Catechismo agrario ad uso delle scuole normali di Sardegna di Stanislao Caboni

Può essere utile conoscere il catechismo agrario predisposto da Stanislao Caboni, Catechismo agrario per i fanciulli di campagna, Cagliari, 1826 a tre anni dall’istituzione delle scuole normali in tutti i villaggi della Sardegna nel 1823 per opera di Carlo Felice. Carlo Alberto nel 1841 le chiamò direttamente elementari. Queste scuole, dopo quelle parrocchiali o delle collegiate (a Osilo ci fu un canonico scolastico, a Tempio Pausania un canonico di Grammatica) furono le prime scuole popolari pubbliche del Regno di Sardegna. Furono gestite dalle Comuni o Comunità che, nel 1848, furono chiamate Comuni che sono alla base degli attuali Comuni. Il precettore o maestro, oltre che  dal Manuale del canonico Maurizio Serra, al quale il canonico Antonio Manunta- Crispo aveva fornito le fonti dei catechismi lombardi, dal catechismo della dottrina cristiana, doveva attingere dal catechismo agrario per impartire ai fanciulli i primi rudimenti delle varie discipline letterarie e tecniche. La scuola era aperta a tutti i fanciulli ed era di durata triennale. I poco solidi proventi delle Comunità, nonostante l’impegno dei vescovi e degli intendenti, la rese debole e la fece andare incontro a sorti alterne. Assicurò a molti ragazzi sardi un minimo d’istruzione e le basi per l’accesso alle sette classi (futuri ginnasi-licei) boginiane.

images-3CATECHISMO AGRARIO PEI FANCIULLI DI CAMPAGNA

AD USO DELLE SCUOLE NORMALI DI SARDEGNA

D. Cosa è l’Agricoltura?

R. L’Agricoltura è l’arte di coltivare la terra onde averne raccolti migliori e più abbondanti.

D. In che consiste principalmente quest’arte?

R. Consiste primo nel conoscere i terreni; secondo nel migliorarli; terzo nel lavorarli.

D. Come si conoscono i terreni?

R. Debbesi osservare che in alcuni luoghi le terre sono molto pesanti e tenaci dell’umido; quando sono bagnate si attaccano come vischio; nei tempi secchi si indurano sommamente formando dei crepacci: queste furono chiamate terre argillose. In altri luoghi assorbono l’acqua facilmente, e si impastano, ma subito si asciugano, e presto si fanno polverose; versandovi sopra aceto bollono fortemente: queste furono dette calcari. In altri finalmente sono composte di granelli di sabbia; non impastano mai, fregandole fra diti sono aspre: a queste fu dato il nome di terre sabbiose.

D. E quell’altra terra molto nera che si impasta quando è bagnata e si fa morbida al tatto, come la chiamate voi?

R. Chiamasi terra vegetale: ma non è propriamente vera terra. Essa si forma dalle erbe, dalle foglie, dalle piante, dagli animali, e da qualunque altra cosa che marcisca, e somministra in gran parte il nutrimento alle piante.

D. Qual è la più fertile fra le terre argillosa, calcare e sabbiosa?

R. Nessuna di queste terre per sé sola potrebbe essere molto fertile; imperocchè la terra argillosa è troppo tenace all’umido, e quando dissecca resta troppo serrata e dura; la terra sabbiosa e la calcare all’incontro lasciano scolar troppo facilmente l’acqua, e presto si inaridiscono.

D. Quali sono dunque i difetti principali delle terre?

R. Due: l’uno di stringerli troppo e di ritenere soverchio umido; tali terre si chiamano forti o fredde, l’altro di sciogliersi troppo e disseccarsi, queste chiamansi leggere o calde.

D. Come si possono correggere questi difetti?

R. Col mischiare insieme le terre e renderle così buone e fertili.

images-4D. Come si debbono mischiare le terre per renderle buone e fertili?

R. Tu osserverai se il tuo terreno è forte, ed allora vi condurrai terra leggera, e se egli vi fosse leggero vi condurrai terra forte.

D. Quale misura terrò in tale mischianza?

R. Alcuni buoni agricoltori hanno insegnato che il terreno più fertile sarebbe quello in cui la terra sabbiosa fosse alquanto più della metà; vi si aggiungesse quindi non molta argilla, e il resto fosse terra calcare. Ma siccome le terre trovansi già nel tuo campo quasi sempre miste fra loro così tu supplirai a quel difetto che vedi patire il terreno aggiungendovi o terra forte, o terra leggera.

D. Perché così mista la terra sarà migliore?

R. Tu devi sapere che per nutrirsi meglio e per crescere prosperamente le piante coltivate devono trovarsi in un terreno in cui vi abbia solamente la bassevole umidità, in cui penetri il calor del sole, ed in cui le radichette possano estendersi per ogni verso e cercarvi in giro l’opportuno nutrimento. Se tu mischierai dunque la terra forte colla terra leggera, tu avrai nella prima l’umido convenevole, e coll’altra terrai aperti i meati per cui scolare la troppa umidità e penetrare il calore del sole ed insinuarsi le tenere radici.

D. Le terre fatte per tal guisa fertili possono soffrire altri mali?

R. Posson soffrire gran danno dall’acqua soverchia e dall’ombra.

D. Come si libera il terreno dall’acqua soverchia?

R. O col farvi fossi frequenti e gran solchi che guidino fuori l’acqua; o collo scavarvi delle profonde buche, riempirle di grossi sassi e legna, e quindi coltivarvi sopra; o finalmente col piantarvi degli alberi che assorbono molt’acqua quali sarebbero pioppi, ontani e salici.

D. Dunque l’ombra non è sempre un male per la prosperità dell’agricoltura?

R. Tu vedi che gli alberi si pongono talora per liberare il terreno dalla troppa umidità la quale impedirebbe ogni vantaggiosa produzione, ma del resto l’ombra è sempre un gran male pel terreno coltivato; e tu non devi aspettare mai gran frutto da quella terra o da quelle piante su cui non vi domini liberamente il sole.

