Categoria : c'est la vie

Cicloturismo due di Marco Bortolotti

Quando leggerete questa seconda puntata “il tempo avrà lasciato il suo mantello di vento, di freddo e pioggia e sarà vestito di fiori, di sole chiaro e bello”;proprio il tempo che ci vuole per gitarelle in bici fuori porta. Per queste gite assai profittevoli e corroboranti, non ho suggerimenti da darvi se non l’invito a compierle così come è cosa civile e salubre, per noi e per gli altri, usare sempre la bici in città invece dell’autobus o, peggio, della macchina. Abbiamo a Bologna una benemerita “Consulta della bicicletta”, simpatici garbati signori e signore che consigliano, promuovono l’uso della bici e tentano di difendere disarmati ciclisti dall’ arrogante invadenza motorizzata. Bravi!

Posso invece consigliare e quasi prescrivere dalla cattedra della mia quarantennale esperienza il mezzo più adatto per un aspirante cicloturista che abbia una settimana tutta solo sua per girovagare in libertà. Non gitarelle fuori porta – per quelle qualsiasi bici va bene – ma un vero viaggio che tocchi più regioni e che faccia segnare sul computerino di bordo – simpatico strumentino – i boriosi cinquecento o seicento chilometri d’asfalto. Dico “boriosi” perché ultimo e piccolo piacere del viaggio cicloturista sta nel raccontarlo agli amici . Hanno scritto che” il turismo è una forma spaziale di autoaffermazione”, è verità, ma non è altrettanto vero che più il viaggio è gigante più ci si autoafferma. Ancora un intoppo prima di cominciare. Mi piacciono le strade bianche non asfaltate, sono purtroppo sempre di meno. Però la bici per un viaggio lungo, quindi sull’asfalto,non è adatta alle strade bianche. Se si adotta una soluzione ibrida per es. una bici da città modificata, il compromesso non appaga e sottrae al viaggio tante, troppe, attese delizie di cui discorreremo.

Dunque la bici, ma quale? Non da corsa, assai costrittiva e incomoda con quel cornuto manubrio buono solo per chi corre, non da città o mountain-bike, pesanti e non avventurose. La bici ideale bisogna farsela. Se farete come me, avrete il vantaggio della intelligente economia risparmiosa.La mia ultima bici l’ho comprata da Paolo, collega corridore, che voleva cambiarla con una Colnago, per chi non sa, l’aristocrazia delle bici da corsa. E’ una bici ora giù di moda, ma di gran pregio, benissimo mantenuta. L’ottimo meccanico mio, di Querzè e di altri ciclisti universitari corridori, è il signor Neri di via della Battaglia,espertissimo consigliere. A lui e al suo figliolo ho detto cosa mi serviva; hanno sostituito il manubrio a corni con quello diritto delle mountain-bike dalle comodissime manopole di gomma, accresciuto il numero dei denti dei pignoni della ruota posteriore, diminuiti quelli della corona così facilitandomi le salite; sostituiti i tubolari con robusti, scolpiti copertoncini dalla camera d’aria sostituibile, refrattari alle forature e dalla sezione più larga, compatibile con quella dei cerchi; eliminati i fermapiedi a cinghietta sui pedali; montato un robusto telaio portabagaglio sulla ruota posteriore. L’assetto ottenuto va illustrato. L’usuale manubrio da corsa è perfetto in pianura e montagna per chi corre, inadatto e aggiungo , pericoloso, per il placido cicloturista che vuole godersi i panorami e non esser costretto a buttarsi sui freni se incontra un ostacolo improvviso. I vantaggi dei copertoncini sono evidenti, con essi non ho più forato e le forature sono formidabile scocciatura! Inutili pure i fermapiedi , necessari per chi corre e spinge, altrimenti costringono il piede e lo legano, impacciano quando ci si arresta; peggio ancora i pedali ad incastro con i quali si devono indossare quelle ridicole scarpettine da ballerini ostacolanti la deambulazione. Pignoni, corona e moltiplica sono agiti dal cambio, uno o più denti in meno nella corona, uno o più denti in più nel pignone, fanno risparmiare fatica nelle salite, il signor Neri mi ha accontentato montandomi rapporti servizievoli però la fatica è tanta lo stesso! Il sellino è rimasto , guai a cambiarlo! Il cocò deve poggiare sulle ossa ischiatiche e la gamba distendersi senza l’impaccio dei sellini falsamente confortevoli che vanno esclusi senza remissione anche per le gitarelle fuori porta. Occorre solo abituarsi e lo troverete comodissimo. Superflui anche i costosi sellini di ultima moda che presentano una feritoia centrale per alloggiarvi speranzosi perinei prostatici. Badate piuttosto all’altezza del sellino, con la bici inforcata occorre che i piedi tocchino il terreno con tutta l’articolazione delle dita. Regolate l’altezza del manubrio per mantenere pedalando una postura leggermente inclinata in avanti, così adatta a togliervi i dolorini dorsali.

Manubrio, sellino, pignoni, corona, pedali eccetera, fino alla pompa e borraccia (indispensabile!), sono tutti congiunti ai triangoli e trapezi del telaio e il telaio è come lo scheletro per noi, regge e governa la baracca. Tutto ne dipende. La buona bici per il cicloturista – ecco il punto fondamentale che deve guidarvi – deve avere il telaio di una buona, anzi ottima bici da corsa, il solo a possedere la caratteristica della massima leggerezza congiunta alla massima elastica robustezza. A cavallo di un telaio da corsa si ricavano sensazioni difficili da descrivere. L’enfatica comparazione farà sorridere, ma non so come dire meglio: nelle salite e soprattutto nelle discese sembra di stare a cavallo di una frusta che si avvinghi alle curve e le sciolga per noi.

Non ho scritto tutto quello che servirebbe, forse perché la bici è un mezzo non le ho dedicato troppa attenzione e qui si vede. Nella prossime puntate tratterò argomenti più congeniali che spero sappiano meglio ispirarmi.

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