Categoria : memoria e storia

Don Giorgio Satta, parroco ad Arzachena (1854-1942) di Francesco Cossu

Ad Arzachena nel rione di San Paolo, (Fraicu), c’è una via dedicata a Satta Giorgio.

Il nome ed cognome della persona dovrebbero essere scritte con le iniziali maiuscole, premettendo il nome al cognome e con il titolo che qualifichi il personaggio…

Gli arzachenesi lo chiamavano familiarmente: Babbai Ghjogliu, o, Preti Ghjogliu, i parenti, “ziu Preti”, mentre nei Registri parrocchiale di Arzachena egli firmava i vari atti di battesimo, di cresima, di matrimonio e di morte: Giorgius Satta – parrochus e, dal 26 novembre 1916, essendo stato nominato canonico, Giorgius Satta – canonicus.

 La scheda bibliografica:

 Giorgio Satta, nato Tempio il 25 – XII -1854, da Giovanni e da Mattea Franco, battezzato il 27 – XII – 1854, cresimato nel 1874.

(Ziu Ghjuanni Parrichjatu afferma che Giorgio Satta, figlio di Ghjuanni Satta, noto Garrigheraiu,  (contrabandiere o caricatore di fucile), il futuro Don Giorgio, è nato ad Arzachena nella Conca di Murricana, in via Bellini).

 Ha indossato l’abito talare nel 1872 e nello stesso anno ha iniziato la sua formazione intellettuale e spirituale nel seminario provinciale di Sassari.

Il primo gennaio 1877 ha ricevuto gli ordini minori ed il suddiaconato; il 22 settembre 1877 il diaconato ed il 22 – dicembre 1877 il presbiterato; il 05 gennaio 1878 è approvato al ministero delle confessioni.

Dal gennaio 1878 comincia il ministero sacerdotale come parroco di Terranova, allora piccolo villaggio di pescatori;

dal 22 maggio 1889 fino al 31 marzo 1924, parroco di Arzachena.

In quell’anno, per motivi di età, rinuncia spontaneamente alla parrocchia e vive sino alla morte in casa della nipote, Francesca Demuro, figlia di  una  sorella di don Satta, sposata con Lorenzo Demuro.

Muore ad Arzachena, alle ore 02 del 18 febbraio 1942, nella casa posta in piazza Risorgimento n.1, all’età di 87; riposa nel cimitero della famiglia Baffigo – Demuro

 Il contesto storico del suo tempo

 È nato e vissuto in un periodo intenso e variegato per la grandi trasformazioni:

– la presa di Roma (1970), la proclamazione dell’unità d’Italia (1961), la separazione tra Stato e Chiesa (1967), il governo della Destra fino al 1876 e poi la composizione di un governo della Destra e della Sinistra Storica; le leggi eversive contro la Chiesa; statalizzazione della scuola (Legge Doneo – Credero);

 – Il “non possimus” di Pio IX, l’astensionismo elettorale, (il “Non expedit” del 1874), voluto dalla Santa Sede; l’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici (1875);

– la pubblicazione della Rerum Novarum di Leone XIII (1891)

– il governo Giolitti; – Le grandi emigrazioni verso l’America (1911), allargamento del suffragio elettorale (1913;1919);

– la prima guerra mondiale (1915- 18); nascita del movimento sardo;

 – fondazione del partito popolare di don Sturzo (1921); scissione dei socialisti a Livorno,

– il biennio rosso con l’occupazione delle terre da parte dei cattolici e dei comunisti ( 1921);

– avvento del fascismo, abolizione dei partiti ed instaurazione della dittatura fascista,

– la seconda guerra mondiale (1940-1945).

 La formazione scolastica di Babbai Ghjogliu è avvenuta nel periodo delle grandi trasformazioni e delle opposizioni dello Stato contro la Chiesa nell’epoca della massoneria, e del laicismo, della nascita del socialismo.

Ha esercitato il suo ministero nel periodo in cui, non essendo ancora avvenuta la Riconciliazione tra lo Stato Italiano e la Chiesa con i Patti Lateranensi, i matrimoni si dovevano celebrare prima nella Casa municipale e poi in Chiesa; visse sempre in Gallura, in una regione molto sensibile ai mutamenti, fra abitanti bramosi di novità ( i galluresi furono i primi ad aderire al fascismo ed al partito popolare dei cattolici, Cilocco fu il prete gallurese che tra il 1894-96 partecipò, con Giovanni Maria Angyoi e don Muroni, alla rivoluzione sarda anti – sabauda)

 Arzachena durante il suo ministero sacerdotale:

 Preti Ghjogliu fu parroco di Santa Maria d’Arzaghena, (allora era quello il vero toponimo del paese), di una cussogghja fra le più importanti del vasto territorio, ma forse la più abbandonata del vastissimo territorio del comune di Tempio.

Una borgata ai margini della Gallura e della Sardegna, “tagliata fuori dal consorzio civile” per la mancanza di strade carrozzabili di collegamento con Palau, Luogosanto, Olbia, i cui abitanti, sparsi nelle campagne, vivevano isolati a causa dei torrenti che nella stagione invernale erano “inguadabili” e avevano travolto numerosi viandanti.

Condizioni deplorevoli anche dal punto di vista igienico – sanitario perché era priva
di una condotta medica ed ostetrica ed anche di un servizio veterinario per la profilassi e la cura dei numerosi capi di bestiame.

