Categoria : storia

La difesa delle coste in Sardegna di Paolo Amat di San Filippo

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Le invasioni

Per la sua importante posizione baricentrica nel Mediterraneo, e per il grande sviluppo delle sue coste, la Sardegna ha dovuto soggiacere, nel corso dei secoli, a vari tentativi di conquista riusciti o meno.

Già sotto Giustiniano i generali Belisario e Narsete, riconquistando l’Esarcato d’Africa in mano dei Vandali negli anni 533-534, avevano riunito la Sardegna, che di tale Esarcato faceva parte, a Bisanzio.

L’iscrizione greca di un’architrave trovata, nei primi anni del 1900 nel cosidetto “Palazzo del Re barbaro” di Portotorres, menziona un tentativo di attacco da parte dei Longobardi databile intorno agli anni 610-619, respinto dalle truppe bizantine dell’Isola.

Caduto l’Esarcato d’Africa in mano degli arabi, nel 698, questi considerarono l’Isola come logica pertinenza del nuovo possesso; pertanto nel 709 si registra il primo attacco da parte di Musa, figlio di Nasir, Capo supremo degli Arabi d’Africa, che, sbarcato nel golfo di Palmas, viene tuttavia respinto dai Sardi.

Secondo gli storici arabi Ibn Atir (1160-1233), Yacut (1178), e Abu al Mahsin (1469), in un secondo attacco, negli anni 711-712 lo stesso Musa occupava i lidi meridionali e la stessa Cagliari; comprova la conquista araba il fatto che, nel 725, Liutiprando, Re dei Longobardi, inviò a Cagliari alcuni ambasciatori per riscattare, dalle mani mussulmane, il corpo di Sant’Agostino, conservato, fin dal periodo dell’occupazione vandala, nella cripta omonima nell’attuale Largo Carlo Felice.

Altri attacchi avvennero ad opera di Ata ibn Rafi al Hudali nei primi decenni del 700, di Abd Allah ibn Ziyad, nel 733-735, e di Abd ar Rahman ibn Habib, nel 752-753.

Quest’ultimo assoggettò l’Isola al pagamento della “Gizah” il tributo che veniva imposto, ai non maomettani che dovevano vivere nei paesi islamici.

Altri attacchi, avvenuti negli anni 807, 810, 812, 813, 816, e 817, sembra siano falliti per l’organizzazione militare bizantina che nell’Isola doveva essere ancora efficace, oppure perchè, avendo Ludovico il Pio ceduto la Sardegna alla Santa Sede nell’817 in ampliazione delle donazioni fatte a suo tempo alla Chiesa da Carlomagno, parte della Cristianità, sentendosi impegnata nella lotta contro gli infedeli, collaborava alla difesa dell’Isola.

Caduta, negli anni 827-878, anche la Sicilia in mano araba, e divenute le comunicazioni tra la Sardegna e Bisanzio sempre più difficili; è probabile che, in questa situazione di isolamento, qualche famiglia sardo-bizantina, resasi particolarmente benemerita nella difesa del territorio, sia assurta ad un rango paragonabile a quello bizantino degli “Arconti”.

Un “Arconte” (Giudice) della Sardegna viene, infatti, menzionato da Costantino VII Porfirogenito (912-959) accanto al Doge di Venezia, ai Principi di Capua e di Salerno, assieme al Duca di Napoli e agli “Arconti” di Amalfi e di Gaeta.

Lo stesso Giudice sardo Torchitorio si fregiava del titolo bizantino di “Protospatario”.

Nell’821 si registra una spedizione agli ordini di Muhammad ibn Abd Allah at Tamini; negli anni 934-935 una flotta di 30 legni agli ordini di Mahdiah Yakub ibn Ishaq attaccò e distrusse la città romana di Turres.

Nel 998 Musato (forse Mugahid ibn Abd Allah al Amiri, signore di Denia, nelle Baleari) con 1000 cavalieri imbarcati su 120 navi si impadronì di quasi tutta l’Isola.

Le notizie relative a questi fatti vanno prese con beneficio d’inventario perchè sopratutto da parte pisana si sono ingigantiti gli episodi, forse per meritare maggiormente agli occhi del Papa.

Da un “Breviario” scritto dal pisano Roncioni si apprende che, essendosi, nel 1002, Mugahid impadronito della Sardegna, i Sardi attraverso il loro Vescovo Umberto ottennero che Papa Benedetto VIII, intercedesse presso quegli Stati Cristiani che disponevano, nel Mediterraneo di flotte da guerra, per la loro liberazione dal dominio saraceno

Genova e Pisa con la prospettiva di estendere i loro interessi commerciali ed economici nell’isola, si offrirono di intervenire, dato che.Pisa, aveva già subito, nel 1005, un attacco da parte dello stesso Mugahid.

Unita pertanto la flotta con quella di Genova, sconfissero Mugahid nel 1017.

Mentre i Genovesi, almeno in un primo tempo, si accontentarono del solo bottino, i Pisani pretesero concessioni territoriali, e insediarono nell’Isola, come feudatari, elementi delle famiglie patrizie. più influenti della loro Città.

Negli anni 1021-1022 la flotta pisana sbarcò a Porto Torres consolidando l’acquisizione a Pisa dei Giudicati di Torres, Gallura, e Arborea.

Negli anni 1050-1052 un’altro tentativo di invasione dell’Isola ad opera di un altro Mugahid, forse figlio del precedente, fallì e lo stesso Mugahid venne catturato dalle forze delle due repubbliche marinare.

Della occupazione saracena rimanevano ancora ancora in piedi, al tempo del Lamarmora, a Sant’Antioco, le rovine di un antico castello i cui apprestamenti difensivi, rivolti verso la terraferma, inducevano a pensare che gli occupanti intendessero difendersi solo dagli attacchi provenienti dalla terraferma, nulla avendo da temere dalla parte del mare.

Questo castello fu, in tempi relativamente recenti, demolito ed il suo pietrame fu poi utilizzato per colmare l’istmo di Sant’Antioco.

Pur essendo stata dichiarata, nel 1073, la supremazia pontificia sull’Isola, essa fu meramente teorica, perchè in pratica il controllo dell’Isola venne esercitato dai pisani e dai genovesi che tutelavano i loro interessi, contrastanti, con ogni mezzo.