D. Dopo aver così migliorate e disposte le terre, cosa si deve fare per la buona agricoltura?

R. Ingrassarle.

D. Come s’ingrassano le terre?

R. Con quelle stesse sostanze di cui abbiamo detto che si forma la terra vegetale, cioè cogli avanzi delle erbe, delle foglie, delle piante, degli animali e di qualunque altra cosa che viene a putrefazione, o marcisce.

D. Perché bisogna ingrassare le terre?

R. Perché gli ingrassi come ti ho già accennato somministrano in gran part l’alimento ai vegetali.

D. Non è dunque la terra stessa che alimenta e nutre, e forma le piante?

R. La terra non entra se non forse in piccolissima quantità nelle piante, e non è certamente il loro principale alimento. Questo si contiene nella terra vegetale, nell’acqua, e nell’aria: la terra che la sostiene e l’atmosfera che le circonda sono i due grandi serbatoi delle sostanze che le nutrono e le formano. Per mezzo delle radici e colle loro estremità più sottili succhiano le piante l’alimento dalla terra e dall’acqua disseminatavi: coi rami colle foglie e con tutta la superficie esteriore lo attraggono dall’aria.

D. Come si formano gli ingrassi?

R. Altri si formano da per se nella terra ed altri li otterrai colla tua opera e diligenza.

D. Qual è l’ingrasso che si forma da per se nella terra?

images-5R. Ogni cosa che sulla terra marcisce forma concime. Indotti da questo principio gli ottimi agricoltori hanno cercato sempre di seppellire sotto terra quanto poteva putrefarsi, gli animali, i loro escrementi, le pelli, il sangue, le ossa, le unghie, le corna e quelle materie animali che hanno prodotto forse i concimi migliori che si conoscano. E quindi hanno seppellito legna, foglie, erba, e ne ebbero fecondità ai terreni: per cui si sono posti ora alcuni fino ad ingrassare gli alberi e principalmente le viti, triturando minuti i rami che si tagliano nella potatura e seppellendo d’intorno alle piante medesime. Da tali principi venne anche l’uso dei soversci che recarono tanta pinguedine ai terreni sterilissimi.

D. Cosa sono i soversci?

R. Vi hanno delle piante le quali in vece di dimagrare il terreno lo ingrassano. Queste sono alcuni legumi, e principalmente i lupini e le fave. Tu seminerai dunque queste cose nel tuo campo o a piedi dei tuoi alberi, e quando cominciano a fiorire le seppellirai sotto terra ed arai un buon concime.

D. Qual è il concime marcito che si procaccia coll’opera e colla diligenza dell’agricoltura?

R. Quello che si forma nelle stalle collo sterco ed orina degli animali e collo strame. Tale concime si chiama letame.

D. Essendo questo concime il più comune ditemi quali cure si debbono avere per renderlo migliore?

R. La cura principale si è di recarlo subito dalla stalla al campo; od a piedi degli alberi e quivi seppellirlo con tutta sollecitudine. Finora si è creduto che fosse meglio lasciarlo marcire nel letamaio. Ma i più valenti Maestri insegnano ora di mettere sotterra il letame fresco. Il letame marcito è solo alcuna volta opportuno alle terre molto leggere.

D. Come debbo io allora farlo marcire?

images-6R. 1. Non stia mai esposto all’acqua finché non lo porti sul campo. 2. Quando lo togli dalla stalla riponilo subito se puoi in una grande buca che abbia intorno un muro e nel fondo sia lastricata, perché la terra non assorba l’ingrasso migliore. 3. Vogliono alcuni con buone ragioni che tu faccia uno strato di letame e quindi uno di terra alternando così fino a che sia piena la buca: tu avresti per tal modo molto maggior letame, e tutto eccellente. 4. Nel letamaio debbono scolarvi le orine della stalla, e vi si debbono portare tutte le altre lordure a marcire. 5. Il letamaio avrà sopra il tetto, ma sarà aperto intorno onde vi giri l’aria. 6. Versa sopra il letame orina quanto puoi e spesso in estate anche dell’acqua se ti accorgessi che il secco lo inaridisce. 7. Taluni lo rivolgono di tempo in tempo e lo mischiano insieme onde marcisca tutto egualmente. 8. Lascialo lungamente nel letamaio, e se dovessi portarlo prima sul campo, riponilo in un sol mucchio e coprilo ben bene di terra onde non isvapori. 9. Mischiato poi con la stessa terra con cui fu coperto lo spargerai sul terreno. 10. Appena sparso vangherai subito il tuo campo e lo arerai perché il letame non isvapori, ma trasfonda con tutta la sua forza al terreno.

D. Ditemi in grazia, siccome vi è letame di bue, letame di cavalli, di muli, di asini; letame di pecore, di capre, di galline non si deve fare differenza alcuna fra loro?

R. Riguardo alla maniera di raccoglierlo e di spargerlo sul terreno non si fa differenza alcuna. Avverti solo 1. Che il letame di polli, di capre, e di pecora è molto caldo, e perciò se lo spargessi abbondante sulle terre leggere le farebbe più aride, e le piante patirebbero anziché prosperare; esso è ottimo per le terre fredde e forti. 2. Il letame di bue è piuttosto freddo ed è perciò ottimo per le terre sabbiose e leggere. 3. Il letame di cavallo e delle altre bestie da soma è buono per ogni terreno ma alquanto più per le terre forti che per le leggere.

D. A quale profondità si debbono sotterrare i letami?

R. A quella profondità nella quale si dirameranno le radici delle cose coltivate; se tu poni il letame più sotto egli è gittato. Bada dunque alla natura della semente e della pianticella che tu ingrassi, e prendi da quelle le norme.

D. Dopo che avrò migliorate le terre e le avrò concimate cosa debbo fare?

R. Lavorarle.

D. Cosa intendete per lavorare la terra.

R. Ogni lavoro della terra consiste propriamente nello svolgerla, mischiarla insieme, e sminuzzarla quanto più puoi.

D. Con quali mezzi ciò si ottiene?

images-7R. Coll’ararla, col zapparla e col vangarla.

