Categoria : narrativa

“Il Sensale” di Alfredo Crispo

Quella del 23 Novembre 1958, non fu una Domenica santificata da Don Luigi Rinziello, il sensale di Montecaprino; il paese a dispetto di una superficie territoriale vastissima era composto da poche migliaia di anime, e come accade in quelle comunità, i fatti, ed anche i segreti degli abitanti erano di dominio pubblico.

L’inatteso invito a pranzo da parte di Domenico Barone, apriva quindi la mente raffinata di Don Luigi a due ipotesi entrambe allettanti: la prima erano le succulente braciole di cavallo della padrona di casa, la seconda e sicuramente più importante e complicata era quella di accasare Vicienzo, il figlio scapolo del proprietario terriero.

Il Don che differenziava Luigi da Domenico in questo caso non era dovuto ad una differenza di classe, è vero che il “trattamento di Dominus” nel meridione di allora era privilegio dei galantuomini, ma Luigi in 30 anni di mediazioni matrimoniali se lo era conquistato non solo per l’acume nel combinare matrimoni felici e durevoli, ma anche per la capacità di relazionarsi alla pari con le varie classi sociali che avevano fatto ricorso alla sua professione.

Domenico Barone pur provenendo da famiglia umilissima era uno degli agricoltori più ricchi del paese, la riforma agraria avviata in quel dopoguerra, con gli espropri paradossalmente rischiava di ridurre il suo ettaraggio, accumulato con grande fatica con le bonifiche delle paludi frutto della grande riforma di 25 anni prima; e Domenico insieme a suo padre quella terra l’aveva conquistata con il duro lavoro, non era l’ereditiero latifondista che  doveva contribuire con le proprie plusvalenze catastali a sedare le rivolte contadine conseguenti ad una guerra disastrosa .

Vicienzo quella mattina era impegnato sia con la raccolta delle olive in una frazione vicina, sia con il successivo conferimento al frantoio, ed era l’occasione ideale affinché Domenico potesse mettere a sua insaputa il figlio sui binari della continuità delle generazioni.

Don Luigi come tutti d’altronde a Montecaprino, conosceva il dramma di Vicienzo; appena diciottenne aveva perso il suo Amore, Cristina; dopo anni di sentimenti adolescenziali, quando ormai si pensava alle nozze, Cristina fu colpita da una febbre insistente ed intermittente, la quartana che nel giro di pochi giorni la condusse alla morte.

Il dramma di Vicienzo era insanabile e tutti lo avevano capìto, non era solo il primo, grande, classico amore; era quello condiviso con la natura, ogni giorno di quella storia era scandito da profumi, fioriture, fienagioni, ciliegie ripartite fra 4 labbra, insomma c’era l’imprinting, il rafforzamento percettivo ed improvvisamente, pochi giorni dopo quel 25 Aprile di festa, nel caso di Cristina la liberazione doveva diventare quella dalle sofferenze; e beffa delle beffe, una piccolissima creatura di quella natura che li aveva uniti li separò: l’insetto Anopheles con il terribile Plasmodium malariae.

Dopo il primo piatto, la pasta fatta in casa col sugo di braciole ed i convenevoli, come da tradizione Domenico Barone emise il primo rutto di gradimento; non era maleducazione o aria nello stomaco, era la dimostrazione di apprezzamento rivolta alla cuoca, e Don Luigi che conosceva bene questa tradizione preferì non imitare il padrone di casa; durante la liberazione delle braciole dallo spago che comprimeva il pecorino ed il prezzemolo nella fettina di lombata del povero cavallo, Giovanni iniziò ad esporre il desiderio di avere finalmente una nuora e quindi dei nipotini…

Don Luigi tu lo conosci bene a Vicienzo, è bello più di me, è forte e gran lavoratore, ma da quando ha pirduto a Cristina non ne ha più voluto sapere; capiscimi ammè!

Don Luigi assaporava la carne ed annuiva senza commentare, non era il caso di porgere quesìti di natura clinica perché conosceva bene lo stato di salute di Vicienzo, la virilità non era in discussione, la malattia era dell’anima, e questo era l’intoppo professionale che gli aveva procurato più problemi nella sua carriera di mediatore di nozze; Domenico proseguì con un suo personale censimento delle zitelle maritabili di Montecaprino e dei paesi vicini, e questa elencazione suscitò un interesse furbo ed uno sforzo di memorizzazione in Don Luigi.

Partì il secondo roboante rutto, ed anche in questo caso Luigi non fece la eco; la Signora Barone si rivolse con lo sguardo preoccupata al marito, anche perché il rito della scarpetta nel sugo non venne messo in atto dall’invitato.

