Categoria : eventi culturali

Quei maestri senza nome di Silvia Guidi

A colloquio sull’arte con Camilian Demetrescu

“Pittori non si nasce, si diventa”. Secondo Camilian Demetrescu, l’artista romeno, italiano di adozione da quarant’anni, celebre per i suoi arazzi-mosaico dedicati al tema dell’epifania del Divino nella storia, “non si nasce poeta, musicista, architetto. Si viene al mondo col desiderio di dire qualcosa, di esprimersi. Le arti, nella loro diversità non sono che vari linguaggi espressivi per comunicare con gli altri e con il mondo”. Demetrescu è a Roma per presentare la sua ultima mostra, “Via Crucis atomicae” – visitabile nella basilica dei XII Apostoli fino all’8 maggio.

Come ha scoperto l’amore per l’arte figurativa?

Anche alle scuole elementari i miei quaderni erano pieni di disegni. Da allora, parola e immagine sono diventate un unico alfabeto per esprimere i pensieri. Nel medioevo, l’unità corale delle arti ha prodotto lo splendore delle cattedrali: parola, colore, suoni, tessuti, racconti in pietra. Nel mio lavoro la pittura, la grafica, la scultura, il mosaico, la tessitura, la parola, non sono che vari modi espressivi per dire la stessa cosa.

A quali maestri è più debitore?

Non potrei dire il loro nome, perché non lo conosco. I maestri che producevano le meraviglie di cui parlavo prima non firmavano la loro opera. Non era necessario, perché Colui al quale erano dedicate già lo sapeva. Sono debitore, sia a questi magistri delle cattedrali romaniche dell’Europa di sant’Agostino, sia agli umili artigiani delle pievi e dei monasteri della mia terra, la Moldavia e la Bucovina. Amo l’arte contemporanea che non ha voltato le spalle alla grande tradizione, da Rousseau a Van Gogh e Rouault, fino agli artisti di oggi che in silenzio lavorano per il rinnovamento nella continuità di un’arte dedicata al sacro.

Cosa della cultura popolare romena un europeo contemporaneo dovrebbe conoscere?

Chi vuol capire chi è stato, chi è veramente Constantin Brancusi – nei dizionari il “fondatore della scultura moderna” – deve prende zaino e scarpe leggere, e girare nei villaggi sperduti dei monti Carpazi della Romania. Vi troverà, nella carpenteria rustica, nei forni ancora primitivi della ceramica popolare, nelle forme ancestrali tessute tuttora da mani di donna, gli archetipi della scultura di Brancusi. E ancora, toccare con mano la famosa Porta del Bacio, il Tavolo del silenzio, e la Colonna infinita, nella città di Targul Jiu. Negli ultimi anni della sua vita, subito dopo la guerra, Brancusi volle lasciare alla Romania le opere che custodiva nel suo atelier di Parigi, opere da cui non si era mai separato. Si rivolse al nuovo regime di Bucarest, chiedendo anche la cittadinanza romena che aveva perso perché rimasto nel mondo libero dopo la “liberazione” della Romania dai carri armati sovietici. La risposta fu secca: “No. Non abbiamo bisogno di un’arte decadente che tradisce gli ideali della rivoluzione!”.

Pochi giorni dopo Brancusi lasciava alla città di Parigi le sue opere e diventava cittadino francese.

Bucarest reagisce e decide la demolizione della Colonna Infinita. Un carro armato di 60 tonnellate tenta di abbatterla, ma la colonna di acciaio resiste. Oggi è patrimonio dell’Umanità. Oltre la povertà materiale imposta al popolo, il comunismo aveva instaurato la miseria ideologica dell’odio e dello sterminio fisico del nemico di classe, mentre, nelle catacombe i poveri di spirito resistevano nella Chiesa di Cristo. Nell’arte del Realismo socialista, l’impoverimento morale toccò il fondo: costretto a obbedire alla propaganda di regime, l’artista doveva uccidere la verità, in nome del trionfo della rivoluzione.

A cosa sta lavorando attualmente?

In un mondo in cui l’arte si è radicalmente staccata dai valori morali, sto ripetendo all’infinito, con tutti i mezzi, che il bello è il bene, e il brutto è decisamente il male. La Post-arte non ha più bisogno di essere spiegata. Si autodefinisce. Il bene è la bellezza primordiale della Genesi, la philìa dei presocratici che tutto tiene insieme nell’universo: il micro e il macrocosmo, le cellule vive, le particelle dell’eternità.

Ha dei giovani artisti “a bottega” da lei?

No. Ma dobbiamo considerare che non esiste più la “bottega” dell’arte. Dentro la torre d’avorio delle avanguardie solitarie di oggi non c’è spazio per un simile ibrido. È difficile trovare chi ha voglia di andare a imparare da un maestro: secondo il più banale luogo comune tutta l’arte, per definizione, è sacra. Salvo pochi irriducibili, che non sanno ancora che la guerra in difesa della grande tradizione è già persa, non conosco artisti disposti al sacrificio in difesa della verità cristiana.

Come ha scoperto la fede?

Non l’ho scoperta. C’era dentro di me, dal giorno del battesimo. È rimasta nascosta, in attesa di riscoprirla, fin quando abbiamo restaurato con le nostre mani e di pochi amici, una pieve romanica del XII secolo, a Gallese, in provincia di Viterbo. Volevo farmi un atelier ed è venuto fuori il nuovo fonte battesimale del mio destino. Ho fatto il segno della croce e ho indossato nella mia vita e nella mia arte la camicia cristiana.

(©L’Osservatore Romano 29 aprile 2011)

 

 

 


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