D. Qual è il migliore di questi mezzi?

R. Sappi che un bravo agricoltore antico diceva questo proverbio: la vanga ha la punta d’oro, la zappa d’argento, e l’aratro di ferro.

D. Che vuol dire ciò?

R. Vuol dire che se svolgerai e sminuzzerai la terra con la vanga avrai abbondevole raccolto, l’avrai minore se il farai colla zappa, e sarà piccolo se userai l’aratro.

D Quando debbesi svolgere e sminuzzare la terra?

R. Sempre in tempo asciutto, principalmente se tu abbia terreno forte, argilloso, altrimenti adoperando tu hai rovinato il campo, e la messe per un pezzo.

D. Le terre debbonsi svolgere spesso?

R. Le argillose o forti, quanto più spesso puoi e senza questo ti frutteran poco; le sabbiose o leggere le potrai svolgere alquanto meno, altrimenti si farebbero smunte ed aride.

D. La terra debbesi ella svolgere a grande profondità?

R. 1. Se la terra è argillosa e forte non avrai profondato giammai quanto basta l’aratro o la vanga. 2. Nella terra leggera o sabbiosa li potrai approfondare meno. 3. Se ti accorgessi che sotto la buona terra trovasi subito rena o terraccia cattiva ti guarderai bene di giungere col lavoro fino a quella mischiando così la pessima a quella buona.4. Osserva a quale profondità potranno giungere le radici delle biade o delle pianticelle che vuoi coltivare e smuovi alquanto più sotto tutto quello strato onde i cappellamenti delle radici possano facilmente penetrare ed assorbirvi il nutrimento.

D. Che debbo io fare quando abbia acconciata e lavorata la terra come mi avete detto?

R. Affidarvi i semi o le pianticelle.

D. Quali avvertenze voglionvi per seminare?

R. 1. Scegliete ottime sementi. 2. Prepararle convenevolmente. 3. Spargerle con diligenza. 4. Mutarle a tempo opportuno.

D. Come si scelgono le ottime sementi?

images-8R. Le sementi migliori son quelle più mature le quali non abbiano sofferto malore alcuno. Se in ciò tu cerchi risparmio il tuo granaio sarà sempre povero, e scarse le raccolte. Questa verità non farla mai in qualunque semenza della terra.

D. Come si preparano le sementi?

images-9R. L’esperienza ha mostrato che tutte le sementi delle biade e dei legumi germogliano meglio e danno messi assai più abbondanti se sono prima bagnate con acqua in cui vi sia disciolta della calce. Non dimenticare mai questo precetto; imperocchè involti così i grani nel concime della calce prendono forza e vigore meraviglioso nel germogliare e nel crescere, e si difendono dagli insetti e da altre malattie. Se ti mancasse la calce acconciale col liscivo di cenere.

D. Cosa vuol dire spargere le sementi con diligenza?

R. Spargerle rare e dappertutto uguali.

D. Io penso invece che si debba seminare spesso onde avere maggior raccolto.

R. Non ti lasciar ingannare da questo errore che rovina tutti gli agricoltori. Le sementi troppo spesse non hanno luogo a difendere le radici onde i succhi sono scarsi per le troppe pianticelle; il sole non vi può penetrare coi raggi e col calore; i gambi crescono perciò esili e nutrono misere spighe, e talora si rovesciano sul campo. Nelle terre forti semina alquanto più spesso che nelle leggere. Semina pur molto in quelle terre in cui osservi grande quantità di insetti che si divorano le sementi.

D. E perché debbonsi spargere le sementi da per tutto ugualmente?

R. Perché la tua messe cresca tutta uguale e maturi tutta al tempo medesimo; altrimenti avverrà che dove le pianticelle sono più rare, essendo meglio alimentate e meglio investite dal sole recheranno grani migliori e primaticci i quali saranno involati tutti dagli uccelli, e cadranno in terra prima che maturino le spighe e le pannocchie nel più folto del campo; e così a te rimarrà il tristo ed il grano migliore andrà perduto.

D. Che vuol dire mutare le sementi a tempo opportuno?

R. Se tu sempre spargessi sul medesimo campo la stessa semente, il raccolto andrebbe di anno in anno scemando finché diverrebbe misero e cattivo. Ogni pianta succhia gli umori opportuni al proprio nutrimento; pare dunque che dopo qualche anno il terreno sia esausto di quei succhi o sali che convengono alle piante che nutre; mentre invece conserva tutti gli altri che sono atti a nutrire altre pianticelle. Da ciò deriva la necessità di mutare ed alternare le sementi e i raccolti, se non vuolsi lasciar vuoto ed ozioso il campo per alcun tempo. Alcuni ebbero però a dire che il terreno è schiavo dell’agricoltura.

D. Ditemi a quale profondità debbono essere sempre sepolte le sementi?

R. Nessuna semente nessuna pianticella debbe essere posta tanto sotterra che non abbia a giungervi il calor del sole e l’umore benefico delle piogge. Se la semente o le radici delle tenere piante sono più sotto, non ti aspettare mai prosperità ed abbondevole frutto.

D. Meglio sarà dunque seminare sempre a fior di terra?

R. Nelle terre forti, argillose avrai buona messe se il seme sarà ricoperto di poche dita; le avrai cattive se sia più sotto. Nelle terre calde e leggere tu li porrai molto a fondo, onde non abbia presto a trovarsi in un terreno riarso dai raggi del sole e dai venti. Bada bene a questi precetti.

D. Così poste le sementi potrà finalmente riposarsi l’agricoltore aspettando il raccolto?

R. Non lo credere: sappi che essendo stato domandato ad un vecchio agricoltore che si era fatto ricco col lavorare la terra, quale fosse il migliore ingrasso di tutti, rispondeva: il Sarchiello.

D. Cosa intendeva dire con ciò il buon uomo?

R. Intendeva dire che se la terra è spesso smossa, sminuzzata, e purgata dalle erbe col sarchiello i tuoi campi saran più rigogliosi che tutti quelli dei tuoi vicini. Ricordati sempre che lo smuovere e sminuzzare spesso la terra è il primo precetto d’ogni agricoltura, cominciando da quella delle erbe più piccole fino a quella degli alberi più grandi. Molto poche sono le eccezioni a questa massima.

