Categoria : memoria e storia

Mio bisnonno “su berchiddesu” di Antonio Maria Murgia

Mio bisnonno Giommaria Murgia nato a Berchidda il 17 aprile 1844 denunciato col nome di Scanu,  mentre transitava in agro di Chiaramonti su un cavallo sellato, con apposita bisaccia di lana, contenente i due figli gemelli, Antonio Maria e Giuseppe, nati l’11 gennaio 1873  provvenienti dalle campagne di perfugas (Muru Pianedda), uno a destra, l’altro a sinistra. Avanzò in sella al cavallo tra i viottoli di percorsi accidentati, nelle mulattiere di un tempo. Giunto nei pressi di Chiaramonti, chiese informazioni ad un pastore, dove potesse trovare la famiglia Madau. Il pastore, incuriosito, chiese donde arrivasse, col cavallo carico di due bambini in bisaccia, uno a sinistra, e l’altro a destra, in inconsueta sistemazione di trasporto. Il cavaliere rispose:

-Vengo da Berchidda!-

Cosi, rientrato in paese, il pastore informò i pettegoli compaesani del nuovo arrivato da Berchidda. Per via della provenienza gli diedero il nomignolo di Berchiddesu. nel paese i nuovi arrivati venivano chiamati malacudidos, gente di serie “B” secondo la loro mentalità. In seguito costatarono che i malacudidos col passare del tempo si fecero apprezzare, e voler bene da tutto il paese, dimostrandosi persone responsabili e capaci di offrire benessere a diversa gente, e così divennero persone degne di vivere in quel paese chiamato in sardo Tzaramonte .

Sos Renalzos presso Santa Maria Maddalena

Mio nonno, (negli anni Dieci del Novecento) dimorò nei pressi di Santa Maria Maddalena, a sos Renalzos, in agro di Chiaramonti, residenti in carrela Longa n° 1 Chiaramonti,  con i suoi fratelli  e familiari, svolgendo con abilità lavori a conduzione pastorale e contadina.  Alle loro dipendenze lavorare molti operai giornalieri, zonorateris. Essi, invece, come datori di lavoro, si limitavano a dirigerli, controllarne l’attività di semina del frumento e, a suo tempo la sarchiatura e la mietitura. Erano rispettosi verso gli operai, ne riconoscevano i meriti dando loro l’opportunità di sostentamento delle famiglie. A quei tempi la povertà era tanta e la gente cercava di portare a casa un pezzo di pane, ringraziandone il Signore. La moneta era posseduta da pochi e in genere si pagava in natura: frumento, legumi, ricotta e formaggio. Era poco frequente la paga in moneta. Anche i ricchi più che monete possedevano beni in natura: del resto solo commercianti e banche facevano circolare le monete. Ricordo che mio nonno li depositava in una cassetta di legno tutta ben lavorata di cesellature, chiusa a chiave con un piccolo lucchetto, che con cura apriva per depositare i bigliettoni da 5.000 e 10.000 nel 1945, i bigliettoni che depositava erano della giusta ampiezza della cassetta. Io bambino mi limitavo a guardare la bella cassetta piena di molti soldi, ricordo che mio nonno si recava in caserma per denunciare il cambio delle monete di piccola taglia in biglietti da 5.00 e da 10.000.

Mio nonno era una persona molto parsimoniosa non dava una lira di regalo a nessuno, i soldi per lui erano la sua anima. Io malgrado lo sapessi così ne apprezzavo le doti, anche se sapevo che gli altri lo detestavano attribuendogli la fama di parsimonioso. La gente lo considerava avaro, ma per quei tempi io credo che potesse definirsi parsimonioso.

La sorgente di Santa Giusta


Mio nonno mi raccontò che un giorno col fratello gemello si adoperavano dentro la chiesa di Santa Giusta “(ove si sposarono nel 1937 miei genitori),” alla ripulitura del pozzo di acqua, sotto il presbiterio della chiesa, muniti di argano manuale. Scesi nel  pozzo, mentre scavavano con picco e pala, ad  un tratto udirono  chiamare:

-Antonio Maria !  Antonio Maria!-

Pensando che fossero arrivati dei commercianti,  risalirono dal pozzo, e ispezionata la chiesa dentro  e fuori, non trovarono nessuno.

