Categoria : letteratura sarda

Documenti in lingua sarda del XVI secolo di Elena Casu

Nell’ambito della ricerca di documenti in lingua sarda risalenti al secolo XVI , sono state ritrovate diciasette ordinanze del Comune di Sassari. I documenti sono contenuti nel Libro di Ordinazioni datato 1459 – 1586 , conservato presso l’Archivio di Stato di Sassari , nel Fondo dell’Archivio Storico del Comune di Sassari. Si tratta di ordinanze approvate dal Consiglio Generale della Città e della Repubblica di Sassari e riguardanti vari argomenti: le prime otto risalgono al 1522, ed hanno come oggetto la regolamentazione delle pene per il furto di bestiame, per il pascolo nelle campagne ed il rilascio di licenze per chi non è domiciliato in città; al 1523 risale l’ordinanza con la quale si richiede la stima dei danni causati ai fondi coltivati; al 1555 l’ordinanza che regolamenta la pesca e la commercializzazione del corallo; al 1556 l’ordinanza che intendeva estirpare frodi, malefici, delitti e altri abusi dalla città di Sassari, come il divieto di detenzione di armi quali archibugi, balestre e il divieto di caccia; al 1558 l’ordinanza che impone pene severissime contro il furto di bestiame. Al 1561 risalgono ben quattro ordinanze, la prima del 31 maggio, ribadisce le pene per chi si macchia del reato di furto di bestiame, la seconda del 25 giugno, ha per oggetto l’affidamento delle liturgie a sacerdoti delle famiglie dei fabbri, argentieri e balestrieri facenti capo alla confraternita di San Eligio; la terza, del 17 luglio, è rivolta ai proprietari di mulini ai quali si impongono regole per la macinazione del grano e dell’orzo, l’ultima, del 30 luglio, regola invece il mestiere del pittore e dei suoi apprendisti.

Queste delibere ci permettono di conoscere almeno in parte l’attività normativa del Consiglio Generale nella prima metà, o poco più, del secolo XVI .
Da tener presente che al tempo in cui furono emanate le ordinanze (1522-1561), la città di Sassari si presenta cinta di mura con porte d’ingresso e torri di difesa e d’avvistamento. Intorno al 1580 lo storico Fara descrisse la città di Sassari come la più grande e più famosa di tutte le città del Logudoro, fondata in un luogo assai felice e il più salubre dell’intera isola a dodici miglia da Turris . La sua popolazione non superava i 3.000 fuochi fiscali e presumibilmente i 12.000 abitanti , e si profilava come un centro mercantile in cui l’attività commerciale era incentrata prevalentemente sullo scambio dei prodotti derivanti dall’attività agraria, quindi dalla coltivazione cerealicola, dall’olicoltura, viticoltura e dalla coltivazione degli orti, non trascurando la complementarietà dell’attività artigiana . Le descrizioni che ci sono pervenute, riferite agli anni tra il 1570 e il 1672, non ci danno un quadro lusinghiero della Città, le case, che servivano per uomini e bestie, erano costituite da un unico vano di piccole dimensioni, ed in molte di esse, talvolta, vi abitavano anche due famiglie, le strade erano strette e non facilmente percorribili, spesso ingombre d’ immondizie . La città era interamente cinta di mura con quattro porte d’ingresso la porta del Castello a sud-est, porta Utzeri a sud-ovest, porta S. Antonio a nord, e porta Urusello, detta oggi Rosello a nord-est, e torri di difesa e d’avvistamento .
La classe dirigente sassarese era costituita da membri aristocratici di famiglie sarde, italiane e spagnole, mentre la rimanente parte della cittadinanza era costituita da strati di popolazioni che in vari periodi si erano insediate in Città e che per tanti versi non potevano non risentire delle scelte operate di volta in volta nell’ammissione alla Città delle decisioni prese dalle classi dirigenti . Grazie al Collegio gesuitico e alle relative scuole, Sassari avrebbe avuto finalmente quella classe studentesca che si sarebbe formata nel tempo presso lo stesso Collegio, elevato a dignità e a studi universitari tanto dall’autorità ecclesiastica, quanto da quella civile .