Per evitare, per esempio, che eventuali concessioni territoriali, da parte dei Giudici sardi, ledessero gli interessi degli Ordini monastici pisani, quali per esempio l’Opera di Santa Maria, nel 1063 i Pisani non si fecero scrupolo di intercettare in mare ed affondare una nave che conduceva in Sardegna alcuni monaci del monastero di Montecassino.

Nei secoli XII e XIII, nonostante la presenza delle flotte pisana e genovese avesse ridotto le incursioni saracene nell’Isola, nel 1222, il villaggio di Magumadas sulle marine della Planargia (l’attuale Magomadas si trova sulle colline prospicenti la costa di Bosa Marina) fu saccheggiato e distrutto.

Anche la rivalità fra le famiglie sarde dominanti, partigiane di pisa o di Genova, fu causa di invasioni; in quest’ambito si verificò, infatti, .

Nell’ambito delle rivalità tra le famiglie sarde che parteggiavano per Pisa o per Genova, si verificò lo sbarco di truppe genovesi nella spiaggia di Santa Maria Maddalena, effettuato per soccorrere i Genovesi che, alleati del Giudice di Cagliari Chiano, erano assediati, nel castello di Santa Igia, dai Pisani di Castel di Castro.

Il castello di Santa Igia era probabilmente ubicato nell’attuale penisola di San Simone nello stagno di Ganta Gilla.

Nonostante la sconfitta subita, nel 1284 dalla sua flotta alla Meloria ad opera di quella di Genova, Pisa continuò la sua influenza nell’Isola.

A seguito di alcune controversie territoriali insorte tra il Giudicato d’Arborea e Pisa, Ugone IV d’Arborea, forte delle relazioni d’alleanza esistenti tra suo padre Ugone IV ed il Re d’Aragona, chiese l’aiuto aragonese.

Il re Giacomo II, nominato nel frattempo, da Papa Bonifacio VIII, Re di Sardegna e Corsica inviò il proprio figlio, l’Infante Don Alfonso, in aiuto di Ugone, ma in realtà per prendere possesso del suo nuovo regno.

La flotta aragonese dell’ammiraglio Francesco Carroz, sbarcò, pertanto, nel golfo di Palmas il 12/6/1323 10.000 uomini e 1.500 cavalli.

Quattro giorni dopo Ugone IV, accorso con 1000 carri di vettovaglie prestò, nelle mani dell’Infante Alfonso, giuramento di vassallaggio.

Il giorno stesso dello sbarco il capitano delle truppe Arborensi Pietro de Serra catturò il corriere Guiccio da Fabriano, che portava una richiesta d’aiuto da parte dei Capitani di Guerra di Villa di Chiesa.

Questa Città, assediata dalle truppe aragonesi ed arborensi, capitolò nel 1324; nel 1326, dopo la battaglia di Lucocisterna, anche il Castello di Castro capitolò.

Mentre le truppe aragonesi al comando di Filippo Boyl si insediavano nel Castello di Castro, le truppe pisane uscivano per la porta dei Leoni.

Negli anni 1353-54 la flotta genovese salpata dall’Asinara per correre in aiuto della città di Alghero, assediata dall’armata aragonese, rinforzata da forze navali di Venezia, subì una dura sconfitta.

Caduta la città in mano aragonese i Doria si ritirarono in Corsica, in Provenza e a Pisa

Alle incursioni dei saraceni si aggiungevano anche quelle dei corsari cristiani.

Nel 1357 il Giudice Mariano IV d’Arborea protestò energicamente, col Re d’Aragona Pietro il Cerimonioso, perchè la nave del francese patron Barderio d’Adda, noleggiata dal bosano Filippo Rinaldetto, era stata predata dall’Abate Nicolò da Trapani.

Sempre nel XIV secolo i Barbareschi sbarcati a Vignola fecero prigionieri gli abitanti della villa di Montivaglia; un’ltra incursione si verificò a Telti, nel territorio di Terranova.

Nel XV secolo la guerra tra l’Aragona e l’Arborea si concluse con la sconfitta delle armi di questo Giudicato.

Nel 1408 il castello di Longonsardo fu assediato da cinque galere francesi; nel 1409 il Visconte di Sanluri Don Giovanni De Sena attaccò Iglesias che si era ribellata agli Aragonesi; la guarnigione ne fu scacciata ed il comando interinale fu affidato a Guantino de Sena parente del Visconte.

Nel 1436 il Reggente Don Giacomo de Besora, per pagare il soldo alle truppe ed agli equipaggi della flotta aragonese, vendette per 5.000 fiorini d’oro d’Aragona, la Città di Iglesias, con tutte le sue pertinenze, alla vedova donna Eleonora Carroz tutrice del figlio don Giacomo Conte di Quirra; tempo dopo la Città si riscattò dal dominio feudale, pagando una certa quantità di Alfonsini minuti d’argento.

Lo stemma della Città di Iglesias ricorda questo riscatto.

Le attività corsare nei mari di Sardegna erano all’ordine del giorno; lo stesso Cristoforo Colombo che, nell’intervallo tra un viaggio e l’altro nel Nuovo Mondo, praticava del piccolo cabotaggio nel Mediterraneo, fu predato da un corsaro francese al largo di Pula.

Nel XVI Secolo a seguito della caduta dell’Impero d’Oriente e della creazione di quello Ottomano da parte di Solimano il Magnifico, con la creazione del Regno di Algeri, al comando del quale erano i famosi corsari Harudi e Kaireddin, le incursioni saracene nell’Isola si intensificarono.

Kaireddin, detto anche il Barbarossa, era anche il il comandante della flotta del Sultano.

Incursioni venivano fatte anche da corsari italiani che, abiurata la fede cristiana e diventati maomettani, esercitavano la pirateria al servizio del Sultano.

Questi rinnegati erano il calabrese Uluch Alì, meglio noto come Occhiali, i sardi Alì Amet e Hazan-Haga, ed il veneto Hassan.

Le incursioni dei Pirati Saraceni erano talvolta facilitate, se non promosse dagli stessi Cristiani; lo stesso re cristianissimo Francesco I di Francia, in odio a Carlo V che lo aveva sconfittola a Pavia, aveva stipulato un un accordo con Solimano il Magnifico, tramandato come il “Patto infame”, nel quale erano previsti, come azioni di disturbo, incursioni, mussulmane nei possedimenti spagnoli.

