Categoria : archeologia, storia

“Villaggi postmedievali della Sardegna” di Gianluigi Marras

1. Geridu 1997, Area 3000 durante lo scavoI giorni 12 e 13 dicembre si sono tenute, presso l’Aula Umanistica del Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari e il Museo Biddas- Museo dei Villaggi Abbandonati della Sardegna (Sorso), le giornate di Studio sul tema “Villaggi Postmedievali della Sardegna. Abbandoni, nuove fondazioni, ripopolamenti”, primo convegno esplicitamente dedicato all’argomento.

Marco Milanese, Direttore del Dipartimento e Ordinario di Archeologia Medievale e Postmedievale, introducendo i lavori con il suo contributo “I villaggi postmedievali della Sardegna tra fonti scritte e fonti archeologiche”. ha posto appunto in evidenza l’importanza dell’incontro per la novità del tema e per la forte sinergia dei due atenei regionali, dimostrato dal numero e dalla qualità degli interventi previsti. Sottolineando inoltre le difficoltà a livello nazionale, sia di ordine accademico che amministrativo e normativo,  dell’archeologia postmedievale ha ricordato come gli unici insegnamenti della materia in Italia abbiano sede a Sassari e Cagliari, che evidentemente continuano il ruolo guida già assunto da Sassari nel 1994 con l’organizzazione del I Convegno nazionale di Archeologia Postmedievale e come sede della rivista “Archeologia Postmedievale”, arrivata ormai al quattordicesimo numero. Entrando nel merito del tema ha elencato alcuni punti che hanno quindi incontrato ampio riscontro nelle relazione successive: la scarsa visibilità degli insediamenti postmedievali abbandonati, la loro tutela, ancora episodica e difficilmente inquadrabile dal punto di vista normativo, e lo sviluppo di una “storia delle persone” da affrontare mediante differenti discipline, portando ad esempio gli studi sul cimitero di Bisarcio (Ozieri- SS), con la possibilità di studi di antropologia fisica, paleo-nutrizione e studio del DNA antico.

Giovanni Serreli, ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea del C.N.R. di

Cagliari, ha presentato la relazione “Com era acustumat en temps de Pisans. I mutamenti nell’assetto insediativo nel Capo di Cagliari nella seconda metà del Trecento”, che ha fornito un ponte con il periodo precedente a quello postmedievale, ovvero la congiuntura di crisi e ristrutturazione insediativa, che in Sardegna sembra partire dalla conquista aragonese e dal conseguente sistema feudale e cambio di regime fiscale, come lamentato dal “quarto braccio” al Parlamento di Pietro IV, quando appunto viene chiesto al Sovrano un ritorno alle consuetudini del periodo pisano. Lo studioso ha quindi sottolineato l’importanza di un approccio interdisciplinare al problema, presentando un nuovo progetto condotto insieme all’Università di Cambridge che mira a ricostruire  i paleoclimi medievali anche tramite l’ausilio di palinologia e archeobotanica, con una prima illustrazione di progetto e risultati nella primavera del 2015.

Gian Giacomo Ortu, ordinario di Analitica Storica dei Luoghi presso la Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università di Cagliari, si occupa da lungo tempo dei villaggi medievali e postmedievali: il suo “Villaggio e poteri signorili in Sardegna”, edito da Laterza nel 1996, è considerato un testo fondamentale. Il suo intervento, dal titolo “Dinamica sociale dello spopolamento dei luoghi nella Sardegna moderna”, parte da un articolo di John Day, “Villaggi abbandonati e tradizione orale: il caso sardo”, pubblicato sulla rivista “Archeologia Medievale” nel 1976, che esaminava le leggende sugli spopolamenti, specialmente quelli in epoca postmedievale. In particolare Ortu si concentra sugli abbandoni attribuiti agli attacchi dei banditi, confrontando la tradizione orale, grande archivio della memoria, con le fonti documentarie, studiante analiticamente per quanto riguarda i casi di Sitzamus (villaggio della Marmilla scomparso nella prima metà del Settecento, vedi F. Sonis, “Villaggi scomparsi in Sardegna. Il caso di Sitzamus nel Settecento, Cuec, 2010) e Serzela (presso Gonnostramatza, vedi C. Ronzitti, “Sérzela. La scomparsa di un villaggio sardo del Settecento”, Cuec, 2003). Con la sua consueta visione anamorfica lo studioso di Mogoro evidenzia invece per questi casi l’estenuazione del “principio di Sociazione”, ovvero quel complesso di reciprocità e relazioni che costituiscono il tessuto di una società (Simmel), con il formarsi di villaggi “aperti”, dove i rapporti verso l’esterno diventano più importanti di quelli interni, attraverso il consolidarsi di relazioni sociali, familiari ed economiche. A questo punto nei casi studiati i vari gruppi familiari, la cui importanza è sottolineata dal relatore, si dividono e si spostano in altri centri: le leggende sui banditi nascondono quindi queste realtà, e nel contempo ricordano la permanenza di diritti di proprietà che vengono trasferiti ai centri di nuova residenza. Nel complesso l’intervento dell’Ortu fornisce nuovi spunti di interpretazione e modellizzazione da poter applicare ad altri casi, ricollegandosi alla “storia delle persone”, come nuova frontiera della demografia storica.