La conquista aragonese dell’isola ebbe come effetto immediato nelle città sarde il progressivo ricambio dei ceti dominanti, così a Sassari l’organizzazione oligarchica mutò in parte connotazione, infatti, al ceto mercantile pisano-genovese si affiancò quello dei catalani e valenzani Manconi). L’affermazione dell’assolutimo monarchico che caratterizzò l’età dei Re Cattolici, trovò un ostacolo nella viva opposizione dell’oligarchia sassarese, che si dimostrò sin dal principio ostile verso la politica riformatrice ferdinandea, motivo di scontro fu il tentativo di modificare il meccanismo elettorale che prevedeva in sistema insacculatorio, gli scontri degli anni 1482-83, ebbero come conseguenza solo un ritardo nell’applicazione della riforma, che divenne esecutiva solo nel 1532 con Carlo V .
Il cambiamento avvenuto nel meccanismo elettorale apportò novità soprattutto nella composizione sociale del consiglio e nel reclutamento degli ufficiali municipali, vennero considerati ineleggibili i feudatari con i loro amministratori insieme ai funzionari regi, ma per Sassari, che rispetto a Cagliari ed Oristano, vantava una realtà sociale più varia e composita, caratterizzata da nobili e feudatari, la riforma municipale tenne conto delle tradizioni politiche e istituzionali, così pur estromettendo dal controllo del Comune le famiglie dell’aristocrazia feudale, la carica di capo giurato rimase appannaggio della piccola nobiltà e dei cavalieri .
L’estrazione dei nomi dei consiglieri civici avveniva nella città di Sassari il secondo giorno di Pentecoste, un giovane estraeva dalle sette borse i rotoli contenenti i nomi abilitati alle cariche municipali, ed il governatore, al posto del vicerè, leggeva i nomi degli eletti. La prima borsa conteneva i nomi dei cavalieri e dei nobili, esclusi i feudatari, che aspiravano all’elezione per la carica di capo giurato, o consigliere in capo; nella seconda borsa erano contenuti i nomi di avvocati e medici anziani per la carica di giurato secondo; nella terza i nomi di avvocati e medici giovani per la carica di giurato terzo, dalla medesima venivano estratti anche i nomi per le cariche di segretario di città e di segretario della Governazione di Logudoro; la quarta i nomi di notai e redditieri per la carica di giurato quarto; nella quinta i nomi di mercanti facoltosi, procuratori e speziali per la carica di giurato quinto; una volta estratti i cinque giurati o consiglieri, si procedeva all’apertura delle restanti due borse, dalla sesta venivano estratti i nomi per le cariche di clavario ordinario con mansioni di tesoriere, clavario della frumentaria, l’ufficiale della Baronia della Nurra; mentre dalla settima i nomi per le cariche di amostassen, di alcayt del Porto di Torres e dei sei elets che avevano il compito di assistere i consiglieri nelle loro funzioni, o sostituivano i consiglieri assenti .
Coloro che venivano eletti, con la sola eccezione dei cinque consiglieri estratti, erano nel Cinquecento 21 e venivano nominati dal viceré, otto dei quali potevano assistere alle riunioni del consiglio civico mentre gli altri tredici assistevano i consiglieri nell’attività giurisdizionale.
Il passaggio di poteri portò dal punto di vista politico ad un rafforzamento degli apparati organizzativi e dell’azione dello Stato, caratterizzandosi per un forte centralismo e per lo sviluppo della burocrazia e dell’amministrazione pubblica, destinato a penetrare nella realtà storica e sociale dell’intera isola per durare fino al dominio sabaudo.