Fra questi era compresa la Sardegna.

I Saraceni, nel 1509 e nel 1514 attaccarono il villaggio di Cabras; la notte d’Ognissanti dello stesso anno uccisero 16 abitanti di Siniscola e ne catturarono più di 100, attaccando anche le ville di Torpè e Lodè.

In considerazione delle sofferenze patite le popolazioni della Baronia di Posada, vennero autorizzate a trasferirsi in quella rocca, con l’esenzione dal pagamento dei tributi per tre anni.

La paura che le incursioni saracene incutevano nelle popolazioni dell’Isola indusse il Re di Spagna ad inviare, da Napoli alcune galere, l’armamento di due delle quali sarebbe stato a carico dei Sardi.

I Superstiti delle incursioni saracene nella villa di Cabras, ripetutamente attaccata e saccheggiata, ottennero, per sei anni, l’esenzione dal pagamento di qualsiasi diritto.

A seguito di successive altre circostanze l’esenzione fu prorogata finchè, nell’anno 1713, il Re Carlo VI ignorando questa esenzione, concesse la villa in feudo.

Nel 1520 i Saraceni, in Gallura, saccheggiarono e devastarono l’antica villa di Caresi nel territorio di Fundimonte; e fecero incursioni nelle marine di Oristano, di Sant’Antioco, di Pula, e di Carbonara.

Nel 1526 attaccarono Sant’Antioco e, sempre nello stesso anno diciotto legni turchi che preparavano uno sbarco, naufragarono per una improvvisa tempesta.

Da questo naufragio fu recuperato un cannone contrassegnato coi Gigli di Francia, probabilmente predato a qualche nave francese.

La costruzione della torre dell’Isola Piana fu notevolmente ritardata dai continui attacchi saraceni di cui erano fatti segno gli operai; degno di nota fu l’attacco del 1527 nel quale dei 400 saraceni sbarcati da otto galere nell’isola dell’Asinara, fu respinta da 100 sardi comandati dal sassarese Antonio Cano; nel combattimento rimasero sul terreno 50 pirati e 5 difensori; al Cano per il valore mostrato in questa circostanza fu concesso il privilegio di Cavalierato

Nello stesso anno le soldataglie francesi al comando di Renzo Ursino de’Ceri, sbarcate sui lidi turritani dalla flotta di Andrea Doria, saccheggiarono Sassari, forse spalleggiate dai sardi partigiani dei Doria; nel saccheggio furono incendiati il palazzo del Comune e della Dogana e distrutti tutti i documenti.

Non è improbabile, però, che questa incursione avesse esclusivamente lo scopo di rifornire di viveri e vettovaglie le truppe francesi.

Su richiesta dei Consiglieri della Città di Cagliari, nel 1528, l’Imperatore Carlo V ordinò, al Vicerè Don Angelo di Villanova, di mettere a disposizione della cittadinanza un certo numero di fucili acciocchè le persone addette alla difesa, già pratiche nel tiro con la fionda e con la balestra, potessero esercitarsi anche con le armi da fuoco.

A seguito del naufragio di undici galere turche, presso Portopino nel 1534, ben ottocento schiavi cristiani che erano a bordo furono salvati e condotti liberi ad Iglesias.

Le imprese militari di Carlo V a Tunisi nel 1535 ed a Algeri nel 1541, non ridussero le incursioni saracene sui lidi sardi, infatti i Pirati nel 1538 attaccarono Portotorres, nel 1540 distrussero Olmedo.

Nel 1542, presso Capo San Marco una nave sarda fu predata e bruciata.

Una lapide murata nella chiesa rurale di San Pietro di Gonnostramatza, che era la Parrocchiale dello scomparso villaggio di Serzela ricorda che il 5/4/1546 la villa di Uras fu distrutta dai Turchi comandati dal Barbarossa

Nel 1549 Orosei fu quasi distrutta; tuttavia alcuni tentativi d’attacco, negli anni 1551-1552 nelle marine dell’isola di San Pietro, del Sarrabus, di Iglesias, e di Pula, fallirono.

Nel 1553 Terranova fu attaccata da Dragut; nel 1555 un centinaio di Turchi sbarcato presso il porto gallurese di San Paolo, fu respinto, con 44 morti dalla Cavalleria Miliziana comandata da Francesco Casalabria.

Nel 1561 fu attaccato Castellaragonese.

Nonostante la vittoria delle armi cristiane su quelle turche nella battaglia di Lepanto, nel 1571, nel 1573-74 caddero nuovamente in mano turca Tunisi e La Goletta; e l’Isola fu nuovamente meta delle incursioni saracene.

Nel 1581 un nuovo attacco a Siniscola fu respinto dalle Milizie sarde comandate da Bernardino Puliga, al quale fu concesso il Privilegio di Cavalierato e Nobiltà.

Nel 1582 furono assaltati i villaggi di Pauli Pirri, Quartucciu, Quartu, che era già stata assaltata quaranta anni prima, e il villaggio di Villanova Monteleone; in questo villaggio, però, alcuni popolani, guidati da Don Pietro Boyl sbaragliarono i Saraceni intercettandoli sulla strada del ritorno, e liberarono i compaesani prigionieri.

Ancora nello stesso anno il Vicerè don Michele de Moncada convocò addirittura un Parlamento straordinario per escogitare i mezzi più efficaci per difendere l’Isola dalle incursioni barbaresche.

La paura degli attacchi saraceni creava, nei Sardi, quasi una psicosi; nel 1586, paventando un attacco, il Vicerè Don Gasparo Novella, Arcivescovo di Cagliari ordinò la mobilitazione generale.

Impediva, tuttavia, un razionale piano di organizzazione difensiva, la cronica esiguità dei fondi disponibili per la riparazione delle fortificazioni esistenti e la costruzione di nuove, e per l’acquisto di armi e munizioni per le stesse.

Nel 1587 i Saraceni attaccarono la torre di Longonsardo in fase di costruzione uccidendo Giorgio Casalabria che la difendeva

Ancora in questo secolo fu distrutto il villaggio di Bonorchili, nel territorio di Partemontis.

Nel XVII secolo la Sardegna subì, oltre gli usuali attacchi saraceni, anche una invasione francese.

Nel 1604, il facente le funzioni di Capitano Generale del Regno, Don Giacomo d’Aragall, riconoscente per l’intervento della flotta del Granduca di Toscana contro navi corsare che infestavano l’Isola, autorizzò cinque galere del Granduca ad esportare senza pagamento di alcun diritto 500 starelli di grano.

