Categoria : politologia

Analisi: Francia luglio-agosto 2010 di Riccardo Brizzi

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IL TRATTATO DI LISBONA ENTRA A REGIME

Nel corso dell’ultimo bimestre il dibattito sulla stampa francese si è piuttosto concentrato sulla dimensione politica interna e sulle vicissitudini di un esecutivo in calo di consensi. Anche le misure anti-rom volute dal presidente Sarkozy, intenzionato a lanciare una nuova offensiva sul versante della sicurezza nel tentativo di riconquistare parte della popolarità perduta, pur implicando conseguenze sul fronte comunitario (1), sono state trattate prevalentemente come questioni domestiche (2). Con la rentrée di settembre la ripresa in grande stile dei movimenti di protesta contro alcune iniziative del governo, ha contribuito a oscurare ulteriormente la dimensione europea dalle pagine dei principali quotidiani francesi: sabato 4 settembre Parigi è stata attraversata da una imponente manifestazione contro «l’odio e la xenofobia», indetta da un centinaio di organizzazioni anti-razziste, partiti di sinistra e sindacati; martedì 7 settembre, invece, la Francia è stata paralizzata dallo sciopero generale contro la riforma delle pensioni presentata il giorno stesso all’Assemblée nationale. Di temi autenticamente europei si è così finito per parlare essenzialmente nelle prime settimane di luglio, in concomitanza con l’inizio della presidenza belga e la nascita di importanti soggetti istituzionali previsti dal Trattato di Lisbona, a partire dal Servizio europeo d’azione esterna (Seae) che garantirà all’Ue un proprio corpo diplomatico autonomo.

1. Il Belgio alla guida dell’Ue

L’avvio del nuovo semestre di presidenza ha peraltro suscitato commenti piuttosto discordanti sulla stampa francese. Da un lato si è insistito sulle garanzie che il Belgio dovrebbe garantire all’Ue in termini di esperienza (primo paese incaricato di presiedere l’allora Cee, nel lontano 1958, il Belgio ha rivestito questo incarico ben undici volte, di cui l’ultima nel 2001, quasi sempre con bilanci positivi) e di efficacia organizzativa e decisionale (il Belgio ha il privilegio di giocare in casa – dal momento che l’Ue è diretta dalla sua capitale, Bruxelles – e che può contare su una special relationship con l’attuale presidente del Consiglio europeo, il connazionale ed ex premier Herman Van Rompuy) (3). Questi due importanti punti a favore, non hanno tuttavia potuto occultare le perplessità che – ancora oggi – si addensano sulla gestione della presidenza. Secondo i principali organi di stampa, esse attengono a un duplice ordine di ragioni. Le prime sono di ordine politico, riconducibili essenzialmente alla precaria stabilità del paese. Se il Belgio è in preda all’ingovernabilità da più di tre anni, il quadro sembra essersi ulteriormente complicato all’indomani delle elezioni dello scorso 13 giugno. Il trionfo della formazione indipendentista della Nuova alleanza fiamminga (N.Va) nelle Fiandre e l’affermazione del Partito socialista in Vallonia hanno dato vita a un negoziato complesso che non ha ancora avuto un esito positivo. Un paese il cui presente è attraversato da preoccupanti tensioni populiste e il cui futuro è incerto, non può fare affidamento su un grande credito politico (4). La seconda preoccupazione è relativa alla tempistica con cui potrebbe avvenire il passaggio di testimone al governo: l’ipotesi più probabile è infatti che la fiducia alla nuova compagine ministeriale sia votata a ottobre, nel pieno della presidenza, implicando una pericolosa discontinuità nella gestione di dossier che si trovano in stato avanzato e inevitabili lungaggini amministrative. Lo spettro evocato da alcuni quotidiani è la possibile ripetizione di ciò che è avvenuto nel primo semestre del 2009, quando la Repubblica ceca, a seguito di una inattesa crisi politica, diede vita a un governo di unità nazionale nel tentativo di garantire la presidenza dell’Ue sino alla scadenza naturale. Una soluzione d’emergenza che, tuttavia, non riuscì ad evitare all’Europa una serie di umiliazioni sulla scena internazionale, come in occasione della conferenza Onu contro il razzismo (il cosiddetto Durban II) quando l’ambasciatore ceco annunciò ai ventisei partner increduli, di aver ricevuto da Praga l’ordine di rientrare immediatamente, lasciando così l’Ue priva di un capo delegazione (5). Questa possibilità, tuttavia, è stata ritenuta poco credibile da parte di autorevoli addetti ai lavori, per almeno tre ragioni. La prima è di ordine istituzionale: l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, intervenuta nel frattempo, attraverso l’introduzione della figura del presidente stabile del Consiglio europeo (che oltretutto è un belga!) ha fatto venire meno il rischio di vuoti di potere simili a quello vissuto nel primo semestre dello scorso anno. La seconda è di natura politica: mentre lo scorso anno la presidenza ceca era stata ostacolata dal forte euroscetticismo del capo dello Stato, Vaclav Klaus, e di settori importanti della maggioranza, in Belgio il progetto europeo dispone di un consenso trasversale, che supera le divisioni politiche e la barriera linguistica. La terza ragione attiene alla dimensione organizzativa: l’inesperienza dei cechi, alla loro prima presidenza, aveva contribuito ad aggravare la fragilità politica del paese. Il Belgio, al contrario, garantisce la presidenza per la dodicesima volta, conosce a fondo il funzionamento delle istituzioni comunitarie ed è dotato di un corpo di diplomatici particolarmente esperto ed apprezzato.