L’affermazione del sistema insacculatorio per l’elezione dei consiglieri civici non aveva sconvolto le articolazioni del potere locale la classe dirigente sassarese continuava ad essere costituita, come già detto, da membri aristocratici di famiglie sardo-spagnole, mentre la rimanente parte della cittadinanza, esclusa da qualsiasi tipo di ufficio, era costituita da strati di popolazioni che in vari periodi si erano insediate nella città e che per tanti versi non potevano non risentire delle scelte operate di volta in volta nell’ammissione alla Città delle decisioni prese dalle classi dirigenti , Sassari dovrà attendere l’istituzione del Collegio Gesuitico (1558) elevato a dignità e a studi universitari tanto dall’autorità ecclesiastica, quanto da quella civile , e delle relative scuole, per poter aspirare alla formazione col tempo di quella classe studentesca che avrebbe potuto entrare a far parte della classe dirigente cittadina .
Le leggi che regolavano la vita cittadina e rurale della Sardegna nel Cinquecento erano ancora quelle della Carta de Logu, un insieme di norme e di leggi improntate al diritto romano, bizantino e consuetudinario, promulgato dal “giudice” Mariano IV, che governò Arborea dal 1347 al 1375 anno della sua morte.
Nella città di Sassari l’amministrazione pubblica era legata in particolare agli Statuti Sassaresi, risalenti al XIII secolo, scritti dapprima in latino e successivamente, alla fine del XIV secolo, tradotti in sardo, segno che l’elemento sardo era considerevole a Sassari e non solamente nelle ville delle curatorie dipendenti dalla repubblica.
La città che manteneva la sua condizione di capoluogo del Capo di Sopra, sede della governazione del Logudoro, e di importanti istituzioni ecclesiastiche, secolari e regolari, e dal 1492-93 dell’Inquisizione, matura una crescente perdita del suo ruolo di città agricola e commerciale, ma anche burocratica, in questo secolo inizia a mutare anche l’istituzione podestarile, la carica da triennale diventa biennale, anche se questa figura viene comunque scelta tra il patriziato locale .
Il podestà era l’autorità che regolava e guidava tutte le funzioni comunali a lui spettava il compito di emanare le ordinaciones, di esercitare il potere esecutivo, il comando della milizia per giuramento fatto al momento di assumere la carica; in un documento datato 1556 l’allora podestà di Sassari, Francesco Lacano, appena assunta la carica, prestava giuramento con questa formula “jurades a n(ost)ru s(eno)re Deu et assos suos sanctos bator eua(n)gelios cu(n) sas manos v(ost)ras corporaleme(n)te tocados” giurava in nome del Signore Dio e dei suoi quattro evangelisti di osservare e di far osservare i capitoli, gli statuti, le ordinaciones, gli usi e le consuetudini della città con tutta la sua autorità, “cu(n) totu sas forzas vostras”, ed ancora, “et gasi matessj hagis observare et ten(n)rer et faguer obseruare totu et qualesisiat cabidulos breues statutos ordinaciones usos pratigas dedicta cita de gasi sos factos come(n)te et issos faguidores” di amministrare bene la giustizia con il consenso dei consiglieri della città sia nelle cause civili che penali, facendo giudicare le inchieste ai consiglieri civici; si impegnava a non riscuotere la maquizia prima che si pronunciasse il consiglio, a non spostarsi dalla sua sede per recarsi in in altri luoghi, o fuori dalla Sardegna, senza il consenso del consiglio comunale, nel caso di una sua partenza i suoi poteri venivano assunti dal primo consigliere “consigerj jn cabu”, il Podestà, inoltre, si impegnava a non assumere l’incarico di ambasciatore, qualora fosse stato eletto; doveva amministrare la giustizia bene e rettamente “agis administrare justicia bene et rectamente”, sia le cause civile che penali “gasj jn sas causas ciujles come(n)te et crjmjnales”, tutti i giorni due ore il mattino e due ore dopo mezzogiorno, “agis administrare justissia generalemente duas horas su ma(n)gianu et duas horas passadu meju die ogni die no(n) ferjadu” e cosa non ultima, doveva mantenere in ordine i libri contabili, “agis ten(n)er taula et purgare cudda juxta forma dessu reale prjuilegiu segundu est costumadu” .