Nel 1611 lo stesso Vicerè Aragall nominò Don Simone Castañer Capitano delle Milizie della Baronia di Posada, con la raccomandazione che nel predisporre la guardia e la difesa di quei lidi curasse particolarmente l’addestramento al tiro al bersaglio dei suoi armati.

Nel 1613 il Vicerè Don Carlo Borja Duca di Gandia incaricò il negoziante Francesco Martì di rifornire l’Isola, entro sei mesi, di 6.000 palle di cannone di vario calibro, di 6.000 lance lunghe 15 palmi, di 3.000 picche lunghe 2 palmi, e di 5.000 spade.

Nel 1615 avendo appreso che una flotta turca forte di 70 navi veleggiava verso la Sardegna, lo stesso Vicerè Duca di Gandia inviò, a Tabarca, una grossa nave coll’intento di assumere informazioni sulle reali intenzioni dei Turchi.

Era fresco di nomina il Vicerè Don Alfonso d’Erill, nel 1617, che i Saraceni attaccarono le isole di Sant’Antioco, di San Pietro, dell’Asinara, e della Maddalena, e le marine di Portobotte, di Teulada, di Pula; dopo aver espugnato la torre delle Saline della Nurra dalla quale asportarono i cannoni e catturarono soldati e popolani.

Non contenti di ciò i Pirati incendiarono la tonnara distruggendo col fuoco i barili di tonno che non erano riusciti a portare via.

Poco tempo dopo i Barbareschi, occupata una torre nelle marine di Alghero, depredavano una nave barcellonese.

Informato, dal Vicerè di Sicilia Don Francesco de Castro, che i Turchi si accingevano a fare una incursione nell’Isola con 70 galere ed altri legni da guerra, il Vicerè, oltre che la mobilitazione generale, ordinò che, in vista di un eventuale assedio, venissero riempite d’acqua tutte le cisterne delle Città.

Negli anni 1615-1621 l’Isola fu in stato di continua allerta perchè le flotte barbaresche bordeggiavano in continuazione al largo aspettando il momento migliore per effettuare qualche incursione.

Nel 1623, a seguito degli attacchi saraceni alle isole di Sant’Antioco e San Pietro, del saccheggio del villaggio di Posada e dell’incendio della torre di Flumentorgiu, la cui guarnigione era stata catturata, il vicerè Don Giovanni Vivas ordinò il sequestro delle rendite feudali del Barone di Posada, certo Portoghese, che aveva lasciato sguarnita quella fortezza, disponendo che le spese necessarie per il restauro delle fortificazioni dell’Isola; gravassero, parte sulla quota del donativo spettante alle Città, parte sui proventi del diritto di pesca del corallo, e parte su quei baroni che avessero trascurato di mettere in perfetto assetto di difesa le torri di loro pertinenza.

Il legname occorrente per gli affusti delle artiglierie poteva venir tagliato nelle montagne del Mandrolisai.

Nel 1626 si paventò persino un attacco da parte della flotta inglese il cui attacco a Cadice era stato respinto.

Nel 1627 vi fu un attacco saraceno a Portotorres ed il saccheggio della chiesa di San Gavino; temendosi una nuova invasione dell’Isola si cercò di racimolare tra i negozianti di Cagliari la cifra di 40.000 scudi necessaria per l’acquisto di armi e munizioni; il negoziante Antonio Pollero, pertanto, rilasciò al negoziante genovese Ginesio Sanguinetto una cambiale per 10.000 scudi, pagabile a Giovanni Andrea Doria Principe di Melfi, per l’acquisto di 1.000 barili di polvere, 6.000 archibugi e 1.000 moschetti

Nel 1628 il Vicerè don Gerolamo Pimentel ordinò, ai Sindaci di Cagliari e di Sassari, di reperire la somma di 20.000 ducati, per pagare le armi e munizioni fornite dal mercante genovese Ginesio Sanguinetto.

Concretizzandosi, nel 1635, il pericolo di un attacco della flotta francese la cui presenza, nei mari sardi era stata segnalata fin dal 1633, si corse a porre in stato di difesa le principali piazzeforti dell’Isola ed in particolare, a Cagliari, i baluardi del quartiere della Marina, provvedendo ad ordinare, a Genova, armi e polvere da sparo.

Nel 1636, alcune Torri del Capo Settentrionale dell’Isola furono conquistate e depredate dai Saraceni; perchè la loro difesa da parte dei torrieri era stata nulla, e le truppe Miliziane che sarebbero dovute accorrere in soccorso avevano mostrato una disorganizzazione tale da rasentare addirittura la codardia.

Nel 1637 Enrico di Lorena, Conte di Harcourt, sbarcò da 45 navi nella spiaggia di Oristano 4.000 armati che occuparono la Gran Torre la cui guarnigione, ai primi colpi di cannone, si era eclissata senza tentare alcuna difesa.

Anche in occasione di questa invasione la Sardegna mostrò la sua totale impreparazione difensiva, infatti le Milizie, che pur avevano una forza di circa 20.000 uomini di cui ben 15.000 di cavalleria, erano dislocate in modo disperso invarie località dell’isola, anche molto distanti tra loro, per cui, anche a causa della la cronica carenza di vie di comunicazione dirette, non potevano adunarsi con la rapidità che le circostanze richiedevano.

Dopo aver saccheggiato la città di Oristano, essendo finalmente sopraggiunti i rinforzi da Cagliari al comando dei capitani Pietro Fortesa e don Ignazio Aymerich, i Francesi si reimbarcarono. I rinforzi dalla penisola arrivarono quando i francesi erano già andati via; il Luogotenente del gran Maestro dell’Ordine di Gerusalemme, inviato dal governatore di Milano, arrivò sei giorni dopo a Portotorres, mentre le 14 galere di armi ed armati del Vicerè di Napoli, giunsero a Cagliari, dodici giorni dopo; le stesse Milizie del Capo di Sassari vennero inviate con un certo ritegno in aiuto di Oristano, forse perchè i Sassaresi mal tolleravano di prendere ordini dai Cagliaritani.

Partiti i Francesi, la Gran Torre venne riarmata con 5 cannoni e 20 moschetti; altre armi furono inviate alla Torre di Colombaria presso Bosa.