Giovanni Murgia, professore associato di Storia Moderna presso l’Università di Cagliari, nel suo intervento “Le rifondazioni di villaggi nella Sardegna della prima metà del Seicento” ha posto in evidenza un momento storico di grande espansione demografica ed economica, durante i periodi di regno di Filippo III e Filippo IV, durante i quali vengono fondati, o ripopolati, numerosi abitati, in special modo nell’area campidanese. Alcuni casi sono stati studiati analiticamente attraverso le fonti scritte ed esposti succintamente, come quelli, relativi al distretto terralbese, di Uras, Terralba, San Nicola d’Arcidano e Bonorzuli, antico capoluogo di curatoria che viene abbandonato alla fine del Cinquecento e ripopolato dopo circa 50 anni: il tentativo non va tuttavia a buon fine e Murgia dimostra, attraverso i contratti con il feudatario, come gli stessi nuclei familiari si spostino in toto nella nuova e duratura fondazione di Marrubiu.

L’intervento di Giuseppe Doneddu, “John Day e i villaggi abbandonati della Sardegna”, letto da Enrico Petruzzi, Dottorando in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo, verte invece sulla figura dello studioso franco- americano che a partire dal Convegno internazionale di Monaco del 1965, offrì le prime sintesi sul fenomeno dei villaggi abbandonati sardi fino all’ancora fondamentale Villaggi abbandonati in Sardegna dal trecento al settecento: inventario edito a Parigi nel 1973 e altri testi successivi. Il relatore mette a punto un profilo di John Day sia dal punto di vista scientifico, ricordando la profonda conoscenza dei principi economici e della circolazione monetaria e la rivoluzionaria teoria del malthusianesimo inverso caratteristica del contesto isolano (il celeberrimo “Malthus démenti? Sous-peuplement chronique et calamités démographiques en Sardaigne au Bas Moyen Age”, edito in “Annales. Histoire, Sciences Sociales”, 30e Année, No. 4 (Jul.- Aug., 1975), pp. 684-702, reperibile in rete al link http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/ahess_0395-2649_1975_num_30_4_293640 ), che umano, basato sulla conoscenza diretta e l’amicizia.

I due interventi successivi possono essere accomunati in quanto non trattano direttamente casi e dinamiche di spopolamento, ma piuttosto temi urbanistici e architettonici degli insediamenti di epoca moderna.

Marco Cadinu, Ricercatore con docenza di Storia dell’Architettura presso l’Università di Cagliari, ha presentato nel suo intervento, “Elementi per la valutazione della forma urbanistica dei villaggi postmedievali della Sardegna”, una rassegna di  temi e fonti utili alla lettura urbanistica. Le fonti utilizzabili sono molteplici: i documenti scritti, per esempio gli statuti cittadini, possono suggerire forme dell’insediamento, e delle sue singole parti, ancora leggibili nei tessuti urbani. Anche la cartografia storica, specialmente quella catastale, si rivela di grande utilità per lo studio della forma  urbanistica, la viabilità storica e i quartieri, case e “casalini” etc. In questo quadro non può naturalmente essere dimenticata l’analisi architettonica propriamente detta. L’interesse di questo approccio per la ricostruzione della storia degli insediamenti è individuata nella possibilità di datare singoli parti o insiemi e nella dialettica continua fra elementi datati e confrontabili. Tutto l’intervento, di grande impatto metodologico, è stato illustrato con esempi tratti dalle ricerche dell’autore in ambito sardo, con grande attenzione all’ambito della tutela, spesso non applicata a questi ambiti architettonici e cronologici.