Nel 1908 Salvatore Ruzittu, aveva denunciato l’assoluta mancanza di acqua potabile che comprometteva la salute della popolazione e chiedeva la costruzione di un deposito di acqua piovana poiché “esistono nella borgata quattro o cinque pozzi di privati che vendono
l’acqua sporca ed inquinata a non meno di lire cinque per famiglia con  l’obbligo che ognuno attinga da sé l’acqua con delle secchie”.
L’esposto, firmato da 64 abitanti, termina con una minaccia esplicita che esploderà con la lotta per ottenere l’autonomia dal capoluogo:

Basterà, speriamo, l’abuso della nostra pazienza!”.

 Inizialmente, prima del 1900, le poche case appaiono secondo la tipologia dell’habitat sparso, prevalentemente attorno alla chiesa e lungo la via Magenta, l’unica per entrare nella stazzo di Santa Maria d’Arzaghena.

Le case sono costituite su un unico piano, normalmente monocellulari o con due  o più stanze .

Gli strati sociali  più poveri vivevano in monolocali angusti ed umidi, con un’ unica porta-finestra, in cui l’intera famiglia consumava i sobri pasti e dormiva.
Poi le persone più abbienti iniziarono a costruire un secondo piano.

Tra la tipologia dello stazzo e quella del palazzo ci sono altre vie di mezzo, il palazzetto…

Bisogna aspettare fino al 1900, quando il geometra Giov. Agostino Tamponi di Tempio, redige un primo piano regolatore con il quale si programma l’estensione del paese, poiché i pastori chiedevano di poter costruire le loro abitazioni nella nascente borgata di Santa Maria d’Arzaghena.

La direttrice che viene indicata è lungo l’attuale corso Garibaldi con alcune particolarità, dando una forma regolare agli spazi attorno alla chiesa.

Iniziarono a presentare progetti secondo il nuovo piano regolatore lungo il nascente corso Garibaldi  e attorno alla chiesa, con l’esclusione dell’area verso l’ex cimitero vecchio, (attuale sede della Compagnia barracellare), perché la legge vietava qualsiasi edificazione attorno.

Bisognerà aspettare molti anni per vedere una planimetria che assuma una vera forma urbana pensata ed il centro storico inizi una nuova tipologia.

 Anche l’analfabetismo era la triste condizione della maggior parte degli arzachenesi.

Le tre classi elementari funzionanti non potevano essere frequentate dai ragazzi delle campagne. Inevasa restò la richiesta di una scuola serale per adulti.
Nell’anno scolastico 1904 -1905, Francesco Mariotti, unico maestro, protesta per le difficoltà di impartire l’insegnamento a 78 scolari, dei quali 40 scolare, in una sola aula scolastica di 35 mq in cui  devono starci, con gli alunni, anche i banchi, la lavagna e la cattedra.

Icaro, il corrispondente de La Nuova Sardegna di quel tempo (1903), aveva  rilevava, diverse volte, la necessità assoluta di una stazione di carabinieri in questa frazione di Tempio.

I carabinieri della stazione di Palau non possono assolutamente accudire al servizio delle due giurisdizioni del Palau e di Arzaghena, e ciò non soltanto per l’estensione vastissima delle due zone, ma altresì per l’insufficienza del personale di servizio.

La giurisdizione della parrocchia d’Arsaghena ha un diametro di 33 o 34 km e per conseguenza  non solamente non è sufficiente la stazione di Palau, ma non basterebbe qua una stazione della stessa forza.

In questa zona popolata da oltre 2000 abitanti, ma ricordata solo dal fisco, come altrove, si verificano, spesso, omicidi, furti e violenze.

Le orde dei mendicanti, da cui continuamente siamo invasi, diventano spesso ladri e danno luogo a risse strane e sanguinose, incutendo così il panico nella popolazione priva di sicurezza..

È ormai tempo che si provveda.

Abbiamo avuto diversi provvedimenti: stazione dei carabinieri a piedi, che però, considerando la vasta giurisdizione da sorvegliarsi, dovrebbero essere a cavallo; l’impianto del telegrafo per uso del pubblico, l’ufficio postale, la condotta medica, il nuovo cimitero oggi in costruzione, ecc.

 Il corrispondente della Nuova, denunciava continuamente la situazione disperata di allora:

 “Siamo sempre allo stato primitivo…in Africa, in quell’Africa che manca delle sabbie infuocate e dà campo al fisco di fare le gradite sue visite solamente. Riguardo al telegrafo, mi diceva di passaggio come il baleno, che si fece credere all’incauto pubblico arzaghenese che si sarebbe avuto tosto per uso di tutti ed invece niente, niente, niente per noi.

Fino a quando durerà la via crucis?”.

 La vita economica era quella  della società agro-pastorale basata sull’economia del maiale che forniva carne, sanguinacci, olio e sulla agricoltura che offriva grano, legumi ed erbe selvatiche.

La stessa economia parrocchiale, come si vedrà nei successivi interventi, si sosteneva dalla questua de formaggio e del grano.

 Il parroco: Dominus et rex

 La chiesa e la canonica ed il parroco esercitarono un ruolo storico di aggregazione unico, furono sempre il centro della vita sociale degli abitanti, regolata dal suono delle campane e dall’unico orologio pubblico.