Don Luigi sono preoccupato perché non hai fatto il dirrutto esclamò Domenico, non hai aggradito la braciola? Mariellaaa la pasta forse non era cotta bene!

A quel punto Don Luigi sorrise, e quando sorrideva lui, lo sapevano tutti a Montecaprino, significava che aveva buone notizie da dare ai suoi clienti, e finalmente iniziò a parlare: non è che non aggiu gradito Minguccio caro, la braciola era squisita ed era ottimo il piatto della pasta; il problema è che dirrutti con tutto il rispetto che ho per la tradizione da ora in poi, se vuoi maritare tuo figlio… al cospetto di questa tavola non se ne devono sendire più; Don Luì poc’anzi ti ho parlato di Lucia la figlia di mest’ Michele il vaccaro, a casa sua i rutti li fanno anche più rumorosi, e questo per me non è un problema!

Domenico Barone da Montecaprino, via dei Gelsi numero 13 mi hai affidato il caso di Vicienzo? Questo è un contratto e se permetti il contratto lo stilo io!

La solennità notarile ed il tono di paternale mortificarono i padroni di casa e dominò il silenzio per una lunga manciata di secondi; Domenico aveva immediatamente compreso che ormai il gioco era nelle mani del sensale e si ripromise di non sopravanzarlo da quel momento in poi; Don Luigi per allentare la tensione ma non più di tanto, disse ai due coniugi sorridendo: non si può salire su un treno e pretendere di guidare la locomotiva! Si paga il biglietto e si raggiunge comodamente la destinazione.

 Domenico incassò e pensò leggermente preoccupato all’allusione del biglietto da pagare che nel suo caso sarebbe stata una salata ricompensa per la mediazione.

E giunse il dolce alla ricotta, e giunse il caffè, e giunse l’amaro con Domenico in fremente attesa di un segnale, del pensiero di Don Luigi.

Domenico quando mi hai invitato a pranzo la settimana scorsa ho capìto quale era il motivo della convocazione; lo avrebbe compreso chiunque d’altronde qui in paese… ed in questi 3 giorni ed in queste 3 notti sono stato a riflettere; un penziero lo tengo fatto ed è un penziero bello assai…

Don Luigi non ci tenere sulle spine dicci il nome! Mariella Barone era appoggiata alla porta della cucina con le mani strette sul canovaccio umido.

Volete sapere a chi aggiu penzato??? Si Don Luì facci il nome ti supplico! A quel punto Don Luigi con la testa china e con gli occhi che scrutavano ormai al di sopra della montatura gli interlocutori, sussurrò: Graziella Manieri.

Seguirono secondi ed anche numerosi di silenzio, la Signora Barone per la prima volta dall’inizio del pranzo prese la parola e disse: Don Luigi aggiu capitu bbene? Avete detto Graziella Manieri, la figlia della buonanima Don Nicola u’ Signurinu?

Si Mariella, proprio lei.

Il termine ambizione non apparteneva alla cultura di Domenico, nel mondo contadino esistevano termini come la volontà, il sacrificio, la continuità della propria impresa. Ambizione a Montecaprino era il termine della borghesia rampante e quindi mirare ad un apparentamento di Vicienzo con la fanciulla dal ceto più elevato del paese era qualcosa di impensabile; Domenico esordì: Don Luigi, se Vicienzo fosse un ingegnere, un funzionario comunale, già si potrebbe pensare a qualcosa, ma mio figlio è un coltivatore diretto… ricco sì ma sempre contadino resta!

Luigi senza scomporsi gli rispose: Minguccio tu conosci i lampascioni; sono bulbi saporiti, ma teneri e difficili da raccogliere e per scavarli nel terreno ci vuole una mano forte ed attenta ed a tuo figlio queste qualità non mancano.

La seconda figura retorica nel giro di pochi minuti fece precipitare la coppia Barone nella rassegnazione, nell’incapacità di colloquiare ed inoltre l’ipotesi di matrimonio era così al di sopra delle aspettative che era subentrato uno stato confusionale che non consentiva repliche.

Ma a cosa si riferiva Don Luigi quando parlava di lampascioni?

Non certamente a Graziella.

Alcune settimane prima aveva ricevuto la telefonata di Donna Matilde, l’unica sorella di Graziella felicemente sposata col medico provinciale; non si era parlato della zitella, ma dell’ingente proprietà ereditata dal defunto Don Nicolino; condotta secondo l’uso della colonìa parziaria, la masseria Manieri nei decenni passati aveva rappresentato per la famiglia una fonte di reddito elevatissima; verso la fine degli anni ’50 intenzione del governo era di eliminare tutte le forme antiquate di conduzione e farle sfociare nel regime di affitto; addio galline, addio vino sfuso, addio uova e formaggi ed infine canone ridotto.