Marcello Schirru, Assegnista in Storia dell’architettura presso l’Università di Cagliari, si è invece concentrato su “Le residenze feudali in Sardegna nella prima epoca moderna: forme architettoniche ed insediamento urbano”, tema piuttosto negletto nella ricerca isolana. Tali strutture sono state analizzate non solo dal punto di vista architettonico, ma in quanto poli urbanistici di primaria importanza. Infatti le residenze feudali non erano tanto delle abitazioni (funzione meglio assorbita dai palazzi nelle città regie e dalle ville di piacere) ma piuttosto delle grande aziende fondiarie legate agli interessi statali e degli spazi atti ad accogliere un gran numero di funzioni pubbliche e simboliche. Infatti all’interno dei complessi feudali (recensiti dall’autore e da Raimondo Pinna in numero di 43) veniva amministrata la giustizia, erano raccolti i tributi, si svolgevano le assemblee pubbliche e la presa di possesso dei feudatari. Tale polifunzionalità si esplicava in un complesso edilizio che univa spazi abitativi, carceri, pozzi, grandi spazi aperti etc. Anche dal punto di vista urbanistico la residenza si poneva in modo simbolico: sistemata solitamente in posizione preminente e discosta dal nucleo urbano, comprendeva inoltre una cappella oppure era ubicata a diretto contatto con la chiesa parrocchiale, quando questa non era costruita ex novo presso il palazzo. Anche in questo caso, particolarmente importante per tutto il periodo feudale, la tutela si rivela spesso inefficace e le strutture sono sottoposte a smembramenti, mutamenti e distruzioni.

Giampaolo Salice, assegnista di ricerca presso l’Università di Cagliari, nel suo contributo “Ladri di Santi. Creazione dello spazio e costruzione delle élite tra villaggi scomparsi e di nuova fondazione“, affronta un tema trasversale che, partendo dalle fonti orali, esamina il tema dei diritti di proprietà residui dei villaggi abbandonati. Infatti lo studioso mette in evidenza come le leggende sui tentativi di furto delle statue dei santi titolari di chiese rurali, solitamente non riusciti per il diretto intervento del Santo stesso, che impedisce il suo spostamento in un nuovo centro rendendosi intrasportabile, nascondano le contese sui territori dei villaggi abbandonati fra i centri sopravvissuti contermini. Gli ultimi abitanti dei centri abbandonati trasferivano infatti, insieme ai loro diritti di proprietà, il culto dei santi titolari della parrocchia e delle altre chiese; i culti tributati annualmente alle chiese, ormai campestri, dai villaggi sopravvissuti con il concorso di tutta la cittadinanza, processioni e novene, servivano appunto a riaffermare i diritti di proprietà sulle pertinenze degli antichi centri. Anche in questo caso dunque gli “archivi della memoria”, con modalità ripetute in tutta l’isola ma infinite varianti, nascondono e tramandano una realtà storica ben più varia e complessa.

Il giorno seguente i lavori sono stati trasferiti presso il Palazzo Baronale di Sorso, sede di Biddas- Museo dei Villaggi Abbandonati della Sardegna (che affronta diffusamente l’argomento del convegno), di fronte a numerosi uditori. Il primo intervento, slittato dalla precedente sessione per ragioni di tempo, è stato “Il ripopolamento dei villaggi in Sardegna nel XVIII secolo. Olmedo e Villanova Montesanto, due casi a confronto” di Angela Simula, collaboratrice della Cattedra di Archeologia Medievale e Postmedievale dell’Università di Sassari, concentrato su due tentativi di ripopolamento di villaggi attuati nel Settecento. Olmedo, abbandonato per qualche decennio nell’ultimo quarto del XVII secolo, venne ripopolato tra il 1715 e il 1728 per iniziativa del Barone di Sorso don Pietro Amat, con un nucleo iniziale di 70 persone: l’operazione andò a buon fine e Olmedo ha conosciuto contrinuità di vita fino ad oggi.

Esito differente ebbe invece l’analoga iniziativa per quanto riguarda Villanova Montesanto, abbandonato a metà del Seicento: l’infeudazione della Contea di Villanova Montesanto al mercante ligure Giacomo Musso venne infatti subordinata dalla corona al ripopolamento del centro omonimo, che però partì dopo molte difficoltà, solo intorno al 1763, mediate la concessione di franchigie ai nuovi coloni. La vita del rifondato villaggio proseguì a stento per qualche decennio, con difficoltà di tipo economico e istituzionale, per naufragare entro il 1810. L’autrice, sulla base dello studio delle fonti documentarie e cartografiche, propone inoltre una proposta di ubicazione del centro settecentesco, non ancora suffragata dalle fonti archeologiche.