D. Fin qui voi avete parlato dei campi. Di qual altra cosa deve più occuparsi il buon agricoltore?

R. Dei prati. Un vecchio massaio diceva che il prato è il fondamento della buona agricoltura. Non ti dimenticare mai di questa grande verità.

D. Quante sorta di prati vi sono?

R. Due: naturali ed artificiali.

D. Quali sono i prati naturali?

R. Quelli in cui le erbe nascono da se, tali sono i prati finora conosciuti fra noi.

D. Quali sono gli artificiali?

R. Quelli in cui le erbe vengono dall’agricoltore seminate, scegliendo le migliori, e le più confacenti al bestiame a di cui uso si segano e si ripongono onde non abbia più nell’inverno a soffrire scarsezza di pascolo e nutrimento come purtroppo accade fra noi per la mancanza di veri prati.

D. Quali cure vogliono i prati?

R. La prima e principale cura per qualunque prato è di ragguagliarlo perfettamente nella sua superficie. Non lasciarti da ciò distogliere per la perdita che tu fai nel primo anno: gli anni venturi te ne daranno largo compenso. Senza questo agguagliamento non sperare mai né ottimo né molto fieno. Se il tuo prato è sul monte ti basti l’agguagliarlo: se egli fosse al piano nell’uguagliarlo tu ti vedrai un piccolo declivio tutto uniforme, onde l’acqua vi scoli, ma lentamente.

D. Prima di appianarle così la superficie bramo sapere quale sia il terreno migliore per i prati, onde vedere se torni conto a porvi l’opra.

R. Il leggero e caldo, purché non abbia a mancargli l’acqua. Il terreno forte e freddo non è mai così felice.

D. Patiscono qualche difetto i prati anche in buon terreno?

R. Molti. 1. Il troppo umido. 2. Il troppo asciutto. 3. Le erbe cattive. 4. La vecchiaia.

D. Come conoscerò io questi difetti, e come vi porrò riparo?

R. 1. Ha troppo umido il prato quando l’acqua vi stagna dentro e lo rende paludoso: allora ti ricorda o dei larghi e spessi fossi, o delle piante assorbenti che tu vi potrai coltivare come già fu detto delle terre umide. 2. Se il tuo prato è secco e non hai acque da condurvi per cui le erbe sono tifiche e smunte recavi molto letame ridotto a terriccio. 3. Alcuni hanno detto che tu conoscerai le erbe cattive osservando che generalmente od hanno foglie larghe sparse orizzontalmente, ed hanno il gambo grosso e legnoso, o rotte spargono molto latte vischioso; o finalmente hanno il nome volgare di velenose. Per queste erbe non vi ha rimedio che di venirle a poco a poco estirpando dalle radici. 4. La vecchiezza del prato la conoscerai tu o da una certa muffa verde che vedrai sparsa sul prato per cui le erbe saranno rare e lasceranno in più luoghi scoperta la terra, o dal vedere invece le erbe troppo spesse ma basse e misere. Nel primo caso le radici delle erbe sono marcite; nel secondo si sono tanto moltiplicate, ed avviticchiate e strette fra loro che non possono più nutrirsi quanto basta. Allora non abbi remissione; ara il tuo prato più volte, e farai anche meglio assai se invece d’ararlo tu lo vangherai. Portavi poi opportuno ingrasso, e spargivi finalmente al principiare di primavera il seme del fieno migliore che tu possa avere, e vedrai nel maggio tutto ringiovanito il tuo prato. Talora se fosse vecchio il prato perché le radici sono troppo moltiplicat4e tu potrai anche tagliarlo tutto coll’aratro a coltello; con questi tagli tra loro discosti poche dita si smuove alquanto la terra, si rompe tutta la rete delle radici; molte di esse marciscono e fanno ingrasso; le erbe si diradano alquanto e tornano vigorose.

D. Non vi ha alcuna avvertenza per concimare i prati?

R. 1. Il concime dei prati dovrebbe sempre esser misto a molta terra opportuna; anzi se il letame ti mancasse spargi in primavera sui prati sabbiosi molta terra argillosa polverizzata, finché ne sia quasi coperto il prato; e sugli argillosi spargi molta terra leggera. Ottima sarà la polvere delle strade raccolta in estate e conservata in mucchio in inverno mista a letame. Le spazzature dei fossi sono ottimo letame. Il calcinaccio sui prati umidi e forti è eccellente. 2. Se il prato è perfettamente piano spargerai il concime dappertutto uguale; ma se egli ha del pendio, ricordati di mettere sempre maggiore concime nella parte alta, pochissimo nella bassa, l’acqua scolando ne porterà giù quanto basta.

D. Non vi hanno precetti per l’innaffiamento dei prati?

R. Innaffia presto e molto i prati sabbiosi e caldi, tardo e raro i prati argillosi e freddi.

D. Ditemi ora particolarmente come fate voi i prati artificiali.

R. I prati artificiali sono campi in cui invece di biade tu seminerai erbe fra le quali le principali sono il trifoglio e la medica; questa cresce ottimamente nei terreni umidi; l’altro prospera anche negli asciutti. Si seminano generalmente in marzo, il trifoglio si lascia uno o due anni, la medica tre o quattro; quindi si ara il prato e si ritorna a campo. Questo mutarsi da campo in prato o da prato in campo giova sommamente ai terreni e li rende fertilissimi.

D. Come si conosce quando le erbe sono mature?

R. Tu le segherai nei prati naturali quando incominciano alquanto ad ingiallire, negli artificiali quando vengono in fioritura. Tardando troppo le erbe disseccano e perdono sostanza e sapore.