In quegli anni il paese s’identificava nella chiesa. Anche gli abitanti delle campagna, quando si recavano nella piccola borgata, dicevano di salire a “la ghjesgia”, a “lu cimitoriu”:

In un piccolo paese agro-pastorale il parroco di quei tempi era, naturalmente, un’autorità, una autorevole testa pensante, un punto di riferimento per tutti, essendo uno dei pochi che sapevano leggere e scrivere.

Tutt’ora si ricorda la sorpresa di un paziente arzachenese che non era riuscito ad acquistare una medicina, essendo la ricetta incomprensibile a tutti:

“No’nn’à cumpresu mancu Preti Ghjogliu!”.

Frequentissima la nota a margine degli atti di matrimonio compilati in quel tempo:

“…Letto il presente atto a tutti gli intervenuti, è stato da me sottoscritto, non però dagli altri e per essi dichiarati analfabeti…”.

 Ebbe vero potere effettivo unificando nella sua persona l’ufficio dell’anagrafe e della chiesa.

Come tutti i parroci che lo precedettero, fu anch’egli ufficiale delegato di stato civile del comune di Tempio ad Arzaghena dal 24 maggio 1889, ininterrottamente, sino al 1908.

Nel marzo del 1901, Preti Ghjogliu si distingue “alacremente”, insieme al maestro Mariotti, nel lavoro di compilazione delle schede per il censimento.

Coinvolto nella collaborazione con l’amministrazione civile del capoluogo, ha saputo destreggiarsi e pilotare la normalizzazione della vita sociale e religiosa raccomandando, sempre, l’obbedienza alla Chiesa ed allo Stato

Il suo difficile ruolo, tuttavia, non gli impedì di protestare, di scrivere al sindaco di Tempio per contestare le tasse ingiustificate, data la mancanza dei servizi istituzionali, per chiedere lo sdoppiamento di una classe con 78 alunni, la collettoria postale ed il telegrafo, la riparazione del cimitero e l’accettazione del preventivo fatto dal muratore Federico Frau, l’aumento dello stipendio al becchino Pietro Puddu che aveva dato le dimissione e la consegna delle chiave, perché “ a quel misero prezzo è certo che nessuno lo farà”.

Ci fu  una vera contestazione del parroco, anche se dipendente comunale di Tempio, (anticipando la sollevazione popolare che sfociò nell’autonomia), verso quel comune che gravava la cussogghja arzachenese, ed anche la parrocchia, di tasse e che nella costruzione del nuovo cimitero aveva omesso, forse di proposito, di collocarvi la croce…

Altro che tassa per la ricchezza mobile! La parrocchia non ha nemmeno la possibilità di ospitare due missionari per una predicazione straordinaria, e non ha neppure la possibilità di acquistare le nuove pianete, di provvedere a realizzare una croce di granito per il nuovo cimitero, vista l’indifferenza ( massonica?) del sindaco di Tempio.

Durante la lotta degli arzachenesi per ottenere l’autonomia da Tempio, Preti Ghjogliu fu certamente accanto ai vari protagonisti con la sua simpatia, il consiglio e la preghiera.

Il sei agosto, in seguito alla vittoria elettorale dei frazionisti, ci fu l’insediamento di Salvatore Ruzittu a sindaco di Tempio.

“Li pastori” – così i tempiesi chiamavano i frazionisti – “con decine e decine di bellissimi cavalli, ben nutriti e strigliati per la circostanza entrarono in città (a Tempio) a cavallo con spiegate al vento i grandi gonfaloni delle loro congregazioni religiose”.

Ed ancora, il 14 maggio del 1922, quando gli arzachenesi ottennero l’autonomia comunale, Salvatore Ruzittu è festeggiato in Piazza Risorgimento, primo sindaco di Arzachena, “a suon di musica e di campane a storno… da un popolo delirante”.

Babbai Ghjogliu ha tenuto a battesimo l’autonomia del comune.

Nelle varie fotografie degli anni successivi, Babbai Ghjogliu figura sempre come esponente legale della classe dirigente, tra le autorità più alte del paese.

Il 20 maggio 1926, infatti, è nominato vice – podestà del Comune di Arzachena, come si può leggere nella delibera seguente:
Oggetto: Delegato del Podestà.
L’anno millenovecentoventisei, addì venti del mese di maggio alle ore nove, in Arzachena nella solita sala del Municipio.
Il sottoscritto, cav. Giov. Martino Scampuddu, Podestà, assistito dal Segretario comunale, Aurelio Strobino,
Visto il Decreto legge 9 maggio corrente:
Delibera
di delegare, come delega, il signor Canonico Giorgio Satta di Giovanni a rappresentarlo in tutti gli atti di ordinaria amministrazione escluse le deliberazioni di qualunque genere e quegli atti che possono anche indirettamente impegnare la finanza o il patrimonio del Comune.
Letto, approvato e sottoscritto.

Il Podestà                                                            Il Segretario
Cav. G. M. Scampuddu                                                 A. Strobino

Il 16 luglio 1934, (N. 1180), il Podestà ha confermato alla carica di delegato podestarile il sig. Giorgio Satta, canonico di questo paese, nato a Tempio il 25 – febbraio- 1854 (?)

Successivamente, la Prefettura, a seguito della disposizione degli articoli 48 e 69 del T.U., comunicava “dolentemente l’impossibilità di ricoprire la suddetta carica dal canonico Satta perché non coniugato”.
Preti Ghjogliu – Babbai Ghjogliu

Non abbiamo la fortuna di leggere il Cronicon stilato da Babbai Ghjogliu, il diario che ogni parroco dovrebbe fare per la propria comunità.