Il successivo intervento, “Indagini archeologiche sul villaggio di Villanova Montesanto (Siligo)”, a cura di M.Milanese, M.Cherchi, A.Deiana, C.Deriu, G.Marras, G.Padua, E.Sias, A.Urgu, A. Becciu, A.Bonetto, M.Pipia, verte appunto sulle ricerche archeologiche a Villanova Montesanto. Essendo lo scrivente co-autore di questo contributo si daranno sull’argomento solo poche notazioni: quello presentato è stato il primo progetto di ricerca archeologica in ambito sardo e, a nostra conoscenza, nazionale incentrato sullo studio di un villaggio postmedievale abbandonato. Le due campagne di scavo del 2011 e 2012, seguite a ricognizioni intensive e prospezioni magnetometriche, hanno interessato l’area che toponomastica e fonti orali identificano con l’insediamento di Villanova Montesanto, piccolo centro attivo dal XV a metà del XVII secolo e rifondato nel Settecento. Lo scavo stratigrafico, condotto su grandi aree presso la chiesa rurale di San Vincenzo Ferrer, non ha individuato le strutture abitative del villaggio, la cui consistenza demografica appare nei documenti scritti molto ridotta, ma grandi areali di discariche domestiche ulteriormente rimescolate dai lavori agricoli. Tale situazione rende da un lato chiara che l’ubicazione esatta dell’abitato, vista anche la conformazione geomorfologica del territorio, non dovesse essere lontana e dall’altro la sua vivacità commerciale, testimoniata dai reperti ceramici e numismatici, forse dovuta alla vicinanza con la Strada Reale da Sassari a Cagliari. Sfortunatamente per ragioni amministrative non è stato possibile proseguire lo studio del sito.

Sempre incentrato sull’archeologia di un insediamento postmedievale abbandonato è stato il successivo intervento, “Spazi della vita e spazi della morte del villaggio abbandonato di Bisarcio (Ozieri)”, a cura di M.Milanese, M.Cherchi, A.Deiana, C.Deriu, P.Derudas, G.Frau, C.Sgarella, M.Zipoli, A. Becciu, A. Bini, A.Bonetto. Il centro di Bisarcio, sede episcopale dall’XI secolo al 1503, vive in epoca moderna un lungo declino demografico, testimoniato anche dai censimenti e dai resoconti di viaggiatori, fino all’abbandono definitivo nella prima metà del Settecento. Contrariamente a Villanova Montesanto Bisarcio gode di ottima visibilità archeologica  e sono ben riconoscibili i ruderi di numerose abitazioni oltre che la Cattedrale di S. Antioco e le rovine di episcopio e canonica. L’analisi stratigrafica, che prosegue dal 2012,  ha analizzato il polo abitativo (sono state 120 le abitazioni rilevate), quello ecclesiastico e infine il cimitero medievale e postmedievale. I poli d’interesse della ricerca sono molteplici: l’urbanistica urbana nel ‘600-‘700, la diacronia dell’abbandono, le strutture privilegiate e le cumbessias fino a toccare circolarmente la storia delle persone con l’analisi antropologica dei resti scheletrici provenienti dalle sepolture.

Per ragioni personali non ho potuto seguire la relazione di F. Pinna, ordinario di Archeologia Medievale e Archeologia Postmedievale all’Università di Cagliari, su “L’assetto insediativo della Gallura postmedievale: appunti programmatici per una “archeologia degli stazzi”“, tema che si prefigura come centrale nell’agenda della ricerca sull’insediamento postmedievale.

Molto ricca anche la sezione dei poster, la maggior parte dei quali sono stati esclusi dalla trattazione orale esclusivamente per la carenza di tempo. I sedici contributi presentati, equamente ripartiti tra i due atenei regionali, hanno presentato studi di giovani ricercatori variamente distribuiti per orizzonte cronologico (dal XV al XX secolo) e grado di sintesi, con poster su comprensori subregionali (Anglona, Meilogu, Sassarese, Trexenta, Siurgus, Sulcis) o singoli villaggi (Seddas is Moddizzis, Enesta, Todorache e Lachesos, Bilikennor, Bortiocoro, Spasulrè, Locoe, Serzela), che hanno mostrato come la prassi della ricerca sarda presenti un’elevata maturità e una forte accentuazione diacronica sul postmedievo.

In conclusione le giornate di studio hanno fatto il punto su un argomento centrale nella storia moderna sarda, mettendo in luce varie linee di ricerca, parzialmente indagabili ma ancora foriere di notevoli sviluppi, che vanno dalle ricerche archivistiche a quelle archeologiche, dalla sociologia all’antropologia, culturale e fisica, all’architettura. Si attende ora la pubblicazione degli atti del convegno, che confluiranno in un volume dei QUAVAS, Quaderni dei Villaggi Abbandonati della Sardegna, che potranno essere un ulteriore volano della ricerca futura.