D. Ora ditemi alcuna cosa degli alberi.

R. Tu imparerai prima a propagarli, quindi a crescerli prosperamente.

D. Quali sono i metodi per propagare gli alberi?

R. 1. Per semente. 2. Per propaggine. 3. Per piantoni.

D. Come si propagano gli alberi per mezzo della semente?

R. 1. Ottima cosa si è formare il semenzaio in un luogo che abbia l’aspetto rivolto a quella parte a cui è rivolto il terreno che deve poi ricevere le pianticelle. 2. Scegliere sempre un terreno che sia della stessa natura, ma alquanto più magro di quello in cui recherai i piccoli alberi. 3. Vanga più volte e sminuzza con diligenza e profondamente il terreno. 4. Partiscilo con dritti solchi in tanti campicelli larghi un braccio. 5. In mezzo a quei campicelli porrai in fila le sementi alla profondità di quattro dita. 6. Se le sementi sono grosse come le noci, le castagne ecc. volgerai in su la punta e lascerai lo spazio di quattro dita fra l’una e l’altra; se la semente è minuta quale sarebbe quella dei gelsi potrai spargerla più spessa sempre però in riga diretta. 7. Sarchia spesso il semenzaio e mondalo dalle erbe, ma con somma diligenza onde non offendere le tenere radici. 8. Se la brina o il gelo sopraggiungono copri di paglia leggermente i teneri germi; se il sole inaridisce la terra, innaffiali ma rado.

D. Dal semenzaio ove debbono passare le pianticelle?

R. Al vivaio. Egli è un capo avvolto e coltivato a molta profondità; qui recansi alla nuova primavera le tenere piante, e pongosi in bei filari alla distanza d’un braccio, se le piante non debbono innestarsi, altrimenti di due braccia. Il terreno sia poco migliore del primo. Sarchialo spesso e mondalo diligentemente dalle erbe. Osserva solo che alcune piante e principalmente le resinose e sempre verdi temono troppo i raggi del sole quando sono tenere; e perciò sogliono alcuni seminarvi frammezzo qualche rara pianta graminacea che le difenda. Io ho veduto prosperare tali pianticelle anche nei vivai ombreggiati da alberi alti ma rari, di modo che vi entrasse facilmente la luce e l’aria, ma non fossero troppo offesi dal sole. Pianterai di tratto in tratto lungo i filari alcuni pali ben fermi e vi legherai quindi delle pertiche a cui raccomanderai o con erbe o con altri molli legami ad una ad una tutte le pianticelle onde crescano dritte e robuste. Taglierai gentilmente coll’unghia quelle gemme che produrrebbero rami non convenevoli alla pianta.

D. Fino a qual tempo rimarrà la pianticella nel vivaio?

R. Alcuni vorrebbero che la pianticella si trapiantasse quando fosse pervenuta alla grossezza del manico della vanga. Tu potrai però farlo assai prima per molte piante, e principalmente per quelle che devono formare boschi.

D. Come si trapiantano gli arboscelli?

R. Nella trapiantazione devi curare: 1. Di levare le radici nell’estirparle. 2. Di lasciarvi attaccata questa terra tu puoi, e l’altra non toglierla colla zappa ma scuoterla a poco a poco onde le radici non si guastino. 3. Tagliare con diligenza tutte le radici infette ed applicare al taglio o cera od altro che ricopra la ferita. 4. Potresti troncare coll’unghia la cima estrema della radice che si sprofonda dritta. Con ciò avrai più presto frutti, ma la pianta però sarà meno vigorosa e durerà meno. 5. Se gli alberi fossero già grossi come il manico della vanga, li scapezzerai all’altezza di quattro o cinque braccia; se fossero più piccoli li poterai solo togliendo loro quei ramoscelli che sono più miseri o che potrebbero deformare la pianta. Guardati però sempre dal troncare col ferro gli alberi resinosi o sempre verdi. Essi sarebbero perduti. 6. Prepara prima grandi e profonde fosse e lasciale per qualche mese aperte. 7. Se il terreno è forte e umido porrai in fondo alla fossa molti sassi e legne; se è leggero e sabbioso incalzerai bene la terra sul fondo. 8. Disponi uno strato di buona terra, e sopra distendivi le radici dell’arboscello. 9. Cerca di mettere la pianta in quel medesimo aspetto che avea nel vivaio. 10. Difendi le radici nella direzione già da loro presa e guardati bene che non si accavallino o si affascino insieme. 11. Ricordati che il calore del sole nutre le tenere radici, e perciò non sprofondarle troppo, ma allargale e diramale all’intorno. 12. Nella terra sabbiosa li metterai molto più sotto che nella terra argillosa. 13. Coprirai all’altezza di quattro dita le radici con terra mista al letame. 14. Sopra questa terra porrai l’ingrasso convenevole al terreno e questo coprirai poi con altra terra. 15. Nel primo anno se il terreno è forte non porrai sopra le radici tutta la terra che tu hai scavato dalla fossa, altrimenti il sole non le riscalderebbe. Questa terra ve la metterai poi di mano in mano che la pianticella s’ingrossa. 16. Legherai ad un palo l’arboscello onde il vento non lo smova, o per qualunque altra ragione si incurvi; bada che il palo sia posto a fianco all’albero prima di ricoprirvi le radici; altrimenti tu correresti pericolo di recarvi gran danno nel piantarlo. 17. Abbi somma diligenza nel levare tutti i piccoli getti che usciranno alla primavera dal pedale.

D. Ed a marza come innestate voi?

R. Scapezza il pedale selvatico con taglio orizzontale. Spaccalo per mezzo a qualche profondità con ferro tagliente. Tolto il ferro dalla spaccatura ficcavi un piccol conio in mezzo onde tenerla aperta. Togli da un albero innestato due polloncelli dell’anno passato che abbiano due o tre gemme per ciascuno. Tagliali ambedue al basso in forma di bietta con ferro ben affilato e li poni nella fenditura l’uno da un lato, e l’altro dall’altro premendoli dolcemente al basso in modo che stringano serrati e combaci perfettamente la scorza selvatica con quella della marza: allora toglierai il conio postovi prima a tenere aperta la spaccatura, coprirai con argilla tutta la ferita e la fascerai con qualche straccio. Ciò si fa qualche tempo prima che la pianta venga in succhio.