2.Van Rompuy e la Ashton gettano la maschera

L’obiettivo principale che la stampa francese ha attribuito alla presidenza belga – in linea peraltro con le dichiarazioni del premier ad interim, Yves Leterme – è la stabilizzazione del nuovo assetto istituzionale dell’Ue. In un contesto reso particolarmente magmatico dall’introduzione del trattato di Lisbona, l’impressione rilevata da diversi osservatori è che da questa redistribuzione dei poteri ne esca indebolita anzitutto la presidenza a rotazione, privata di numerose prerogative e attualmente incaricata soltanto di gestire i lavori dei Consigli dei ministri tecnici (Eurogruppo escluso, affidato al presidente stabile) (6). Contemporaneamente sembra avere ritrovato un po’ di smalto il nuovo binomio istituzionale, costituito dal presidente stabile del Consiglio europeo e dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri. Nonostante le resistenze del presidente della Commissione, José Manuel Barroso, e del leader dell’eurogruppo, Jean-Claude Juncker, Herman Van Rompuy appare ormai la figura centrale del panorama comunitario nonché il principale referente (presiede il gruppo di lavoro per la governance economica, i cui lavori – rinfrancati dall’esito positivo degli stress test sulle banche europee (7) e dalla forte ripresa della locomotiva tedesca (8)- dovrebbero concludersi in autunno) del cantiere più delicato che attende la presidenza belga nei prossimi mesi: la definizione di una strategia per arginare la crisi economica e finanziaria dell’eurozona. L’altra figura emergente dell’assetto istituzionale europeo è Catherine Ashton. Dopo alcuni mesi di critiche piuttosto aspre da parte della stampa francese (in molti casi piuttosto condivisibili) l’Alto rappresentante per gli Affari esteri è uscito dal limbo in cui pareva confinato, in occasione della nascita del Servizio europeo di azione esterna (Seae). Questa mastodontica struttura di 6.000 persone – che prenderà forma attraverso l’accorpamento di diplomatici, esperti civili e militari sino a oggi dispersi tra la Commissione, il Consiglio e le capitali dei vari paesi – dovrebbe finalmente permettere all’Ue di affermare finalmente una presenza più efficace sulla scena internazionale (9). Il primo banco di prova sul quale dovrà misurarsi la Ashton è la preparazione del vertice internazionale sull’ambiente di Cancun, in calendario dal 29 novembre al 10 dicembre 2010, nel corso del quale si tenteranno di consolidare i timidi passi avviati in occasione del deludente accordo non vincolante di Copenaghen dello scorso dicembre. La Ashton dovrebbe procedere già dalle prossime settimane con le prime nomine, ma nei corridoi di Bruxelles circolano già le prime voci, riportate puntualmente dagli organi di stampa più informati, particolarmente soddisfatti del fatto che il futuro segretario generale del Seae sarà – secondo tutti i pronostici – il diplomatico francese Pierre Vimont, attuale ambasciatore di Parigi negli Usa. A fargli da vice saranno la tedesca Helga Schmid (ex consigliere di Joschka Fischer) e Mikolaj Dowgielewicz, attuale segretario di Stato polacco agli Affari europei. Altre indiscrezioni riguardano il prossimo ambasciatore dell’Ue a Pechino – che dovrebbe essere un tedesco – e la direzione generale incaricata dell’area mediorientale, probabilmente affidata a un funzionario svedese, Christian Lefler (10). Alcuni quotidiani hanno sottolineato come l’afflusso di candidature provenienti dagli Stati membri, per entrare nel Seae sia stato superiore a qualsiasi previsione (11). Se questo sorprendente entusiasmo per il nuovo servizio diplomatico europeo è in buona parte imputabile a ragioni contingenti (sostanzialmente i tagli di bilancio che numerosi paesi stanno effettuando ai rispettivi corpi diplomatici, con il conseguente effetto di rendere più appetibile la destinazione comunitaria), l’ingente afflusso di domande di partecipazione al Seae traduce indiscutibilmente la volontà degli Stati membri di piazzare uomini di fiducia all’interno di un servizio di cui è difficile non comprendere l’importanza per i destini del progetto europeo.

(1) J-J. Mevel, Roms: Bruxelles veut plus d’explications, Le Figaro, 02-09-2010.

(2) F-O. Giesbert, Roms, la ficelle et le boomerang, Le Point, 27-08-2010.

(3) J. Quatremer, La Belgique, pays sans tête, prend celle de l’Ue, Libération, 03-07-2010.

(4) La Belgique et les Pays-Bas malades du populisme, Le Monde, 06-09-2010.

(5) La Belgique affaiblie prend les rênes de l’Union européenne, La Croix, 01-07-2010.

(6) P. Ricard, Avec le traité de Lisbonne, la présidence tournante de l’Ue a perdu de l’importance, Le Monde, 02-07-2010.

(7) La bonne tenue du secteur bancaire, Le Monde, 25-07-2010 ; J. Pisani-Ferry, Le test valait bien le stress, Le Monde, 03-08-2010.

(8) J-P. Robin, L’Allemagne affiche une croissance asiatique, Le Figaro, 14-08-2010.

(9) J-J. Mevel, La diplomatie de l’Ue forme ses bataillons, Le Figaro, 08-07-2010.

(10) J-P. Stroobants, Lady Ashton met en place les hommes et les outils de la politique etrangère européenne, Le Monde, 28-07-2010.

(11) J. Quatremer, Le service diplomatique est né, Libération, 27-07-2010.

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