-Eppure chiamavano noi !

– Si dissero sorpresi e stupiti.

In quello stesso istante udirono un boato  provenire dal  pozzo sottostante, dove essi stavano facendo opera di ripulitura: era crollata una parete, del pozzo, quardandosi tra di l’oro due, si dissero:

–  L’abbiamo scampata bella, torniamo a casa dove ci aspettano i nostri cari,  magari in compagnia di quel buon angelo custode, che ci ha avvisato in tempo !

-La notizia si diffuse in paese velocemente, alimentando favole secondo cui  sos berchiddesos scavando nel pozzo di Santa Giusta, avevano trovato su siddadu, un tesoro: chili d’oro.

In realtà mio nonno e il fratello gemello avevano salvato la loro vita che valeva molto più di svariati chili d’oro.

A causa dello scampato pericolo, mia nonna Maria Uneddu, essendo incinta, chiamò Giusta, la neonata figlia, in onore della Santa che con la voce misteriosa aveva salvato il marito e il cognato. Zia Giusta, divenuta giovinetta, andò in sposa  “a fuidura,” contro la volontà di mio nonno,  ad un finanziere ploaghese, certo Francesco Serra, che quando nacqui, insieme con mia zia , divennero madrina e padrino di battesimo. Mio nonno ci teneva ad avere un nipote che portasse il suo nome,  e così fui denunciato all’anagrafe e al fonte battesimale Antonio Maria.

Fine dell’alleanza con i Madau

Dopo la fine dell’affittanza delle tanche dei Madau, verso 1943, ci trasferimmo da sas Baddes, a sa tanca de su Puddu presso sos Padros, dove prendemmo in affitto i terreni di Francesco Lezzeri, fratello di mia nonna materna. I terreni comprendevano  sa tanca Brujadasa tanca de sa Luzzàna e altri appezzamenti sparsi  detti Tanchittas de sos Padres.

I motivi che ci spinsero a lasciare la località sas Baddes, era dovuto  ad un diverbio tra mio padre e suo padrino, affittuario Gigi Madau, il più grosso possidente nonché  podestà del paese.

Un giorno incontrandosi nei pressi di Santa Maria de Aidos, mio padre lo aveva informato che le sue mucche (fiados bulos) avevano sconfinato nel suo pascolo, e quindi gli preannunciò che in caso di reiterazione gliele avrebbe portate a sa mandra, recinto comunale, nei pressi del Convento (Cunventu) dove si portavano gli animali vaganti o che avevano sconfinato.  Per tale diverbio mio padre e mio nonno furono cacciati dai pascoli che avevano in affitto, ponendo fine così all’alleanza che, anche col comparatico, li aveva legati ai Madau. Nelle vicinanze della nuova sistemazione, abitava il conciatore di pelli e caciaro,  Armando Fumera, anche lui proveniente da Berchidda. Suo aiutante era  un certo Giuseppone, uomo di alta statura e vigoroso, sposato con Caterina Spanu, nostra lontana parente da parte di mia madre. L’amicizia tra gli oriundi berchiddesi fu una cosa naturale.

A poca distanza dal nostro casolare, nei pressi del nuraghe Ui, abitava la famiglia Pileri, i cui componenti erano molto cordiali con noi. Tra costoro ricordo Matteo, Mario, Nigolosa, Mauccia, S’Osilesa di soprannome. In quelle nuove tanche oltre all’attività agropastorale di mio nonno e di mio padre voglio ricordare qualche attività di mia madre. Mia madre in compagnia di zia Margherita, moglie del fratello di mio padre, abitante in un casolare nella proprietà di mio nonno in Runaghe Aspru, Nuraghe Aspru, confinante in sa Luzzàna si recava con mia madre a raccogliere le bacche del lentisco, l’istincanu (gall.) sa chessa (log.) che, macerato e colato, ci forniva l’olio. Oltre alla produzione dell’olio mia madre provvedeva anche alla produzione del formaggio e della ricotta necessaria alla famiglia e alla vendita all’ingrosso. Infine garantiva l’igiene alla casa e ai suoi abitanti, in particolare a noi bambini: io, e mio fratello e mia sorella. La mamma, mitizzavo e la ritenevo una meravigliosa. Quando per qualsiasi motivo si allontanava dal casolare avrei voluto seguirla, ma lei, con fermezza, mi ordinava di restare nei pressi della casa, temendo che potessi farmi male tra gli sterpi e le macchie di cisto e lentisco.