Poichè i Saraceni avevano saccheggiato la Tonnara, e abbattuto, per la seconda volta la Torre di Portoscuso, nel 1638 venne nominato Capitano di Iglesias Paolo Vidal, col compito di inviare, in caso d’allarme, la Cavalleria Miliziana, da lui dipendente, dove fosse stato necessario.

Sempre nel 1638 vennero premiati quegli ufficiali dei Miliziani che avevano riconquistato la Torre del Trabucato, nell’Isola dell’Asinara, occupata da un contingente di truppe francesi sbarcato da una flottiglia comandata dal Capitano Roques.

Nel 1642 al Capitano di Cavalleria Don Giovanni Battista Amat che aveva, con le Truppe Miliziane di Alghero, catturato il vascello francese “Unicorne” che, a Porto Conte aveva sbarcato armati per attaccare la Città, il Sovrano donò un cannone in bronzo della nave.

Forti dell’alleanza con l’Impero Ottomano, nel 1647 trenta navi e tredici galee francesi sbarcate nell’isola di San Pietro, attaccarono il lido di Funtanamare; attaccato, qualche giorno dopo, il litorale di Pula furono respinti dalla Cavalleria Miliziana accorsa prontamente.

Essendo apparsa, nel 1652, la flotta francese al largo di Castellaragonese, paventandosi un attacco ad Alghero, il Commissario delle Truppe Miliziane Pirella ordinò, al Capitano della Cavalleria Miliziana di Pattada, di mobilitare ed inviare ad Alghero, pena pesanti sanzioni, la Fanteria e la Cavalleria di sua pertinenza, perchè potesse passarle in rivista.

A scongiurare il pericolo francese aveva contribuito anche la presenza della flotta inglese che, per conto del Re di Spagna, pattugliava il Mediterraneo; nel 1651, infatti, Don Bernardino Mattia di Cervellon che in quel momento faceva le veci del Vicerè, la aveva accolta a Cagliari.

Dato che il pericolo di incursioni barbaresche era sempre incombente; il Capitano di Iglesias Don Giambattista Pixi-Serra ottenne dal Sovrano, nel 1655 che venissero concesse franchigie di dogana a trenta pastori e cacciatori di Sant’Antioco che avevano espresso l’intenzione di recarsi nell’isola di San Pietro, da tempo disabitata, per far preda dei pirati che erano sicuri di trovare colà.

A Pula, le 10 famiglie superstiti delle 60 che prima della peste del 1655-1656 popolavano quel villaggio, poco tempo dopo vennero catturate dai Saraceni.

Nel 1657 due grossi legni francesi catturarono nelle acque di Oristano diverse navi e barconi carichi di grano; la Gran Torre non potè intervenire con la sua artiglieria perchè sprovvista di polvere.

Nel 1684 una masnada di Saraceni che avevano saccheggiato il villaggio di Magumadas, fu sbaragliata dagli abitanti di Tresnuraghes accorsi prontamente.

Nel 1687 il Vicerè Don Nicolò Pignatelli Duca di Monteleone accese un prestito per poter pagare le truppe di guarnigione a Sassari ed a Alghero, e gli equipaggi della flotta.

Nel 1704 alla vedova di Giuseppe Santus Rosso, per trent’anni Alcaide della Torre di Coltellazzo di Pula, morto per le ferite riportate mentre difendeva quella Torre attaccata dai pirati Saraceni, venne concesso un sussidio di due Reali, gravanti sull’affitto di due botteghe di proprietà del Regio Patrimonio

All’apparire nei mari di Sardegna, nel 1708, della flotta anglo-olandese al comando dell’ammiraglio Lake, che nel contesto della Guerra di Successione Spagnola avrebbe dovuto sottomettere la Sardegna all’imperatore Carlo III, il Vicerè Marchese di Giamaica ordinò che venisse acceso un mutuo per l’acquisto di una provvista di gallette per le truppe che avrebbero dovuto resistere all’attacco. Quando, dopo che la flotta aveva sparato qualche colpo di cannone sulla Città, le truppe imperiali sbarcarono a Cagliari; il Conte di Sifuentes Don Ferdinando de Silva si insediò come Vicerè, essendo il Marchese di Giamaica fuggito.

Le truppe imperiali, a Cagliari saccheggiarono, le case dei Francesi, a perseguitarono i seguaci di Filippo V fino a quando questi, sotto la guida del Marchese di San Filippo Don Vincenzo Baccallar Sanna, non reagirono.

Il progetto del Marchese di San Filippo di riconquistare la Sardegna a Filippo V si inseriva perfettamente nella politica del Cardinale Alberoni; pertanto una flotta costituita da 22 navi di linea, 3 mercantili armati con 35 cannoni, 4 galere, una galeotta, 340 bastimenti da trasporto, e 2 palandre, al comando del Marchese Mari,, sbarcò dopo un breve bombardamento della città, nel 1718, a Cagliari,, 36.000 uomini, al comando del Marchese di Leida.

Anche in queste circostanze il Vicerè Marchese di Rubi si era eclissato.

Le truppe imperiali tedesche che avrebbero dovuto difendere la piazzaforte al comando del Marchese della Guardia, arresesi dopo una resistenza puramente simbolica, al corpo di 6.000 uomini che il Marchese di San Filippo aveva arruolato a sue spese, furono reimbarcate per Genova.

Nel 1720 il Principe di Ottaiano prese possesso dell’Isola a nome dell’Imperatore d’Austria, in attesa di poterla consegnare al nuovo Re di Sardegna Vittorio Amedeo II di Savoia.

Il cambio di guarnigione, dalla spagnola all’austriaca avvenne sotto il controllo vigile della flotta inglese al comando dell’Ammiraglio Byngh.

Poco tempo dopo il Barone di Saint Remy prese possesso, come Vicerè, del Regno di Sardegna, a nome di Vittorio Amedeo II.

Nel 1763 tre mezze galere saracene sbarcarono 400 uomini presso la Torre di Portoscuso; gli incursori vennero però ricacciati in mare dai Miliziani di Teulada prontamente accorsi; i Saraceni, spostatisi a Calaligosta catturarono un vecchio ed un artigliere, ma nuovamente il pronto intervento dei Miliziani di Teulada, al comando del Maggiore di Giustizia di quel villaggio, Nicolò Pasella, li volse in fuga.

