Il pittore Giovanni Cau di Angelino Tedde
Le “opere e i giorni”
Il pittore Giovanni Cau, allievo dei più famosi pittori sardi del primo Novecento quali possono considerarsi Figari, Dessì, Tavolara e Meledina, nonché coetaneo di Becciu, Calvi, Bazzoni e Mazzanti, occupa un posto di tutto riguardo nel panorama dell’arte pittorica in Sardegna e in Italia sia rispetto ai suoi maestri sia rispetto ai suoi stessi coetanei.
In primo luogo vi è da ammirare la continuità di un impegno pittorico che non conosce soste, in secondo luogo la varietà dei soggetti.
Arroccato nel perimetro dell’antico Castelgenovese, volontariamente recluso nel suo atelier, un convento francescano quattrocentesco, il pittore vive ed opera tra i suoi fantasmi pittorici che vanno dagli assolati paesaggi vangoghiani ai fiori viventi nel realismo magico bontempelliano, dai caldi e sensuali nudi femminili, immersi in un’atmosfera voluttuosa e travolgente, ai ritratti maschili e femminili che paiono venir fuori dalle tele per un colloquio simbiotico col visitatore, dai grandi oli che trattano delle opere e dei giorni degli uomini, travolti dal ciclo del tempo e della vita, alle visioni mistiche dei soggetti religiosi che rievocano estasi elgrechiane.
I suoi oli tanto quelli di dimensioni usuali come quelli di vasta superficie possono ammirarsi in collezioni pubbliche e private, in ambienti civili e religiosi in Italia e all’estero.
Come le navi che solcano il mare che il pittore ammira estasiato dall’alto del suo atelier-convento, le sue opere come creature che si staccano dalla madre lasciano il suo magico laboratorio per raggiungere destinazioni isolane, continentali ed estere.
Il pittore, inserito da decenni nel Catalogo Bolaffi e in altri numerosi cataloghi autorevoli nazionali e internazionali, porta ovunque il fremito ardente della sua pittura che pare voglia ingaggiare una lotta incandescente tra il passato e il presente. Certo, a tratti, egli sembra tentato di lanciarsi alla ricerca di nuovi orizzonti, quelli della pittura informale, espressionistica ed impressionistica ad un tempo, ma poi, il palpito della vita, l’opera dell’uomo, la seduzione di un corpo di donna o il volto misterioso dei suoi autoritratti lo ridesta al fascino pittorico della natura, del paesaggio, della vita, di un mondo che fu e che troppo violentemente ci è stato sottratto.
E allora il pittore si immerge in vaste superfici in cui uomini e donne, animali e strumenti di lavoro, colti in un’atmosfera di realismo magico, pervasi da una natura solare, ma non violenta, in movimento ma non frenetica, operano, compiendo riti millenari.
Queste opere e i giorni, questi riti della vita e del tempo, rivissuti con dolcezza quasi onirica sembrano affascinare il maestro che finalmente si placa nella contemplazione di un tempo che fu, che non è più ma che egli, novello Faust, vuole far vivere e ricreare.
Questo linguaggio pittorico, reale e surreale, sembra parlare al cuore della gente semplice, all’intelletto degli uomini di cultura trasformandosi in linguaggio universale.
Nelle “opere e i giorni” della vasta tela commissionatagli dal Comune di Ortueri, della dimensione delle grandi opere dei più noti pittori italiani e stranieri, (m. 6 per 1,87), una superficie di oltre 11 metri quadrati, il maestro Cau, con la perizia e la passione che lo contraddistingue, ha voluto offrire alla contemplazione dei suoi compaesani un’opera esemplare .
Sono presenti nel grande dipinto oltre venticinque personaggi tra uomini e donne; tre gioghi di buoi, canestri, sacchi, covoni, e altre oggetti e strumenti di lavoro: tutti sono intenti al sacro rito de “s’incunza”, estatici e pensosi, espressivi e solenni come sacerdoti rivestiti dei paramenti sacri, con quei costumi variopinti: anche il pittore è presente all’estremità del quadro intento alla chiusura di un sacco di grano.
I primi piani sono lasciati agli uomini e alle donne, in armonia, i secondi piani agli animali e, infine, sullo sfondo il giallo dell’aia sembra raggiungere le colline con luce quasi radente e pare rapidamente riverberarsi nel cielo e ripiombare azzurrino sulla cima del colle più lontano.
Tonalità calde e fredde sembrano raggiungere un’armoniosa sintesi cromatica che sfocia nell’estasi, per un attimo ancora si vuole rivivere un passato che non è più, e che già fu. Quasi un canto di coro di tragedia greca e il rimpianto di un Eden perduto, per l’uomo sardo, di Ortueri, per l’uomo universale, abbassato lo sguardo ci attende l’uomo diventato frenetico e rombante come una macchina, il sogno si dissolve, una realtà meccanica incombe: la perdita dell’essere, l’uomo alla ricerca dell’avere, del nulla.
Non vi è altro da aggiungere, il maestro ha superato se stesso.
In questo capolavoro de “le opere e i giorni” il maestro Cau, con grande fervida passione offre una sintesi mirabile di tutta la sua opera. Il Comune di Ortueri, grazie alla sensibilità dei suoi amministratori, ha investito in modo proficuo, procurandosi “un bene culturale” che molti sardi e turisti vorranno sicuramente ammirare, nel cuore di una Sardegna ancora intatta, ma non per questo meno ricca di opere artistiche di alto livello.
Con quest’opera Giovanni Cau potrà fregiarsi non solo per la nascita ma anche per le “opere e i giorni” del nome di “maestro di Ortueri”.
Angelino Tedde