D. Questo innesto si fa sempre colla spaccatura?

R. No, talora si fa quando la pianta è in succhio; ed invece di spaccare il pedale selvatico, dopo il taglio orizzontale si distacca leggermente attorno attorno alla corteccia, e fra questa ed il legno si premono dolcemente le marze tagliate a bietta soltanto da un lato come le penne temperate, e questo lato ponesi contro il legno, quindi si copre d’argilla e si fascia la ferita. Tale innesto chiamasi a corona.

D. Quali cure si hanno per gli innesti a marza?

R. 1. Debbesi usare molta diligenza perché la scorza della marza non si distacchi dal legno ove si assottiglia per prendere la forma di bietta. 2. Non lasciare esposto all’aria alcun lato della marza al quale sia tolta la scorza nell’aguzzarla; ma fa che tutto entri nella fessura. 3. Lascia la punta del conio nella spaccatura, quando ti accorgessi che levandola del tutto chiuderebbesi ella con tal forza da schiacciare le marze.

D. Quali avvertenze generali debbonsi avere per tutti gli innesti?

R. 1. Usare ferri ottimamente affilati. 2. Scegliere una mattina serena che non sia stata preceduta o paia poter essere seguita da pioggia o da vento. 3. Togliere le gemme o le marze sane intatte, ben pasciute, da quei rami che guardano a levante o a mezzodì. 4. Trasportare subito all’innesto prima che il sole o l’acqua le guasti. 5. Guardarsi bene che mentre tu innesti non urti nelle gemme e le smova o schiacci. 6. Fare l’innesto prima che la gemma si apra o germogli. 7. Curare con diligenza che le scorze dell’innesto combacino perfettamente con quelle dell’albero selvatico. 8. Legare alquanto leggermente la fasciatura. Se stringesi troppo arresteresti gli umori ed offenderesti la corteccia. 9. Non dimenticare mai di spollonare diligentemente il pedale selvatico quando l’innesto comincia a prendere forza: altrimenti crescerebbe intorno una selva di rampolli che divorerebbe tutto il succo e soffocherebbe l’innesto. 10. Se il nuovo germoglio crescesse assai vigoroso lega al pedale una frasca a cui sia quindi raccomandato l’innesto perché il vento non lo schianti.

D. Dopo l’innesto non debbo io far altro alle piante?

R. Tu devi potarle.

D. Tutti gli alberi voglion esser potati?

R. Tutti gli alberi che tu desideri prosperi e rigogliosi debbono essere o sul cominciare o sul finire dell’inverno purgati di tutti i rami o disseccati o morenti o ratratti, o gravemente malati o guasti. Questa è una potatura universale da cui forse si vogliono solo eccettuati gli alberi resinosi ai quali il ferro non è amico.

D. Non vi ha altra fuori di questa potatura universale?

R. Le piante fruttifere e da coltura vogliono un’altra potatura diligentissima e speciale. Tu devi sapere dunque: 1. Le radici si estendono sotterra quasi in proporzione dei rami; se tu dunque tagli troppo questi, debbono soffrire anche quelle. 2. Da quella parte che l’albero manda grandi rami ha pure grandi radici; dunque non puoi tagliare quei grandi rami senza che ammalino quelle radici. 3. I rami che si alzano dritti assorbono più facilmente gli umori. Se vuoi tu dunque ingrossare i laterali o taglia o incurva quei rami dritti. 4. Gli umori si portano con grande facilità alle cime dei rami. Se dunque vuoi fare o il pedale o i rami tronca con giudizio le estremità. 5. L’albero assorbe gli umori in proporzione delle foglie di cui sono vestiti i rami. Tu dunque non potar mai l’albero in modo che abbia ad aver troppo poche foglie e perciò scarso nutrimento.

D. Dovendo io potare l’albero per tali precetti quali rami principalmente dovrò tagliare?

R. Vi sono tre sorta di rami. 1. Ramo legnoso. 2. Ramo fruttifero. 3. Ramo succhione. Il primo è quello che uscì dalla gemma più vicina al taglio fatto all’estremità dei rami nella potazione antecedente. Negli alberi a frutto però questi rami si lasciano generalmente crescere senza tagliarli mai, e solo si purgano dei ramoscelli disseccati o infermi o guasti. 2. Il ramo fruttifero lo conoscerai più coll’esperienza che coi precetti mentre alcune piante fruttano coi ramoscelli vecchi, altre coi recenti. 3. I succhioni sono quelli che spuntano fra due rami come in mezzo ad una forca e sono più vigorosi e pieni di succo di tutti gli altri. Tu taglia rasente al tronco questi rami che impoveriscono gli altri e quando dovessi lasciarli li incurverai tenendoli così legati onde divengano fruttiferi.

D. Parmi d’avere ora una più chiara e vera idea dell’agricoltura; essa esige delle cognizioni e delle cure a cui io non avea posto finora pensiero: voi mi avete illuminato, e mi avete levato vari pregiudizi. Il cielo ve ne renda merito. Io intanto vado a porre in opra così bei precetti?

R. Lodo i tuoi proponimenti, ed il Cielo li benedica: ma ho ancora un ultimo avvertimento da darti. Tu non ritrarrai gran profitto dai miei precetti, finché non avrai potendolo cinto e difeso il tuo terreno con una chiusura.

D. Non sarà meglio il godere dei beni, e pascoli comunali?

R. I beni e pascoli comunali sono di grave ostacolo ai progressi dell’agricoltura e della pastorale. Come potrai mutare ed alternare le sementi senza mai lasciare il tuo campo ozioso, formare i prati ed allevare gli alberi se rimarranno i tuoi terreni abbandonati all’altrui discrezione ed al pascolo del bestiame? Chiudi ed assiepa le tue terre. Così potrai liberamente esercitarvi i diritti di proprietà, intraprendervi dei nuovi rami di coltivazione ed assicurartene il godimento tranquillo. Chiuse diverranno esse anche migliori, perché le chiusure servono di riparo contro la forza dei venti, e trattengono l’umido, ed il conveniente calore, non meno che gli effluvi delle sostanze nutritive e fertilizzanti che andrebbero altrimenti a disperderli e dissiparli.

