Categoria : cultura

Grazia Elisabetta Coraduzza, pittrice sassarese di Angelino Tedde

Grazia Elisabetta Curadduzza è nata a Sassari più di una trentina d’anni fa (1976). Si è formata presso il locale Istituto d’Arte, alla scuola di Dessy, Tavolara, Figari e Vico Mossa.

È ordinaria di Educazione Artistica nella scuola Media Statale. Benché abbia iniziato a presentarsi al giudizio del pubblico e della critica soltanto dal 1967, la sua cultura e passione pittorica risalgono all’infanzia e affondano le radici in una solida tradizione pittorica familiare. Educazione e professione costituiscono perciò una solida garanzia di serietà nella riservata attività artistica di Grazia Elisabetta Coradduzza,  la cui tecnica preferita è la tempera su cartoncino. Una serie di tempere, infatti, sono esposte al giudizio del pubblico nell’attuale mostra cagliaritana. Le dimensioni generalmente ridotte, (35×50 cm.: 20×50 cm.: 22×32.:), non sminuiscono il valore di queste opere i cui soggetti si collocano nel contesto del vasto dibattito sul ricupero della natura. I lavori che la Coradduzza espone possono suddividersi dal punto di vista  contenutistico in tre sezioni: (fondali marini), (paesaggi), (fiori). Tema centrale di tutto il discorso pittorico e quindi la (natura). Dei (fondali marini) la pittrice evidenzia il triplice mondo animale, vegetale e minerale. Il mondo animale e vegetale, generalmente luminosissimo, è collocato in primo piano, quello minerale oscuro e quasi intatto, si staglia nel secondo piano. Le Tonalità calde e luminose del primo piano si contrappongono a quelle fredde e opache del secondo piano. Agli arancioni si contrappongono i viola, ai gialli variatissimi gli azzurri cupi, il tutto è collegato da uno sfondo oro brunito che impreziosisce nobilita la scenografia, le luci e le ombre risaltano dalle cose. Il mondo sommerso palpita e vive in un’atomosfera surreale che vibra di luce e di colore. Vi è in queste opere il canto e il rimpianto delle cose perdute. Tanto quel mondo che lo Zanella evoca con le immagini poetiche, G. E. Coradduzza tenta di evocare col suo pennello raffinato e magico. Il mondo sommerso, popolato non solo di animali e vegetali, ma anche di ancore ed anfore di tempi remoti, affascinano il pittoricismo misurato e sofferto della nostra pitrice. A questa serie di opere che decantano il mondo marino si collega l’altra serie che illustra la dolcezza del paesaggio campestre con le sinuose linee dei colli appena accennati, delle folte chiome delle nostre querce, delle macchie verdi e brune del lentisco e del cisto col colore delle nostre rupi e balzi.il tutto racchiuso in uno sfondo dal cielo chiaro, impalpabile, suggestivo che man mano si tinge d’azzurro che sconfina nel viola sfumato. Anche qui è la natura la nota dominante, la natura sentita sentita e non guardata soltanto, filtrata dal sentimento colmo di stupore dell’artista. I verdi ora chiari ora cupi, i gialli e indeterminati, i bruni variamente dorati offrono visioni trasognante di quel mondo che l’uomo con la sua fredda tecnica tende a distruggere. Quasi a coronamento di questo discorso della natura, la pittrice presenta una serie di (fiori) in cui il colore si trasforma in sinfonia cromatica. È l’arduo tentativo di una sintesi sul cui risultato non possono esserci dubbi. Nel contesto della variegata pittura sarda dove collocare Grazia Elisabetta Coradduzza? Certamente nel numero di quelle artiste, quali Lilliana Cano e Verdina Fensé, che operando seriamente offrono un valido contributo pittorico al discorso culturale che si svolge oggi in Sardegna nell’ambito del dibattito ecologico.

Da “Il Sassarese” giugno 1976

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