Nel 1764 in considerazione dell’intensificarsi della frequenza saracena nei mari sardi venne elaborato un nuovo regolamento per rendere più efficace l’azione difensiva delle Torri.

Nel 1793 la flotta francese, al comando dell’Ammiraglio Trouguet, dopo aver lungamente cannoneggiato Cagliari, sbarcò un grosso contingente di truppe, sui litorali del Poetto e di Quartu.

I Francesi dopo un mese di furiosi combattimenti con le truppe miliziane e volontarie, si reimbarcarono; passate nel Sulcis occuparono le isole di Sant’Antioco e di San Pietro.

Da Sant’Antioco i Francesi furono sloggiati dalle truppe miliziane di Iglesias, ma sopratutto dall’apparizione, in quelle acque, di una flotta di 23 navi di linea, e 6 fregate spagnole.

Nell’Isola di San Pietro la guarnigione francese si arrese, con l’onore delle armi, alla flotta spagnola; in queste circostanze furono recuperati ben 43 cannoni.

Nel 1798 due sciabecchi tunisini da 26 cannoni, due polacche da 24 ed una galeotta sbarcarono nottetempo, a Carloforte, circa 10.000 armati che, sopraffatte le scarse difese, catturarono e deportarono in Tunisia 840 persone.

Le vittime di questa razzia furono riscattate, dopo faticose trattative, dopo 5 anni di cattività, al prezzo di 500 piastre a cranio, per complessive 654.664 Lire dell’epoca.

Il problema del reperimento della somma necessaria per il riscatto fu molto serio per la cronica esiguità dei fondi della Regia Cassa; purtuttavia grazie anche all’intervento dei Padri Mercedari che, fondati all’uopo nel 1218, a Barcellona, operavano, a Cagliari, a favore degli isolani schiavi dai Barbareschi, fin dal periodo pisano, e di Napoleone Buonaparte, si pervenne al riscatto.

L’ultima superstite di questa razzia, Carlotta Capurro, morì, nel 1888, all’età di 94 anni a Carloforte.

Nel 1799 una masnada di pirati tunisini, sbarcata da 15 legni alla Maddalena fu respinta dai Miliziani locali, comandati da Domenico Millelire; questi si era già distinto in una azione contro alcuni vascelli francesi, a bordo di uno dei quali vi era il giovane Napoleone Buonaparte, che avevano tentato uno sbarco nelle coste settentrionali dell’Isola.

Un attacco, perpetrato nel 1802 da parte di alcuni seguaci di G.M. Angioy fuoriusciti in Corsica, alle Torri di Vignola, Longonsardo e dell’Isola Rossa, fallì per l’intervento della Regia Gondola comandata da Don Vittorio Porcile Conte di Sant’Antioco.

Nel 1806, a Orosei, 600 pirati tunisini sbarcati da una fregata, 4 sciabecchi e 4 lance, vennero affrontati da popolani armati comandati da certo Tommaso Majolu al quale i Saraceni avevano rapito due figli; nel combattimento, che permise di liberare i prigionieri, morirono più di 80 pirati.

Nel 1812, essendo comparsi davanti alle coste meridionali della Sardegna, 9 legni da guerra tunisini, e paventandosi un attacco sul litorale di Quartu, il Vicerè rafforzò quelle difese inviando uomini e cannoni. I pirati attaccarono, invece, le Torri di Portogiunco e dell’Isola dei Cavoli.

Mentre la Torre di Portogiunco resistette all’assalto, quella dell’isola dei Cavoli fu espugnata e la guarnigione catturata; alcuni torrieri, infatti, al momento dell’incursione erano lontani dalla Torre perchè cercavano di recuperare il carico di una nave russa che era naufragata nei paraggi.

In stretta successione temporale 400 pirati attaccarono la Torre di San Giovanni di Saralà difesa strenuamente dall’Alcaide Sebastiano Melis; essendo stato appiccato il fuoco alla porta, la Santabarbara della Torre esplose uccidendo l’artigliere figlio dell’Alcaide, e ferendo l’Alcaide stesso e due soldati; ciononostante i difensori continuarono a tener testa agli attaccanti, per ben10 ore, fino all’arrivo dei Miliziani di Tertenia; 17 attaccanti rimasero sul terreno, e al Melis fu concessa una medaglia d’oro.

Nel 1813 i Saraceni tentarono un attacco alla Tonnara di Calasapone.

Nel 1815 uno sciabecco tunisino, elusa con uno stratagemma la vigilanza del Forte de “Su Pisu”, sbarcò all’alba a Sant’Antioco un contingente di armati che saccheggiò quel villaggio e, preso alle spalle il forte, grazie ad una leggerezza dei difensori, lo conquistò uccidendone il Comandante Luogotenente Efisio Melis Alagna, e gli artiglieri.

I Saraceni catturarono quindi 125 persone, comprese alcune donne, e fecero abbondante bottino.

Questa fu l’ultima incursione riuscita, altre tuttavia furono tentate nei litorali di Sarroch e di Pula.

Nel 1816 sotto la minaccia delle flotte europee, ed in particolare di quella inglese comandata dall’Ammiraglio Exmouth, i Bey di Tunisi, Algeri e Tripoli sottoscrissero un trattato che ponendo fine alla pirateria e alla schiavitù, imponeva la restituzione, al Re di Sardegna, delle persone ancora in stato di in schiavitù, e della cifra di 60.000 lire all’epoca versate per il riscatto dei sardi prigionieri.

La riluttanza del Bey di Algeri venne vinta solo col bombardamento della città da parte della flotta inglese ed olandese.

I rimedi

La situazione che aveva indotto l’Imperatore Carlo V a predisporre le spedizioni contro Tunisi e Algeri, e gli scarsi risultati conseguiti, avevano evidenziato la vulnerabilità dell’Isola.

La difesa con appostamenti fissi, almeno col compito di avvistamento del nemico, aveva dato buon risultato in Spagna, nel Regno di Napoli, e nei territori soggetti alla Repubblica di Genova.

Per poter dare a Filippo II una visione completa della situazione nell’Isola, il Capitano di Iglesias Marco Antonio Camos fu incaricato di fare un sopralluogo in tutti quei punti, lungo tutto lo sviluppo delle coste dell’Isola, dove sarebbe stato necessario far sorgere Torri di segnalazione, di difesa, o altri apprestamenti similari.