– 3 –

1848 marzo 1, Torino

AST – Corrispondenza proveniente dall’isola, Univ, 1776- 1848, reg. IV, f. 122.

Eccitato il supremo consiglio a spiegare il suo sentimento sulla convenienza o non di approvare e di mandare alle stampe il Trattatello d’insegnamento infantile rassegnato dall’ispettore generale delle scuole elementari di Sardegna osserverà prima di tutto che, nell’ancora progredente sviluppo de’ migliori metodi per l’insegnamento primario dei ragazzi, ardua cosa ella è certamente il pronunciare se il trattato di cui è questione richiuda in se tutti i perfezionamenti cui può giungere questa scienza. Tuttavia per non ritrarsi il consiglio dal contribuire per quanto da lui dipende, al maggiore incremento di questo ramo di elementare istruzione nella Sardegna comincerà dal ragionare in generale de’ sistemi che da tre o quattro lustri si vanno discutendo a questo riguardo in alcuni paesi d’Europa, venendo quindi a discorrere nelle diverse osservazioni fatte in favore o contro il trattato suddetto.

Sebbene tutti gli autori delle nazioni che maggiormente si occuparono del modo di migliorare l’insegnamento dell’infanzia cadono d’accordo sui principi teorici, vale a dire che a rendere proficuo un tale insegnamento conviene cominciare dalle cose facili e gradatamente progredire alle difficili; semplificare col maggior risparmio di tempo il modo di sillabare; allontanare dai fanciulli per quanto è possibile la monotonia e il tedio delle materiali ripetizioni, accaparrare la loro attenzione, interessare la loro curiosità, risvegliare il loro spirito con fatti, e questioni atte a sviluppare la loro intelligenza, ed a eccitare tra loro l’emulazione ecc. ecc. Tuttavia non tutti i maestri caddero egualmente d’accordo nella maniera di mettere in pratica tali teorici precetti. Avvegnacchè presso qualche nazione, per esempio l’Allemagna, sembra prevalere il sistema di fissare l’attenzione dei ragazzi sul meccanismo delle lettere; agevolandone loro la formazione e la ricerca coll’occhio e colla mano per mezzo di lettere mobili di cartone o di legno, di modo che con un tale esercizio si addentrano meglio i ragazzi a raccozzare le lettere, le sillabe e le parole, nella stessa maniera che fatti più grandicelli s’avvezzano con vari pezzi determinati a formare triangoli, quadrati, prospetti di case e simili. Presso altre nazioni come in Francia e nel Belgio sembra invece prevalere il sistema di fissare contemporaneamente l’occhio, l’orecchio e la mente del ragazzo sulle sillabe, e sul loro suono, servendosi a tal uopo di oggetti designati in nero di colore, ed aventi desinenze di nomi od uguali o varie; di modo che si avvezzino tosto anche quelle tenere menti ad associare insieme l’impressione dei segni cadenti sotto gli occhi, e dal suono cadente sotto l’udito, coll’idea delle cose medesime spiegate alla mente; sicché imparano nello stesso tempo a pronunciare le lettere, le sillabe, e le parole ed a conoscere l’oggetto che queste esprimono. In Italia poi sembra finora prevalere il sistema di separare l’esercizio meccanico della parola, dall’esercizio intellettuale della mente insegnando prima ai ragazzi il materiale accozzamento delle lettere e delle sillabe, dando successivamente ai medesimi spiegazione delle parole imparate a leggere.

Ora senza entrare a decidere della preferenza dell’uno o dell’altro sistema, basterà osservare che’essa dipende essenzialmente:

1° dall’età in cui vuolsi cominciare ad insegnare a leggere ai ragazzi, giacché il metodo adottato per fanciulli superiori a 5 anni non potrebbe convenire ad altri che appena toccassero gli anni 2 ai quali in alcune famiglie si insegnano le lettere e le sillabe appena sanno articolar la parola.

2° Dai caratteri distintivi delle nazioni, i quali sono pure impronti nei piccoli corpicciuoli, come nelle tenere menti; di modo che dove servasi maggiore freddezza d’animo, e di cuore potrà meglio convenire un sistema più materiale che non avrebbe un esito felice presso un popolo li cui spiriti sono più vivaci e gli ingegni più svelti.

Ora passando all’esame delle varie osservazioni fatte in favore e contro il Trattatello di sopra accennato il supremo consiglio crede di dover avvertire prima d’ogni cosa che associandosi al sentimento spiegato nello scritto anonimo segnato col n° 6 riguardo ai pregi rilevati in quel trattato elementare non può però accostarsi allo stesso sentimento per ciò che riguarda i punti dell’anonimo chiamati “errori pedagogici”, essendo invece il consiglio inclinato a riconoscere in essi piuttosto una semplice divergenza d’opinione nello sviluppo d’un medesimo sistema, ovvero altrettante questioni di convenienza nel dare altra classificazione, o nell’aggiungere maggiori spiegazioni ad alcune delle lezioni proposte.

Difatti non può classificarsi errore il dare ai fanciulli un’idea materiale della linea retta e della linea curva e lo avvezzarli a rinnovare sull’ardesia, ciò che vuol dire a ripetere nella loro memoria le varie combinazioni di quelle linee mentre è incontrastabile che le lettere sono composte di tali elementi.

Non è errore nemmeno avvertire i giovanetti che componendo le sillabe da loro pronunziate, le consonanti isolate prendono un suono diverso da quello che hanno unito alle vocali, giacché la cosa è reale, sia che, secondo l’antico metodo, si dica ai ragazzi che “p” “a” fa “pa” e non “pia”, sia che si dica loro, secondo l’odierno metodo, che separando il “p” dalla “a” si dice “pi” o “pe” e non “pa”. E su questo argomento è da ovviarsi l’errore sia di quelli che riguardano alle lettere soltanto come “segni”, sia di quelli che le riguardano soltanto come “suoni”, giacché esse sono e l’uno e l’altro, secondo che cadono sotto il senso della vista o sotto quello dell’udito. Qualunque metodo si segua nel sillabare, il ragazzo avrà sempre due operazioni da fare, una coll’occhio, l’altra colla bocca, col primo riconoscerà la lettera e la sillaba; colla seconda pronuncerà l’una e l’altra. Ma se le lettere e le sillabe conservano sempre gli stessi “segni” per l’occhio, esse però cambiano spesso movimenti per la lingua e per la bocca, e “suoni” per l’udito, se sono tra loro unite o separate. E’ forza dunque che il ragazzo conosca la differenza che passa tra il pronunciamento di ciascuna lettera isolata, e quello delle diverse lettere unite fra loro.

