendono; essi non si danno pensiero della tua grande pazienza, Padre misericordioso! Ora farò io da giudice per conto del Creatore. Ma mi preoccupa la divina indulgenza: per commuovere l’amico degli uomini bastano poche lacrime! Fermerò la sua pietà rafforzando la decisione con un giuramento”. Romano sottolinea questo quasi scontro tra lo zelo di Elia e la magnanimità di Dio: “Se vedrò sgorgare pentimento e lacrime, non potrò non elargire agli uomini la mia pietà, io, il solo amico degli uomini”.
Il dilemma di Dio tra misericordia e giustizia lo porta a far sperimentare anche al profeta la fame e la sete del popolo punito: “Gli abitanti della terra deperivano gemendo e tendendo le mani al misericordioso. E Lui era in preda a un dilemma: desideroso di aprire il suo cuore a coloro che lo invocavano e di cedere alla pietà, ma provando vergogna per il profeta e per il giuramento da lui fatto”. Romano mette in luce come Elia vince la fame e la sete a cui Dio stesso lo sottopone, perché lo zelo e l’ira verso il popolo diventano per lui quasi un nutrimento: “Il tesbita era gonfio d’ira contro i suoi simili, e come pietra insensibile sopportava la fame, perché in luogo del cibo si nutriva del suo fermo proposito”.
Viene poi uno dei momenti più forti dello scontro tra Dio e il profeta: “Dio disse a Elia: La tua grande devozione per me, non deve provocare in te verso gli uomini un sentimento cattivo. Io onoro la tua amicizia e non annullo il tuo decreto, ma non riesco a sostenere il pianto e l’angoscia di tutti gli uomini che ho creato! Ed Elia rispose al Signore: Preferisco morire di fame, o Santissimo! Se solo riuscirò a punire gli empi, sarà per me un gran sollievo; perciò non avere pietà di me, ma soltanto stermina gli empi sulla terra”. L’incontro del profeta con la vedova di Sarepta, donna pagana con un figlio, lo muove alla misericordia: “Nei confronti di tutti gli altri sono stato insensibile, ma nei confronti di costei mi trasformerò: abituerò la mia natura a rallegrarsi delle opere di misericordia”. Con immagini molto belle, Romano presenta la morte del figlio della vedova come una pedagogia di Dio stesso per portare Elia alla compassione verso il suo popolo: “Io credo, o Salvatore, disse Elia, che la morte di questo ragazzo sia un espediente della tua saggezza per costringermi alla misericordia. Così quando io ti chiederò: Risuscita il figlio della vedova che è morto, tu subito risponderai: Abbi pietà del mio figlio Israele”.
La risposta di Dio al profeta diventa un annuncio della sua misericordia: “Il Misericordioso rispose a Elia: Ora presta orecchio alle mie parole: io soffro e voglio adoperarmi perché la punizione finisca, perché sono misericordioso. Da padre io mi piego ai torrenti di lacrime, voglio che i peccatori si salvino. E adesso profeta ascoltami, voglio che tu sappia bene che tutti gli uomini hanno la garanzia della mia compassione”. E Romano, con l’immagine di un accordo, descrive la fine dello scontro tra Dio e il profeta e della punizione del popolo: “Dio disse a Elia: Ti propongo un accordo. Tu sei stato turbato soltanto dalle lacrime di una vedova, io invece per tutti gli uomini. Ed Elia disse: Sia fatta la tua volontà! Elargisci la pioggia e dona al morto la vita. Poiché tu, o Dio, sei vita, risurrezione e redenzione”.
Alla fine Dio, quasi stanco dello zelo di Elia, decide di prenderlo con sé, senza farlo passare per la morte, e di incarnarsi: “Dio disse a Elia: Lascia, amico mio, la dimora degli uomini, e scenderò io facendomi uomo nella mia misericordia; io che sono dal cielo, starò insieme ai peccatori e li libererò dalle loro colpe; scendo io che so prendere sulle mie spalle la pecora smarrita”.
La conclusione è un parallelo tra il profeta e Cristo stesso: “Elia fu sollevato su un carro di fuoco, mentre il Cristo fu innalzato fra le nuvole e le potestà; quello dall’alto mandò il mantello a Eliseo, mentre Cristo mandò ai suoi apostoli il santo Paraclito che tutti noi abbiamo ricevuto col battesimo”.
(©L’Osservatore Romano 20 luglio 2011)