Un marchio a fuoco a vita

Eravamo attorno al camino, situato al centro della stanza con il tetto di canne, e con su cannitu sospeso su di esso, dove si metteva a stagionare formaggio e ricotta. Il fuoco era acceso ed io e mio fratellino (avrò avuto cinque anni e lui tre) eravamo seduti su uno sgabello di sughero , ad un certo punto mio fratello s’impadronì del soffiatore in ferro, “su suladore,” cominciando a farlo arroventare nel fuoco, io lo osservavo ed egli cercava di scherzare  tentando di toccarmi con la punta arroventata. Ad un certo punto gridò:

-Adesso ti brucio!-

Pensando che scherzasse non mi mossi, ma l’incosciente appoggiò il tubo sulla mia gamba destra marchiandomi col fuoco a vita. Mia madre mi soccorse applicandomi  sulla bruciatura sa prammutza (la malva), erba medicinale delle nostre parti. La bruciatura era enorme ed io provai un dolore cocente. Si era bambini di circa 3 e 4 anni. Mio fratello lo ricordo sempre esile, ma tenace. Nel mangiare era sempre schizzinoso. Per lui tutto era cattivo e sporco. Per mia madre era l’ossessione di casa, ricordo che si preoccupava molto per la sua salute e in effetti sembrava denutrito. In realtà anche da grande si è mantenuto magro, ma pieno di energie da vendere. Non penso che anche oggi cerchi di marchiare col fuoco qualcuno.

Commenti

  1. salve sono antonio fumera un nipote di armando fumera citato in questo splendida ricostruzione della storia.
    sono curioso di saperne di più e di aver magari qualche fotografia .
    la mia e-mail fuman@libero.it

    aspetto notizie

    antonio fumera
    Ottobre 16th, 2013
  2. Caro Antonio Maria Murgia
    Curo a Berchidda la stampa di un giornale “Piazza del popolo” che, in oltre vent’anni, è arrivato al n. 125. E’ interamente pubblicato in rete: “quiberchidda.it”. Raccogliamo e pubblichiamo storie e notizie che riguardino il paese e, in genere, i berchiddesi. Ci daresti l’autorizzazione e pubblicare, ovviamente con indicazione dell’autore e del sito che ospita il racconto, le notizie sul berchiddesu Giommaria Murgia?
    Grazie
    Giuseppe Meloni

    Giuseppe Meloni
    Maggio 2nd, 2015
  3. aro Giuseppe, da accademiasarde.it potrai prendere ciò che vuoi, aggingendo alla fine il link, ma mi faresti cosa gradita se vorrai spedirci degli articoli tuoi per la pubblicazione ancorché apparsi altrove.Un abbraccio
    Angelino anche per conto di AntonioMaria Murgia che vive a Pinerolo (tel. 021374776).

    PS Credo che anche la storia dell’industriale Berchiddese Armando Fumera, per un periodo anche sindaco di Chiaramonti, venuto qui in gioventù, l’abbiate già. Nel caso non l’aveste mi preoccuperò io di raccogliere dal nipote che abita a due passi da casa un profilo biografico.

    Angelino
    Maggio 8th, 2015
  4. Caro Angelino
    i berchiddesi sono ansiosi di conoscere la biografia di Armando Femera.
    Cari saluti
    Giuseppe

    Giuseppe Meloni
    Dicembre 28th, 2016
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