Il Camos partito da Cagliari nel Gennaio 1572 col disegnatore Raxis, col Capomastro Maggiore Pixela, e col Nocchiere Vincenzo Corso, verso la costa occidentale del Golfo; doppiò Punta Zavorra, Capo Pula, Chia, Malfatano, Capo Teulada, Porto Pino, Porto Botte, l’isola di Sant’Antioco, quella di San Pietro, le coste di Gonnesa, e di Fluminimaggiore, Capo Frasca, le marine di Flumentorgiu, Capo San Marco, le coste di Santa Caterina di Pittinuri, di Columbargia, di Bosa, capo Marrargiu, Cala Bona, le coste di Alghero, Capo Galera, Porto Conte, le coste dell’Argentiera, della Nurra, Capo Falcone, l’Isola dell’Asinara, le marine di Portotorres, di Castellaragonese, l’isola Rossa, Capo Testa, le coste di Longonsardo, Capo d’Orso, le coste d’Arzachena, Capo Figari, le marine di Terranova, l’isola di Tavolara, le coste di Posada, Capo Comino, le marine di Orosei, la costa di Monte Santo, le marine di Arbatax, di Barì, la costa di Capo Ferrato, Cala Pira, Capo Carbonara, Capo Boy, Cala Regina, e tornò a Capo Sant’Elia il 26/4 dello stesso anno.

Nella sua relazione del periplo fatto menzionò le 17 Torri già esistenti, e motivandola puntualmente, indicò la necessità di costruirne altre 54 delle quali esplicitò che 50 sarebbero potute essere “semplici”, e 4 “gagliarde”.

Il Camos segnalò anche la necessità di istituire almeno altri 10 posti di vedetta senza torre, le cosidette “Guardie morte”, simili a quelle già in funzione, a spese dei corallari della Costa Occidentale, durante la stagione della pesca del corallo.

L’apparato difensivo proposto avrebbe comportato una forza di144 uomini, più 6 esploratori a cavallo ed uno a piedi.

La costruzione di una Torre, dipendentemente dalle condizioni del luogo dove sarebbe dovuta sorgere, avrebbe potuto comportare una spesa, secondo le previsioni del Capomastro Pixela, variante tra i 250 ed i 650 Ducati, in funzione anche delle dimensioni.

Dopo la conquista della Goletta di Tunisi da parte dei Turchi, nel 1574 il Vicerè de Moncada, per risparmiare in considerazione della carenza di fondi disponibili., chiese al Camos di ridurre il progetto all’essenziale, per cui il Camos, in una seconda relazione propose la costruzione di solo 30 Torri.

Per un certo periodo si ritenne che fosse più opportuno, per la difesa dell’Isola, disporre di salde fortificazioni entro cui poter concentrare forti contingenti di truppe di Fanteria e di Cavalleria, che poi avrebbero potuto venir inviate nei punti minacciati dal nemico.

Stante il buono stato di conservazione della Fortezza di Castellaragonese, si ripararono solo le fortificazioni di Cagliari e di Alghero, e a tal scopo furono chiamati alcuniarchitetti militari fra i più valenti del tempo, quali Rocco Cappellino, e Jacopo Paleario detto “il fratino”.

Sempre per mancanza di fondi si tralasciò di riparare le fortificazioni di Sassari, Oristano, Bosa, ed Iglesias, pur bisognose di restauri, in quanto ritenute di importanza strategica secondaria, dato che il ripristino delle sole fortificazioni di Cagliari e di Algheroaveva esaurito la somma destinata alla costruzione delle Torri in quel periodo.

Ritornate d’attualità le Torri nella strategia difensiva, Filippo II creò, nel 1587, per la loro gestione la Regia Amministrazione delle Torri, finanziata coi proventi di una tassa, il “Dret del Real”, che gravava per un Reale su ciascuna cantara di formaggio e pelli esportate dall’Isola.

Dal 1592 al1599 furono costruite 26 Torri; altre 26 negli anni1600-1610. Alla fine del1630 le torri erano 81; ai primi del 1700 erano 82, alcune erano state, infatti, appositamente costruite a difesa delle tonnare bersaglio ambito dei pirati barbareschi.

Le Torri e le guardie morte avrebbero dovuto essere suddivise in distretti che comprendevano rispettivamente:

Per la parte meridionale:

1) Oristano (da Orfano Puddu a Fluminimaggiore), le Torri di:

Orfano Puddu, Calemoros, Scala Sali, Capo Mannu, La Mora, Cevo, San Giovanni di Sinis, Gran Torre di Oristano, Foxi Carcai, Foxi Autis o Salsu, Marceddì, Capo Frasca, Flumentorgiu, Ranelex, Alga Morta.

2) Portoscuso (da Capo Pecora a Punta di Friga)

Capo Pecora, Caladomestica, Masua, Porto Paglia, Capo Altano, Portoscuso, Punta di Fretto, Porto di Friga.

3) Palmas (da Punta di Sorri a Caladostias)

Punta di Sorri, Calapiombo, Capo Teulada, Porto Scuro, Budello, Piscinnì, Malfatano, Gagnas, Spartivento, Chia, Guardia di Chia, Caladostias.

4) Cagliari (da Coltellazzo alle Saline)

Coltellazzo, Sarroch o Murmungioni, Punta Zavorra, Antigori, Su Loi, La Scafa, Lazzaretto o Calabernat, Perdusemini o Calafighera, Calamosca o Sant’Elia o del Pouet.

5) Quartu (dal Pouet a Calapira)

Mezza Spiaggia o Carcangiolas, Bucca de Arriu, Foxi Sisia, Sant’Andrea, Mortorius, Cala Regina, Montefenugu, Capo Boi, Fortezza Vecchia, Cala Caterina, Portogiunco, Columbaras, Cala Pira.

6) Sarrabus (da Capo Ferrato a Sa Murta)

Capo Ferrato, Montiferru, Torre Salinas, Torre della Porta, Monte Arrubiu, Porto Corallo, Torre de sa Murta o Quirra.

7) Ogliastra (da Capo Palmero a Monte Santo)

Capo Palmero, Porto Palmero, Sferracavallo, San Giovanni di Saralà, Secci, Barì, Zaccurru, Capo Bellavista, Arbatax, Santa Maria Navarrese, Monte Santo.