Possiamo dare soltanto una sbirciatina ai quinque libri che ogni parrocchia deve avere nella propria biblioteca.

 Negli atti di battesimo notiamo sempre un incremento demografico, la registrazione di bambini spuri, il loro battesimo sub conditione o in “ponti” per quelli che rischiavano di morire subito dopo la nascita.

Qualche curiosità:

 Atto di morte

 Nel registro dei morti annota che il 20 marzo 1900 ha benedetto il cimitero della chiesa filiale di san Giovanni ed il 20 marzo 1905 quello di Santa Maria  Maggiore in Arzaghena.

 In domo, loco vulgo appellato Santa Maria Il 7 giugno 1889 …

la pandemia influenzale, la cosiddetta “spagnola” che nel 1918 raggiunse il picco davvero
eccezionale di 122 morti.  Per indicare la morte dei bambini usava la formula: “Volavit in coelum”.

 Benedisse alcuni matrimoni in punto di morte, matrimoni riparatori dopo la fuga della ragazza dalla propria casa…

 La contabilità

  Il libro cassa registra un’usanza di allora: il parroco aveva diritto ogni anno di fare il giro della campagne per due tipi di questua, quella del grano e quella del formaggio.

Quando il sacrista faceva il giro in chiesa o in campagna per la questua pronunciava la frase:

Pa’ l’opara di la santa Ghjesgia”.

Ogni famiglia dava secondo le sue possibilità; il parroco aveva l’obbligo di dare ai parrocchiani la palma e la candela benedetta domenica della palme ed il due di febbraio nei giorni delle rispettive feste

Nel libro di amministrazione dell’anno 1898, preti Ghjogliu, usando come l’unità di misura di allora lu cantàru (corrispondente a 40 Kg.) e la cuppa, (corrispondente a 25 kg.), annota:

 Questua formaggio cantàri  7; venduto a lire 25 il cantàro  = Lire 175

Questua grano        cuppe    45; venduto a lire 4 la cuppa    = Lire 180

Totale                                                                                     = Lire 355

 Passivo:

Questua formaggio spettante al romito, cantàri  3,50          = lire  87,50

Questua grano spettante al romito,        cupe    22,50           = lire 90

Cera                                                                                      = lire   78

Olio per il S.S. Sacramento                                                    = lir  50

Palme                                                                                     = lire  10

Imposta fabbricati                                                                 = lire 14

Totale                                                                                     = lire 329

 

Totale entrate:                                                             = lire 355,00

Totale uscite                                                                = lire 329,50

Rimanenza a favore della parrocchia                         = lire    25,50

Il  vicario generale, canonico Luigi Demartis ed il contatore diocesano, in data 21 -12 -1900,  dopo aver esaminato i registri e l’amministrazione di don Giorgio Satta, attestano:

“Diligentemente abbiamo esaminato il rendiconto degli anni 1898-1899-1900 presentatoci dal molto reverendo Giorgio Satta, parroco ed amministratore della Parrocchia di Arzaghena, dichiariamo, per quanto c’è constatato, esatto il suddetto rendiconto, lo approviamo e ne rilasciamo la presente nostra definizione”.

 L’inventario

 Anche l’inventario presenta qualche curiosità:

 La parrocchia di Santa Maria possiede: una cassa per l’Assunta; una scaletta con pulpito in legno; una culla per Gesù Bambino; quattro altari; due statue di santa Maria della Neve; una di sant’Isidoro ed una di Sant’Antonio, una di San Costantino ed una di Santa Lucia; due angeli – candelabro; tre pile per acquasanta, di cui due in granito ed una in marmo; tre lampadari in cristallo; due calici; due patene; un tempietto reliquario; candelabri.

 Le prediche

 Sapendo di rivolgersi a parrocchiani analfabeti, consuetamente predicava in dialetto. Caratteristica la formula orale usata per le pubblicazioni in occasione dei matrimoni:

ànì decisu di cuntraì matrimoniu …

Si calcunu sapissia chi fra chisti cuntraenti v’è calche impedimentu, è ubbricatu dillu a noi, abali, in viltù di santa ubbidienza e suttu pena di piccatu multali!”.

Le prediche erano, soprattutto, commenti sulla vita paesana, raccomandazioni morali, consigli in cui raccomandava ai ragazzi l’ubbidienza, la pazienza, il rispetto per i grandi, i genitori, i padrini, le autorità …

Figlio del suo tempo, era molto rigido e severo per l’abbigliamento delle donne:

“Candu vi cumpareti un custumu pa’ intra in mari, – ripeteva durante i mesi estivi – steti attenti a  no’ piddhallu chi si ’ichia lu spicciu nudu, e sia beddhu longu fin’e in bassu, chi no’ si ’ichia supra abbeddhu, palchì si’nnò pruvvucheti l’omini”.

Ma, succedeva anche allora, che qualche avviso venisse contestato…

Durante una messa domenicale, dall’altare aveva severamente tuonato contro le donne che andavano a La Maddalena e tornavano “tutti truccati, incipriati e civetti”.

Lucia Pasella osò confidenzialmente contestarlo durante l’omelia:

Cumpà, cosa acconcia, meddhu pari!”.

