Categoria : politologia

Meno ideologia e più soluzioni di Paolo Pombeni

Editoriale I Settembre 2010: Unione Europea: rom e cittadini europei.

Il dibattito suscitato dalle misure predisposte dal presidente francese Sarkozy non è pienamente convincente. Il parlamento europeo ha condannato la politica francese, ma l’impressione è che si sia trattato più della solita presa di posizione di una (falsa) buona coscienza che non della seria presa in considerazione di un problema. L’intervento dell’ex presidente francese Giscard D’Estaign su «Le Point» avrebbe meritato più attenzione di quanta ne abbia ottenuta. Il suo ragionamento può essere riassunto così. Una frettolosa integrazione di Bulgaria e Romania nella UE ha scaricato su tutti i paesi il problema della minoranza rom che in quelle due nazioni è trattata molto male, in modo da spingerla ad emigrare, riprendendo antiche sue tradizioni. Però le altre nazioni europee non sono in grado di integrare rapidamente quote di popolazione considerevoli e prive di una previa acculturazione alle way of life dei nuovi luoghi in cui vanno a vivere. La conseguenza sono problemi di sicurezza, di capacità di offrire condizioni di vita accettabili e via dicendo, con il risultato di creare sacche a rischio devianza e tensioni con le popolazioni residenti. Senza giustificare metodi brutali impiegati per gestire questa contingenza, è però difficile negare che il problema esista e che sia difficile risolverlo con le buone parole. Il tema dell’immigrazione, al di là di tutto, è ben presente, e successi come quello del libro di Thilo Sarrazin in Germania dimostrano che ci sono quote non piccole della popolazione europea che lo guardano con crescente preoccupazione. L’illusione di risolverlo spazzando la polvere sotto il tappeto, cioè ghettizzando le comunità immigrate in pseudo-riserve in cui si consentirebbe loro di vivere come vogliono, purché non cerchino di contaminare le comunità circostanti è svanita molto presto.

Ora la domanda forte è: cosa fa l’Unione Europea per governare questo fenomeno? Indignarsi per le soluzioni drastiche e repressive oggi dei francesi, ma anche degli italiani, degli spagnoli e via dicendo, dà un senso di “nobiltà” a chi agita cartelli nel Parlamento, ma non fa fare un passo avanti alla situazione e rischia di preparare conflitti sociali di cui si sono già viste avvisaglie nelle rivolte dei ghetti. Il presidente Barroso è un ottimista inveterato e nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 7 settembre scorso ha preferito toccare i temi economici per dire che le cose non vanno poi così male, per divagare sulla possibilità di bond europei, per ispirare fiducia dopo le crisi dell’estate. In parte è ciò che ci si attende dal suo ruolo e, secondo i maligni, questo ottimismo a tutti i costi è quello che gli ha garantito la rielezione. Tuttavia nella maggior parte dei commenti che hanno analizzato il suo discorso le critiche sono feroci: per riassumere, l’impressione è che sotto le parole non ci sia niente. Sicuramente nessuna presa in carico di problemi realmente spinosi come l’immigrazione, nella sua duplice veste di immigrazione da fuori e da dentro la UE. Anche nella prima quindicina di settembre la stampa non ha mancato di lanciare frecciate verso una commissione che appare senza una guida e senza una “missione”: dalla Ashton che va all’esposizione di Shangai anziché interessarsi ai colloqui israelo-palestinesi, al commissario Karel De Guchte che dice sciocchezze sugli ebrei senza venire messo alla porta (del resto come si potrebbe farlo in una commissione feudalizzata sulla base di rappresentanze nazionali?). Eppure i problemi lambiscono quasi fisicamente i palazzi di Bruxelles. La crisi del Belgio infatti non accenna a rientrare, anzi si comincia a parlare di una possibilità di rottura della unità nazionale. Di qui la preoccupazione della UE, visto che la capitale belga è la sede del governo comunitario e la ventilata richiesta per Bruxelles di uno statuto simile a quello di Washington negli USA appare una proposta fantasiosa, ma che non è facilmente tramutabile in realtà. Certo parlare di una crisi della UE sembra sempre eccessivo. In realtà l’impressione è che sia una dimensione che svapora sempre più nell’attenzione dei suoi cittadini: non si sa più bene cosa faccia ed a cosa serva, a dispetto dell’accresciuto potere del suo parlamento. Forse è eccessivo dire, come qualcuno fa sulla base dei sondaggi, che viene percepita solo come una gigantesca burocrazia non particolarmente utile, ma non ci allontaniamo troppo dalla realtà se diciamo che fa battere molto poco il cuore dei suoi cittadini. Qualche riflessione approfondita su questi temi e un po’ di ideologismi in meno aiuterebbero l’europarlamento ad acquisire una credibilità ed autorevolezza che per ora ha in misura insufficiente rispetto al ruolo a cui sarebbe chiamato. Lo stesso vale per la Commissione, ma forse in questo caso la faccenda è ancora più complicata.
EuroPressResearch Logo

Commenti sono sospesi.

RSS Sottoscrivi.