Programma delle Giornate di Studio

Venerdì 12 dicembre 2014, ore 15,00

Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione – Aula Umanistica (Via Zanfarino, 62)

Saluti del Magnifico Rettore, prof. Massimo Carpinelli

Marco Milanese, I villaggi postmedievali della Sardegna tra fonti scritte e fonti archeologiche

Giovanni Serreli, Com era acustumat en temps de Pisans. I mutamenti nell’assetto insediativo nel Capo di Cagliari nella seconda metà del Trecento

Gian Giacomo Ortu, Dinamica sociale dello spopolamento dei luoghi nella Sardegna moderna

Giovanni Murgia, Le rifondazioni di villaggi nella Sardegna della prima metà del Seicento

Marco Cadinu, Elementi per la valutazione della forma urbanistica dei villaggi postmedievali della Sardegna

Giuseppe Doneddu, John Day e i villaggi abbandonati della Sardegna

Marcello Schirru, Le residenze feudali in Sardegna nella prima epoca moderna: forme architettoniche ed insediamento urbano

Giampaolo Salice, Ladri di Santi. Creazione dello spazio e costruzione delle élite tra villaggi scomparsi e di nuova fondazione.

Angela Simula, Il ripopolamento dei villaggi in Sardegna nel XVIII secolo. Olmedo e Villanova Montesanto, due casi a confronto

Sabato 13 dicembre 2014, ore 9,00

Sorso (SS) – Palazzo Baronale

Biddas – Museo dei villaggi Abbandonati della Sardegna

Saluti dell’Amministrazione Comunale di Sorso

Battista Urru, 1600. Sul ripopolamento del villaggio di Uras (non tenuto)

M.Milanese, M.Cherchi, A.Deiana, C.Deriu, G.Marras, G.Padua, E.Sias, A.Urgu, A. Becciu,A.Bonetto, M.Pipia, Indagini archeologiche sul villaggio di Villanova Montesanto (Siligo)

M.Milanese, M.Cherchi, A.Deiana, C.Deriu, P.Derudas, G.Frau, C.Sgarella, M.Zipoli, A.Becciu, A.Bini, A.Bonetto, Spazi della vita e spazi della morte del villaggio abbandonato di Bisarcio (Ozieri)

Fabio Pinna, L’assetto insediativo della Gallura postmedievale: appunti programmatici per una “archeologia degli stazzi”

Poster

Maily Serra, Abbandoni, ripopolamenti e nuove fondazioni nei territori delle ex curatorie di Trexenta e Siurgus

Marta Macrì, L’impatto della fondazione di Carbonia sul sistema insediativo e produttivo della pianura di Coderra

Claudia Cocco, Nuclei rurali e mutamenti insediativi nel Sulcis postmedioevale: il territorio di Tratalias

Marta Macrì, Annalisa Carta, Un approccio interdisciplinare: il villaggio minerario di Seddas is Moddizzis

Mattia Sanna, La villa abbandonata di Enesta (San Nicolò, Buggerru). Percorsi di studio per la ricostruzione della viabilità dell’Iglesiente montano preindustriale

Laura Zanini, Villa Sant’Antonio e Villasimius. Due casi di rifondazione di borghi rurali tra XVIII e XIX secolo

Gianluigi Marras, Un lungo processo: villaggi postmedievali abbandonati nel territorio del Meilogu

Maria Giuseppina Deiana, I villaggi postmedievali abbandonati di Todorache e Lachesos (Mores). Le ricognizioni archeologiche.

Maria Cherchi, Centri a continuità di vita e nuove fondazioni: villaggi postmedievali abbandonati in Anglona

Angela Deligios, Il villaggio abbandonato di Billikennor (Martis)

Gesuino Saba, Il villaggio postmedievale abbandonato di Bortiocoro (Bultei)

Antonella Deias, Il villaggio abbandonato di Spasulè (Sorgono)

Aurelio Meloni, La villa postmedievale di Locoe (Orgosolo)

Alessandro Vecciu, La Valle del Riu Mannu: dinamiche del popolamento rurale alla fine del Medioevo e in Età Moderna

Mauro Dadea, Il villaggio postmedievale abbandonato di Serzela (Gonnostramatza)

Daniele Corda, Osini (OG): abbandono e nuova fondazione in età contemporanea

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