Durante la predica, quando si accorgeva che i bambini chiacchieravano, amorevolmente minaccioso, li ammoniva:

Steti boni, si’nnò, cincu minutti di fribitta e preti Ghjogliu dici: Dominus vobiscum e dapoi ignò, a l’Alburi Longhi!”.

Per la festa del Corpus Domini del 1890, dopo la ristrutturazione della chiesa e la collocazione “di lu bustu” della Madonna sull’altare maggiore, preti Ghjogliu in quella occasione, disse, solennemente, e con gioia:

Ogghj, Maria è turrata a casa soia”.

 Agostina Panzitta, allora ragazzina, ricorda ancora alcune domande e le raccomandazioni di Babbai Ghjogliu durante le confessioni:

Domandava sempre: “Furatu hai?” , o: “nuddha ài furatu?”.

Quando la risposta era affermativa, dava “una scrancata” e raccomandava:

 “Steddhi mei no’ pinseti a fa lu piccatu, tantu lu preti vi’llu paldona!

Li babbi ch’andani a furà, imparani li fiddholi a furà e tandu tutti andani a furà e Alzachena diventa  un paesi di latri!”.

Spesso ripeteva in confessione:

àgghjti pazenzia!”.

 Agostina Panzitta, che lo ricorda affettuosamente, afferma che Babbai Ghjogliu, nonostante l’apparente severità, “aìa lu cori moddhu,” e spesso si commuoveva e piangeva.

Confortava ed esortava alla confidenza:

Palchì no’ mi’ll’ài ditta primma!”.

Dopo la confessione, inviava, sempre i saluti ai vari compari ed alle comari: “a cumpari Andria e a cummari Ghjuanna, a cumpari Antoni e a cummari Catalina…”.

 La vita della maggior parte dei primi abitanti si svolgeva prevalentemente nelle campagne e, perciò, la parrocchia aveva legami anche con gli stazzi al di fuori della borgata.

Babbai Ghjogliu, buon pastore, si prendeva cura anche di quelle anime affidategli.

Numerose le volte in cui si recava in campagna per benedire i campi, gli animali, per allontanare le malattie, per maledire le cavallette, per bloccare gli incendi:

Zia Francisca Orecchioni (Buddona), nata nel 1908, ricorda vivamente tanti piccoli aneddoti:

quando la mamma, Maria Cugiolu, la mandava a portargli qualche regalo, Babbai Ghjogliu l’accoglieva e subito raccomandava alla perpetua, Marianna:

Da’ li frisgioli a la steddha!”.

“Cand’aìami la frebba o calche distulbu, mamma ci dicìa:

“Anda und’e Preti Ghjogli e fatti ligghj un vanghjeliu!”

Quando poi “s’ammalàa lu bistiamu, falàa a binicilli cu l’ea santa.

Una ’olta falesi pa’ lu cilibriccu. Vi’nn’era tantu chi no’ si pudìa abrì la ghjanna di casa!

Preti Ghjogliu falèsi, li fesi una gruci manna  e disi li parauli e subitu paltisini e ci falesini tutti i’llu putzu! Chistu è veru!”.

Anche il poeta Ghjaseppa di Scanu ricorda Preti Ghjogliu, durante le feste di campagne, circondato da ragazzi che gli chiedevano confidenzialmente che comprasse loro il torrone:

 “ Steddhi mei , no’ sapeti

Lu ’mpostu vi bisogna,

No’ sapeti ch’è valgogna

A invitavvi lu preti!”.

 Il giornale d’Italia in Sardegna”, in data 13 giugno 1931, lo descrive come paciere in una solenne cerimonia che si svolse nella chiesa campestre di san Michele, fra tre famiglie (Degosciu, Orecchioni, Mariotti) che si riconciliavano, dopo anni di odio e di vendette.

“ …Il canonico don Satta , il ministro di Dio è nel mezzo. Egli legge alcuni versetti del Vangelo e con commoventi parole, nel nome di Cristo, invita le parti al perdono ed alla pace E mentre un gruppo di gentili signorine innalza al cielo un inno dialettale, coloro che per lunghi anni si odiarono, oggi, deposto ogni sentimento di odio e di vendetta, si abbracciano e baciano e in quell’amplesso e in quel bacio è il perdono. I vecchi nemici d’ieri son tornati fratelli!”

 Antonio Ricciu, in Così canta il mio cuore”, lo descrive mentre arriva durante una festa della famiglia Ruzittu a Santada:

 “…Ed eccoti un bel momento, spuntare il prete Giorgio – Preti Ghjogliu – rosso in viso, testimonio del buon vino che consumava. Dava del tu a tutti e tutti chiamava compare…

L’arrivo inaspettato fece sospendere la “miria” e tutti si diedero al prete con domande, complimenti e risate e lui dava retta a tutti, mentre mamma lo serviva di dolci e vino, che Babbai Ghjogliu – come lo chiamavano le donne – già aveva gustato più d’una volta…”.

 Babbai Ghjogliu, un uomo che indossava già da allora il clergimen, maneggiava frequentemente la tabacchiera a naso, gustava un buon bicchiere di vino, ma era, sempre, un prete, un vero pastore  che è stato accanto agli arzachenesi per ben  53 anni, fino alla morte, vivendo con loro i momenti diversi della vita, consolandoli nelle circostanze dolose, incoraggiandoli nelle difficoltà, e consigliandoli nei momenti di incertezza e di smarrimento, godendo nei giorni di pace  e di serenità.