Don Luigi in quello di Matilde non solo lesse uno sfogo, ma anche una inconscia richiesta di aiuto; si chiese infatti: perché si è sfogata con me?

Vicienzo era un bravo agricoltore, aveva la capacità, i mezzi ed il titolo di coldiretto che in quel frangente storico valeva molto più di un titolo nobiliare; ecco, il lampascione era la somma, la fusione di due titoli… quello di coldiretto e quello nobiliare, l’anello mancante in questa missione impossibile, quello che tutti i sensali cercano.

L’anomalia nella narrazione di questa storia d’amore e sicuramente ve ne sarete accorti, è che non sappiamo ancora niente dei veri protagonisti, di Graziella e Vicienzo ma perdonatemi; non li ho ancora conosciuti io che la sto narrando, o meglio… sto per conoscerli.

Nel 1958, alle 16,28 di quella Domenica il sole così come accadeva in tutti i paesi sul 41° parallelo Nord, si coricò dietro alle colline di Montecaprino; le olive appena raccolte dovevano “riposare” almeno per un giorno e Vicienzo dopo averle conferite e pesate dal frantoiano, si avviò con l’autocarro FIAT 615 verso casa; non appena entrò in casa notò una strana atmosfera, le braciole al sugo messe da parte per lui erano ancora più friabili poiché avevano subìto un’ulteriore cottura, ma per Vicienzo l’appetito non era un problema, specialmente quando per il lavoro era costretto a saltare il pranzo; era un uomo vigoroso che aveva superato la trentina, e con tanti rimorsi si rendeva conto che in quel momento accanto a lui non avrebbero dovuto esserci i genitori, ma una bella famigliola.

Mamma Mariella in fondo non aveva perso le speranze di vederlo accasato; giorni prima aveva trovato nel comodino di Vicienzo i calendarietti profumati Bertelli, quelli che venivano regalati dai barbieri; Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Rita Hayworth, in costume da bagno e con seni floridi e gambe lunghissime ammiccavano e lasciavano sognare Vicienzo come d’altronde tutti i giovani di quell’epoca; quando seppe della visita di Don Luigi, Vicienzo comprese che qualcosa doveva accadere prima o poi, d’altronde le sue visite al Camposanto si andavano diradando ed i compagni scapoloni di passeggiata serale sullo stradone si andavano riducendo di numero.

Anche Graziella Manieri aveva superato i trent’anni; orfana di madre fin dalla pubertà, era stata cresciuta dalla sorella maggiore: Don Nicolino era il Podestà di Montecaprino, tutti i sindaci del paese dal ‘700 in poi erano a lui imparentati; la famiglia Manieri era autoctona di quella provincia, non vantava origini angioine, spagnole come le altre a lei imparentate, tutti gli eventi cruciali del paese erano legati alle decisioni degli avi diretti di Graziella; i concittadini di conseguenza li vedevano come dei saggi protettori: gli alberi della libertà innalzati dai giacobini del’99, il ritorno dei sanfedisti, la fuga a Gaeta di Franceschiello e Maria Sofia, il passaggio dei garibaldini, l’avvento dei Savoia ed infine le occupazioni dei tedeschi e degli inglesi di 15 anni prima, grazie ai Manieri erano stati eventi importanti, ma senza che alcun cittadino di Montecaprino ne avesse pagato le conseguenze drammatiche che sono tipiche degli sconvolgimenti della Storia e degli eventi bellici.

Graziella era cresciuta fra quei ricordi, fra cimeli e documenti, e quelle storie della sua famiglia e quegli oggetti utili solo ad uno storiografo, ultimamente iniziava a detestarli perché la allontanavano dalla gente semplice; si sentiva prigioniera di un mondo che non esisteva più, e nello stesso tempo non riusciva ad interagire con un uomo semplice, per l’appunto; più trascorrevano i mesi e più aumentavano i pretendenti attempati e vedovi, ed anche Matilde percepiva nella sorella un profondo senso di disagio.

Il 29 Novembre era di Sabato e di buon’ora Matilde chiamò al telefono sua sorella dal capoluogo: Graziella a Mezzogiorno arrivo a Montecaprino con Ernesto ed i bambini; Don Luigi Rinziello mi ha consigliato di acquistare l’olio della pregiatissima azienda agricola dei Signori Barone; verresti con noi a farti una passeggiata?

Perdonami Matilde, ma non dovremmo a Gennaio prossimo ottenere dai mezzadri il nostro olio, quello che ci spetta come da contratto?

Graziè, sai bene che l’olio nostro ci verrà consegnato dopo Capodanno se non a Febbraio… e quei furbacchioni in genere ci danno l’olio della scorsa annata, buono sì ma della scorsa annata; l’olio dei Barone è fresco di molitura, e pare che abbia un incredibile sapore di erbaceo, così sostiene Don Luigi.