Per la parte settentrionale:

8) Orosei (da Cala Gonone a Terranova)

Cala Gonone, Cartoe, Santa Maria del Mare, Punta Negra, Cala Ginepro, isola Rossa, Santa Lucia di Siniscola, Perdas Nieddas, Coda Cavallo, Porto Paolo, Terranova.

9) Longonsardo (da Capo Figari all’Isola Rossa)

Capo Figari, Punta Isca Segada, Capo Libano, L’iscia di Vacca, Durzenale, Capo d’Orso, Capo Sardo, Punta Santa Maria, Longonsardo, Capo Testa, Vignola, Isola Rossa.

10) Sassari (da Frissano a Punta Cagini)

Porto Frissano, Abba Currente, San Gavino Scabizadu, Portotorres, Fiume Santo, Saline, Pelosa, Isola Piana, Capo Falcone, Capo Negretto, Argentiera, Punta Cagini.

11) Alghero (da Porticciolo a Poglina)

Porticciolo, La Pegna, Pollo, Tramariglio, Capo Liris, Porto Conte, Capo Galera, Poglina.

12) Bosa (da Punta dei Ratti a Pittinuri)

Capo dell’Alga, Tresnuraghes, Torre Argentina, Columbargia, Isola Rossa, Fogudoglia, Capo Nero, Pittinuri.

Per le isole:

Mal di Ventre, Spalmatore a San Pietro, Calasetta e Cannai a Sant’Antioco, San Macario, Cavoli, Serpentara, Molara, Tavolara, Santo Stefano, La Maddalena,e all’Asinara le torri di: Castellazzo, Trabucado, Cala d’Oliva, Cala d’Avena e Scomuscas.

La suddivisione in distretti non ebbe alcuna conseguenza pratica. Le Torri furono costruite, compatibilmente con i fondi disponibili, dove c’era maggior pericolo; così nella costa meridionale, da Capo Carbonara a Capo Teulada ne furono costruite ben 23, nella Planargia 11, nel territorio di Alghero 12; nella costa orientale, da Santa Lucia di Siniscola a Capo Carbonara, ne furono costruite solo 13.

La forza di una Torre variava a seconda della sua importanza strategica; le Torri “de armas”, ad eccezione della Torre di Bosa Marina, della “Gran Torre” di Oristano, e di quella di Alghero, erano presidiate da un Alcaide, un Artigliere, e da 4 soldati.

L’Alcaide era di solito un ex militare, oppure un ex torriere che avendo svolto meritevolmente il suo servizio era stato promosso a mansioni superiori, in Torri via via di maggior importanza.

All’Alcaide, che doveva necessariamente sapere leggere e scrivere, erano demandati anche altri compiti, quali per esempio sottoporre “a pratica” quei legni che avessero dato alla fonda nelle vicinanze della Torre, e esigere da essi il diritto d’ancoraggio.

La “pratica” consisteva nella verifica delle carte di bordo per accertare la provenienza della nave, e in caso di provenienza da porti sospetti di pestilenza dopo averne rese edotte le autorità sanitarie, disporne la quarantena. In quest’ambito risulta che in prossimità della Torre dell’isolotto di San Macario, nelle marine di Pula, nella metà del XIX secolo, due navi svedesi, sospette d’essere infette, furono addirittura date alle fiamme.

Gli stessi documenti cartacei provenienti da zone sospette di pestilenza dovevano subire il “suffumigio”, dovevano cioè venir esposti al fumo della combustione di particolari sostanze; era ritenuto particolarmente efficace, come disinfettante, il fumo prodotto nella combustione di reti e cordami vecchi di tonnara, che, forse per le abbondanti concrezioni di organismi marini, bruciando producevano molto fumo e di odore particolare.

L’idea non era del tutto peregrina; infatti oggi si sa che le aldeidi, formatesi nella incompleta combustione di un materiale cellulosico, reagendo con le proteine le coagulano e pertanto denaturano il protoplasma dei microrganismi patogeni eventualmente presenti in un materiale, permettendone la conservazione in condizioni pressochè asettiche.

Il Consiglio che gestiva la Reale Amministrazione delle Torri, presieduto dal Vicerè, comprendeva, come Consiglieri, i rappresentanti degli Stamenti Militare, Ecclesiastico, e Reale, e svariati funzionari quali Clavarii, Esattori, Notai, etc..

I rappresentanti degli Stamenti venivano sorteggiati, e non erano rieleggibili; almeno uno di essi doveva essere del Capo di Sassari; la carica di Segretario, di nomina regia, era a vita.

Era sempre di nomina regia la carica di “Capitano delle Torri”, che nel successivo periodo sabaudo divenne di “Colonnello delle Torri”

Il Capitano, o Colonnello che fosse, che doveva risiedere a Cagliari, era il responsabile militare delle Torri del Regno; ai suoi ordini erano il “Tenente delle Torri”, a sua volta residente a Sassari, e gli Alcaidi, gli Artiglieri, i Soldati, e quanti altri, incaricati della difesa delle singole Torri.

La corretta gestione delle Torri veniva verificata periodicamente da ispettori inviati all’uopo.

La dotazione usuale di una Torre “de armas” comprendeva:

Da due a quattro cannoni del calibro compreso tra le otto e le due libbre di peso di palla, un certo numero di palle da cannone dei varii calibri, alcuni barili di polvere da cannone ed un centinaio di libbre di polvere da fucile, una spingarda con qualche centinaio delle relative palle, almeno un fucile per componente la forza della Torre con qualche centinaio di pallottole; una ventina di pietre focaie per i fucili, almeno due “Tiraborra” per i cannoni, per la spingarda e per i fucili, almeno due “Lanate”, o scovoli di pelle di pecora per pulire i cannoni, almeno quattro “Grani” o foconi di ricambio per i cannoni e la spingarda, almeno tre “Battipalle” o calcatori per i cannoni, almenno due cucchiai di rame, con manico, per il caricamento dei cannoni, alcuni modelli in legno per la confezione dei cartocci a mitraglia per il cannone, e almeno quaranta fogli di “Carta Reale” per la confezione dei cartocci stessi, alcuni cunei di legno per fissare l’alzo dei cannoni, almeno due fiaschette, o corni da polvere per l’innesco dei foconi dei cannoni, almeno due “Buttafuoco” con la rispettiva miccia per dar fuoco al pezzo d’artiglieria.

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