Fra i tanti preti della parrocchia, Egli è rimasto nel cuore degli Arzachenesi, affettuosamente il più caro.

 L’autonomia comunale, di cui oggi celebriamo il settantesimo anniversario, germogliò nel 1922 dal più antico tronco della parrocchia, che risale al 1776

Infatti il centro abitato, che per l’appunto si chiamò Santa Maria d’Arzaghena, andò via via sviluppandosi intorno alla chiesa che, quando ancora il Comune non era, teneva già regolarmente l’anagrafe parrocchiale e, dall’anno dell’istituzione dell’anagrafe civile, anche quella civile fino all’anno 1909, a futura memoria di tutti i nati, di tutti gli sposati, di tutti i defunti.

La stessa storia della comunità arzachenese è registrata nel Cronicon, curato dai parroci, compendio della vita dell’antico borgo. Se Arzachena ha oggi una sua storia, che risale al diciottesimo secolo, è opera della chiesa  che ha creato ed organizzato la prima comunità, la quale all’inizio del ventesimo secolo, per lo sviluppo ormai raggiunto, era matura anche per l’autonomia amministrativa.

Nella relazione letta il 13 maggio 1922 al Consiglio Comunale di Tempio, in occasione della costituzione in comune autonomo della frazione di Arzachena, il dott. Angelo Donadu ebbe a dire che “l’intelligente, attiva e ricca popolazione di Arzachena” conseguiva in quel giorno il frutto del suo glorioso passato di lotta tenace, sempre “irradiato dalla più viva luce spirituale”.

Infatti, il giorno sei  agosto 1914, in occasione dell’insediamento del consiglio comunale di Tempio, retto dal sindaco arzachenese Salvatore Ruzittu, (che avrebbe dovuto con tale autorevole carica promuovere e realizzare finalmente la sognata autonomia, sempre osteggiata dal comune  di Tempio), un gruppo di cavalieri arzachenesi, per  solennizzare l’avvenimento, si presentarono a Tempio proprio con stendardi e le bandiere della parrocchia.

Significativa testimonianza del contributo parrocchiale è la nomina alla carica di vice – podestà del parroco don Giorgio Satta, quasi a continuare nella nuova fase l’attività organizzativa del passato.

La chiesa, che ha tenuto, per così dire, a battesimo l’autonomia comunale, ha collaborato per migliorare e fare e progredire le condizioni sociali con l’istituzione dell’Asilo, delle colonie estive e del campo sportivo, con l’assistenza  caritativa in tempi di carestia e di fame, durante le famose annate cattive, con la formazione di varie generazioni sul piano morale e sociale.

 Ancora oggi, nell’attuale smarrimento dei valori spirituali, la parrocchia è impegnata in una nuova difficile opera di socializzazione e di evangelizzazione.

L’avvento del turismo, infatti, ha comportato una progressiva disgregazione dell’antica comunità e la chiesa ha oggi il compito di ricostituirla, quasi ex novo, per reinserirla, rinnovata, nei mutati tempi.

Formulo i migliori auguri affinché, come già nel passato, possa  ancora continuare la fattiva collaborazione del Municipio e della parrocchia per il migliore  avvenire della nostra Arzachena.

Il giornale d’Italia in Sardegna: 13 – giugno 1931

 TRE FAMIGLIE SI RICONCILIANO IN CHIESA DOPO ANNI DI ODIO E DI VENDETTE.

 Terranova 11

 Nell’umile chiesetta campestre di san Michele, presso Arzachena, si è svolta, il giorno 31 c.m., nella sua prima semplicità la suggestiva cerimonia delle “paci” fra le famiglie  Degosciu, Orecchioni, Mariotti.

Protagoniste erano cinque famiglie che da oltre un trentennio si dilaniavano a vicenda vivendo in una atmosfera  di odio e di vendetta. Origine di tutto ciò furono le solite questioni di interesse degenerate poi in lunghe e dispendiose liti e culminate in una situazione talmente pericolosa e tragica, che poteva da un momento all’altro travolgere nella rovina tante famiglie. Il brigadiere Bianco Pietro, comandante la vicina Stazione di Santa Maria d’Arzachena, il brigadiere Piras, della stazione di san Pantaleo ed il cancelliere Gana, spinti da un sentimento umanitario, vollero tentare di ridare la pace a queste famiglie.

Difficile ed arduo fu il compito, ma appunto perciò, maggiore doveva  essere la loro soddisfazione nel vedere la loro fatica coronata da successo.

Ed infatti, dopo lunghi e ripetuti contatti con le parti, riuscivano finalmente a metterli d’accordo e stabilire per il 31 maggio un loro convegno nella chiesetta di san Michele per la cerimonia della “Pace”.

All’ora fissata le parti si trovarono sul posto, accompagnati da numeroso stuolo di amici accorsi dalle vicine frazioni. Da Arzachena intervenivano le autorità politiche, religiose e numerosi cittadini.

La campana della chiesetta annuncia  che ha inizio la cerimonia, cerimonia commovente, bella, e poetica nella sua semplicità

Le parti avverse vengono schierate l’una di fronte all’altra: sono maschie figure, volti abbronzati dal sole e dalle fatiche, sguardi che esprimono tutta la fierezza della nostra razza, visi angelici di donne, il cui sorriso fu per un trentennio spento dal sentimento della vendetta e che oggi attendono tremanti il momento del bacio e del perdono. Fan loro corona centinaia  di amici e curiosi che nel più sacro silenzio attendono il momento solenne.