Sapore di erbaceo… questa frase aveva distolto Graziella dal fatto che la sorella aveva nominato per ben due volte il mediatore di matrimoni; erbaceo associato all’olio la incuriosiva, e poi qualcosa di interiormente inesplorabile la mise di buon umore, era una sensazione che lei stessa non sapeva definire.

La Lancia Appia 4 porte del medico provinciale raggiunse la masseria Barone ed accostò accanto alla giardiniera FIAT di Domenico, sotto al grande gelso; all’abbaiare dei cani della masseria ecco che apparve Vicienzo; al cinema aveva visto in azione i grandi attori dell’epoca, Vittorio De Sica, Cary Grant, Amedeo Nazzari e le loro maniere galanti ed immediatamente, atteggiamento che non passò inosservato, si avviò verso gli sportelli di Matilde e di Graziella, aprì le due maniglie in quel modello adiacenti, le aiutò a scendere, accarezzò i bambini e subito dopo salutò il Dottor Ernesto che era ormai fuori dall’abitacolo.

Il piccolo portabagagli della Lancia Appia riusciva a contenere il bidone da 25 litri solamente in orizzontale… sarebbe stato rischioso trasportarlo pieno di olio e Vicienzo assicurò Il medico provinciale che in serata gli avrebbe consegnato l’olio con la giardiniera FIAT.

Domenico si limitò ad un inchino a distanza, mentre mamma Mariella fece gli onori di casa.

Mentre il Dottor Ernesto pagava l’olio a Domenico Barone e discorreva delle vicende del capoluogo, e Matilde con i bambini  osservava le gabbie con gli animali da cortile che Mariella descriveva con dovizia, Vicienzo completò la chiusura del grande otre metallico dal quale era stato prelevato il quarto di quintale per i Manieri; Graziella in quel momento si trovò sola nel deposito con il coetaneo, taciturno ed alle prese col suo lavoro; quelle mani forti e decise che operavano sulla chiusura stagna la rapirono; si avvicinò e gli chiese:  Vicienzo, mi può spiegare cos’è il sapore erbaceo del suo olio?

Vicienzo nemmeno conosceva quel termine che apparteneva esclusivamente al repertorio dei dottori agronomi, ma intuitivamente ne comprese il significato; adesso glielo faccio assaporare Donna Graziella.

Graziella, chiamami Graziella ti prego, siamo coetanei e dello stesso paese; Vicienzo prese un mestolino e lo immerse nel tino che aveva pazientemente riaperto, lo rabboccò appena e con la mano destra ferma e decisa avvicinò la coppetta alle labbra di Graziella; contemporaneamente ebbe l’accortezza di allungare le dita della mano sinistra sotto al mento minuto della ragazza fino a sfiorarlo, per evitare che qualche goccia di olio le macchiasse il tailleur.

Graziella in quel momento stava scoprendo per la prima volta in vita sua il sapore di erbaceo dell’EVO appena molìto, ma non solo; mentre sorseggiava quel liquido viscoso dal sapore fruttato, sentiva sotto il suo mento le dita rugose di Vicienzo che emanavano calore; dopo qualche istante Graziella si accorse che il suo corpo si era appropriato del calore della mano di Vicienzo, dal mento scendeva e contemporaneamente aumentava il battito cardiaco; il calore attraversò il seno, raggiunse l’addome… infine le sue gambe iniziarono a tremare; Vicienzo percepì che qualcosa stava succedendo, il chimismo inesorabile della natura si stava attivando, ma ebbe paura che le dita sotto il mento di Graziella potessero essere intese come una violenza, le allontanò turbato contemporaneamente alla coppetta del mestolo; rimasero come paralizzati e Vicienzo fu colto da sensi di colpa… pensava fra sé e sé, non ho fatto niente in fondo, ma dovevo stare attento a non sfior…. Vicienzo l’olio è buonissimo, me ne fai assaporare ancora un pochettino?

In quel momento il calore delle dita della mano sinistra di Vicienzo si appropriò di tutto il corpo del proprio padrone.

Il giorno di Natale del 1958 cadeva di Giovedì; fu un giorno ricco di novità, per i fedeli accalcati nella Chiesa matrice di Montecaprino; su una delle prime file c’era Graziella accompagnata da Vicienzo, c’era Matilde col medico provinciale ed i bambini, c’erano anche, qualche fila più dietro raggianti Domenico e Mariella Barone; e Don Luigi Rinziello? Anche quel giorno di festa non potè essere santificato, c’erano da acquietare rumori a casa di mest’ Michele il vaccaro.

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