Così non v’ha poi grande ragione d’avere a rincrescimento che fra gli esempi di sillabazione abbiansi nel trattato alcune parole composte, non già per imbarazzare la mente dei ragazzi ai quali al certo non è da darsi la definizione del semplice, e del composto, ma per richiamare ad un tratto e maestri e scolari a quella regola generale, che è pure, checché ne disputino i grammatici, la più semplice e naturale.

Male pure convienesi la qualificazione d’errore alla inserzione nell’alfabeto delle lettere chiamate “straniere”, ed all’aggiunta fatta al medesimo delle lettere “unite” chiamate “nessi”, avvegnacchè da chi volesse grettamente attenersi al semplice primitivo alfabeto italiano potrebbe forse ascriversi a troppo lusso di elementare istruzione l’insegnamento di questi particolari segni ai ragazzi; ma se si pon mente che la lingua italiana può essere anche talvolta chiamata ad esprimere parole tratte dal latino, greco, inglese, cinese, ecc., uno si persuaderà di leggersi che l’avvertimento fatto su questo punto nello scritto anonimo veste caratteri troppo municipali; e che in pratica tornerà sempre più utile ai ragazzi il poter sillabare qualunque lettera anche di non primitivo conio italiano, anziché rimanere a bocca aperta riscontrando una lettera straniera o un dittongo di cui non conoscesse il “segno” ed il “suono”, tanto più poi se ai ragazzi viene prescritto di leggere ed imparare in latino le principali loro preghiere.

Questa osservazione vuol essere ripetuta riguardo ai punti, alle virgole, ed agli accenti ecc., per la naturale ragione che incontrandosi sotto l’occhio del ragazzo, curioso per istinto, questi segni, sarebbe tosto indotto a chiederne conto; ed è conveniente perciò che formino per così dire l’appendice dell’alfabeto. Anzi egli è a desiderarsi che ai ragazzi conoscano il valore di questi segni, perché la loro espressione nella lettura, mentre serva a fare scomparire la cantilena dalla pronuncia dei fanciulli, giova eziando ai maestri onde conoscere il grado di penetrazione de’ loro teneri alunni.

Messo in chiaro aspetto il valore delle osservazioni dello scritto anonimo sui punti sovra accennati, pochi riflessi occorre di aggiungere riguardo agli altri punti, i quali “punti” racchiudono piuttosto questioni di convenienza, o di una diversa classificazione o di maggiori o minori spiegazioni; quali sono di prescindere dagli esempi di alcune sillabe poco o nulla usitate nella lingua italiana, di sopprimere gli esempi delle parole tronche troppo dure all’orecchio e disusate in prosa; di abbreviare la lunga serie delle sillabe solo collocate per esercizio cui si può supplire altrimenti; di semplificare in miglior ordine la troppo confusa nomenclatura degli oggetti designati per esempio, di non confondere le lezioni dei ragazzi cogli avvertimenti dei maestri, e di far alfine in modo che non si aumenti soverchiamente il volume a spese dei ragazzi per l’istruzione de’ maestri. Imperciochè con brevissime emendazioni, alle quali non si oppone l’autore del progetto, possono farsi scomparire tali inesattezze od imperfezioni; ciò che in senso del consiglio renderebbe senza dubbio l’opera più pregevole.

Rimane finalmente a far parola delle lacune rilevate dall’anonimo scritto nel Trattatello di cui si ragiona.

Ma di queste lacune altre riguardano l’ufficio proprio del maestro elementare, quali sono l’obbiettata mancanza di metodo per dialoghi, per la spiegazione delle cose, delle idee e delle parole, e la scarsezza degli esercizi; altre riguardano il bisogno appunto di un maggiore sviluppo delle lezioni aritmetiche, e di un breve compendio delle prime lezioni geometriche. Ora per quanto alle lacune del primo genere, ognun vede ch’esse non appartengono al libricciuolo da mettere in mano ai ragazzi, ma bensì al libro di metodo di cui devono provvedersi i maestri, ciò che non è l’oggetto del presente esame. E quanto alle altre lacune, l’autore del progetto essendosi offerto di riempirle nella maniera più conveniente alle intelligenze comuni dei ragazzi della Sardegna null’altro occorre se non che d’accogliere con gradimento questa di lui premura.

Stringendo pertanto in breve il suo sentimento riguardo al Trattatello di cui sinora si è ragionato il supremo consiglio crede che il medesimo mediante le modificazioni sopraccennate e nella massima parte pure acconsentite dall’autore, possa ravvisarsi per ora sufficientemente adattato alla istruzione elementare nel regno di Sardegna, almeno finché un altro se ne presenti che al ministero della pubblica istruzione possa considerare più perfetto ed ugualmente adatto alle condizioni della Sardegna e degli stati continentali; e solo soggiungerà il supremo consiglio, che qualora tardar dovesse molto tempo la Sardegna ad avere il vantaggio di un trattato composto da più valenti professori e messo a disposizione del pubblico per mezzo della stampa e con tenue spesa, allora per non perdere il frutto del “buono” presente per la speranza di un “ottimo futuro” sarebbe senza dubbio miglior partito l’adottare intanto, mandare alle stampe, e distribuire dentro l’isola il trattatello più volte mentovato, anziché lasciare i ragazzini ancor troppo lungo tempo senza una guida uniforme alla mano.

Il Ministro di Stato Presidente del Supremo Consiglio, Peyretti di Cadore.

Chiapirone segretario, Conte Massa Saluzzo consigliere.

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