Il canonico don Satta , il ministro di Dio è nel mezzo. Egli legge alcuni versetti del Vangelo e con commoventi parole, nel nome di Cristo, invita le parti al perdono ed alla pace E mentre un gruppo di gentili signorine innalza al cielo un inno dialettale, coloro che per lunghi anni si odiarono, oggi, deposto ogni sentimento di odio e di vendetta, si abbracciano e baciano e in quell’amplesso e in quel bacio è il perdono. I vecchi nemici d’ieri son tornati fratelli!

Ed ora comincia la festa: colazione ricca ed abbondante, vini scelti e prelibati a profusione, lazzi, frizzi e sorrisi, discorsi di occasione e danze, finché il sole  che tramonta ricorda a tutte quelle anime in tripudio che la pace è stata fatta e bisogna tornare agli stazzi.

Per la cronaca: le parti in contrasto erano le famiglie Degosciu  C. Michele e Domenico, Mariotti G. Maria, Orecchioni Tommaso ed eredi del fratello Antonio, Orecchioni Paolo.

Fra le autorità presenti, notiamo il segretario politico ed il podestà di Arzachena, il brigadiere Bianco, comandante la stazione RR.CC., il cav. Gana, Cancelliere, il presidente della sezione dei combattenti, i pacieri Columbano Nicolò e Pancrazio ed altri di cui ci sfugge il nome.

Intercalare Mediante l’obolo spontaneo offerto dai devoti, la chiesa  parrocchiale acquistò un buonissimo organo del valore di oltre mille lire.

È stato qui per diversi giorni, ospite graditissimo, l’intelligente artista sig. Ulisse Paoli di Campi Bisenzio, per il collocamento del detto organo, che riparte subito per il continente, lasciando un buon ricordo tra noi (Pungolo)

Il 20 ed il 21 corrente si festeggiano qui Santa Maria e San Pietro. Si spera in un gran  concorso, giacché oltre ai soliti divertimenti, ci sarà di nuovo la tradizionale cuccialedda (forse: cucciuledda) e relativo companatico.

il 20 ottobre 1892 fu battezzato, avendo come padrini Paolo Filigheddu e Giovanna Azara.

Azara Paolo fu battezzato il 22 novembre 1898 ad Arzachena dal sac. Giovanni Mariotti avendo come padrino Giovanni Geromino  (orario)

Padrino: Laicu Roglia

il 12 gennaio 1897 furono battezzati due gemelli: Giovanni Maria Azara, che ebbe come padrino Luca Ghilardi, e Azara Pasqua Maria.

 Il giornale d’Italia in Sardegna: 13 – giugno 1931

 TRE FAMIGLIE SI RICONCILIANO IN CHIESA DOPO ANNI DI ODIO E DI VENDETTE.

Terranova 11

Nell’umile chiesetta campestre di san Michele, presso Arzachena, si è svolta, il giorno 31 c.m., nella sua prima semplicità la suggestiva cerimonia delle “paci” fra le famiglie  Degosciu, Orecchioni, Mariotti.

Protagoniste erano cinque famiglie che da oltre un trentennio si dilaniavano a vicenda vivendo in una atmosfera  di odio e di vendetta. Origine di tutto ciò furono le solite questioni di interesse degenerate poi in lunghe e dispendiose liti e culminate in una situazione talmente pericolosa e tragica, che poteva da un momento all’altro travolgere nella rovina tante famiglie. Il brigadiere Bianco Pietro, comandante la vicina Stazione di Santa Maria d’Arzachena, il brigadiere Piras, della stazione di san Pantaleo ed il cancelliere Gana, spinti da un sentimento umanitario, vollero tentare di ridare la pace a queste famiglie.

Difficile ed arduo fu il compito, ma appunto perciò, maggiore doveva  essere la loro soddisfazione nel vedere la loro fatica coronata da successo.

Ed infatti, dopo lunghi e ripetuti contatti con le parti, riuscivano finalmente a metterli d’accordo e stabilire per il 31 maggio un loro convegno nella chiesetta di san Michele per la cerimonia della “Pace”.

All’ora fissata le parti si trovarono sul posto, accompagnati da numeroso stuolo di amici accorsi dalle vicine frazioni. Da Arzachena intervenivano le autorità politiche, religiose e numerosi cittadini.

La campana della chiesetta annuncia  che ha inizio la cerimonia, cerimonia commovente, bella, e poetica nella sua semplicità

Le parti avverse vengono schierate l’una di fronte all’altra: sono maschie figure, volti abbronzati dal sole e dalle fatiche, sguardi che esprimono tutta la fierezza della nostra razza, visi angelici di donne, il cui sorriso fu per un trentennio spento dal sentimento della vendetta e che oggi attendono tremanti il momento del bacio e del perdono. Fan loro corona centinaia  di amici e curiosi che nel più sacro silenzio attendono il momento solenne.

Il canonico don Satta , il ministro di Dio è nel mezzo. Egli legge alcuni versetti del Vangelo e con commoventi parole, nel nome di Cristo, invita le parti al perdono ed alla pace E mentre un gruppo di gentili signorine innalza al cielo un inno dialettale, coloro che per lunghi anni si odiarono, oggi, deposto ogni sentimento di odio e di vendetta, si abbracciano e baciano e in quell’amplesso e in quel bacio è il perdono. I vecchi nemici d’ieri son tornati fratelli!

Ed ora comincia la festa: colazione ricca ed abbondante, vini scelti e prelibati a profusione, lazzi, frizzi e sorrisi, discorsi di occasione e danze, finché il sole  che tramonta ricorda a tutte quelle anime in tripudio che la pace è stata fatta e bisogna tornare agli stazzi.

Per la cronaca: le parti in contrasto erano le famiglie Degosciu  C. Michele e Domenico, Mariotti G. Maria, Orecchioni Tommaso ed eredi del fratello Antonio, Orecchioni Paolo.

Fra le autorità presenti, notiamo il segretario politico ed il podestà di Arzachena, il brigadiere Bianco, comandante la stazione RR.CC., il cav. Gana, Cancelliere, il presidente della sezione dei combattenti, i pacieri Columbano Nicolò e Pancrazio ed altri di cui ci sfugge il nome.

 Intercalare “Signorisi , tabacco a naso

 Lu ghjudiziu

 Una dì lu Mastru à dittu a santu Petru:

“Aiò, Petru ch’andemu in ghjru a cunniscì la ghjenti!”.

Erami di statiali, di lampata o d’agliola, e caminendi sudàani e aìani la siti.

Caminendi, caminendi arreani a unu stazzu e bussani a la ghjanna.

“Cal’è?”, dummanda una femina da drentu.

“E ci’lla deti una tazza d’ea, chi semu murendi di la siti?”.

“No’, la funtana è allongu e eu no’ àgghju di sta’dendi una tazza d’ea a chistu e a chiddhu e dapoi  a me no’ mi’nni felma”.

 Tandu si ponini torra in caminu e cioccani a un’alta ghjanna e la patrona di casa li dà a bi

cantu ni’oni.

Un’alta dì arreani a unu stazzu ed erani famiti.

Cioccani  e dummandani:

“Semu diuni da arimani! E ci’llu deti un pezzu di pani?”.

“Capazzu sarà! Pani n’àgghju pocu e no’vi’nni possu dà!”.

Tandu so’ andati da un’alta femina e chista è generosa:

“Merè, àgghju un pani solu, ma ci’llu dividimi, mitai e mitai e àgghju puru mezz’ambula di ’inu!

Biìtillu cun salutu!”.

Dapo d’aè magnatu Lu Mastru e santu Petru salutani e si’nni so’ andati.

Chiddha femina aìa di riccii stragni proppriu in chissa dì!

“Com’àgghj’e fa?”.

Anda a la colbula e agatta un pani intreu e l’ambula di lu ’inu piena!

“Ma figghjùleti! Chissi dui m’àni burrulatu! L’àgghju datu mezu pani e mez’ambula di ’inu e abali v’è un pani intreu e l’ambula  di lu’inu piena! Chissi so’ miraculosi!”.

Intanto lu Mastru e santu Petru arreani a taldu a unu stazzu: bussani e dummandani:

“E ci allugghjeti pa’ la notti?”.

No, mancu pa’ sonniu! No àgghju d’imbruttami li linzoli pa’ allugghjà nisciunu!

Andeti e cilcheti allogghju i’nn’altu locu”.

E andani a un’altu stazzu

“E voi a chist’ora?”, dummanda la patrona.

“Bona femina semu cilchendu un allogghju pa’ la notti; pudemu culcacci ancora in tarra.

“No… intreti! Intreti!

Noi ci culchemu in tarra e voi i’llu lettu nostru!”.

E cussi Lu Mastru e santu Petru passani la notti in casa e culcati i’llu lettu.

Candu ’eni lu tempu, morì tutti, tutti si so’ prisintati dinanzi a santu Petru ch’à li chjai di lu paradisu

 S’è prisintata chiddha femina chi l’aìa nicatu l’ea e santu Petru li dici:

“Posati chici!”.

A chiddha chi l’aia datu a bi’, a iddha li dici:

“Tu entra i’llu Paradisu!”.

Poi è arrivata chiddha chi l’aia nicatu lu pani. E santu Petru:

“Tu posati chici!”.

A chiddha chi l’aìa datu lu pani e lu ’inu, li dici:

“Entra!”.

E cussi faci cun chiddha chi no’ l’aìa allugghjàtu:

“Posati chici!”.

A la familia chi l’aìa allugghjati, dici:

“Intreti!”.

Chiddhi ch’erani pusati fora àni pricuntatu a santu Petru:

“Comu mai no’ ci feti intrà?”.

“Ma lu Mastru no’ è ancora arriatu! Àgghju di pricuntà a iddhu!”

In chistu arrea Ghjesù Cristu beddhu e li dummandani:

“Comu mai a noi no ci àni fattu intrà? Iddhi, invecci, so’ indrentu!”.

“Iddhi chistu postu si’ll’àni gadagnatu. Cha vo’ intrà chici si de’ cumpultà be’ chindi!

Abali, voi andeti e feti passi! Più ignò v’è lu Pulgadoriu e lu ’nfarru. Figghjuleti si v’è calche locu undi vi facini intrà”.

Lu Mastru in Paradisu no’ l’accittesi e no’nni fesi intrà, mancunu!

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