Le mansioni che il Podestà espletava erano, come si evince dal documento, anche volte al controllo del consiglio civico, in questo modo le amministrazioni comunali cittadine si trovavano a legiferare insieme al podestà, e a svolgere i loro uffici che prevedevano la riscossione di tributi, il controllo dell’edilizia, dell’ordine pubblico, il controllo dei mercati, l’assegnazione di terre per il pascolo e la coltivazione, il controllo delle attività artigianali, tutte queste attività erano regolate attraverso deliberazioni dette ordinazioni ; le delibere comunali “ordinaciones”, oggetto di questo lavoro, ci permettono di conoscere, almeno in parte, l’attività normativa del Consiglio Generale nel XVI secolo .

Le ordinanze

Le ordinanze del Comune di Sassari, che qui prendiamo in esame, hanno per oggetto diverse tematiche; dalla loro lettura si palesa l’interesse dei pubblici poteri appare indirizzato al conseguimento un utile economico per le magre finanze del comune, così le ordinanze sono dirette a regolamentare tutte le attività produttive salvaguardando l’economia cittadina.
Le ordinanze rivelano l’attenta attività codificatrice delle autorità cittadine, la regolamentazione delle tariffe, dei prezzi, dei comportamenti tra parti commerciali come l’apprendistato, nel rispetto della correttezza professionale, disciplinano le attività esercitate dai fabbri, falegnami, pittori, corallari, ed in modo più ampio l’attività di pascolo nei territori della della Nurra.
La normativa tendeva a disciplinare e intervenire rispetto ai singoli settori in modo da evitare illeciti, come il fissare le tariffe per la macinazione del grano a scopo per così dire calmierativo, di scongiurare frodi, furti e danni, il cui verificarsi era severamene punito con multe e sanzioni anche corporali.

Ordinanze sul rurale:
Le ordinanze che hanno per oggetto il mondo rurale sono otto, in particolare si occupano di legiferare, attraverso regole, il mondo agro pastorale, le campagne ed i pascoli;
Un numero cospicuo di documenti relativi al XVI e XVII secolo ci informano dell’interesse dei consiglieri comunali di Sassari di intervenire per la regolamentazione dell’attività agricola e pastorale, e la loro azione volta all’incentivazione di particolari tecniche agricole in particolare, per la coltivazione cerealicola il sistema del vidazzone, ovvero l’individuazione di un ampio terreno che doveva essere recintato e custodito anche facendo ricorso ad appositi guardiani dal possibile passaggio di bestiame, che comunque aveva la possibilità, mediante apposite aperture di recarsi nei terreni in cui erano presenti sorgenti d’acqua per abbeverarsi. Dal regime di vidazzone erano escluse le tanche revistas, così vengono definite in vari documenti le terre che potevano essere escluse dal regime di alternanza obbligata in questo modo il proprietario o detentore si trovava nella condizione di scegliere liberamente l’assetto da dare alle proprie terre. In un documento risalente al 1606 si fa riferimento alle terre coltivate fuori dal vidazzone nel territorio della Nurra, in particolare dalla valle di S. Elena al terreno di Filipo Carta fino alla località di Bruneadellu e al nuraghe di Busanna fino a piscina del corvo. Secondo le disposizioni di Antonio Coloma Colvello, luogotenente generale che svolgeva le sue mansioni per il territorio della Nurra, era possibile, previa licenza da lui rilasciata, la coltivazione delle terre, per chiunque ne avesse fatto richiesta, situate al di fuori dei terreni destianati al vidazzone, i beneficiari delle licenze avrebbero dovuto provvedere alla chiusura del terreno coltivato entro il termine perentorio di otto giorni, perché nel caso in cui il terreno fosse stato danneggiato dal passaggio di bestiame per difetto delle chiusure “” il danno non verrà risarcito né dal padrone né dai comoragios che hanno in custodia il bestiame.
Sulle terre date in concessione, chiariscono i consiglieri di Sassari, non si poteva avanzare pretesa di dominio né signoria che resta sempre alla Citta, e per il tempo in cui il terreno viene concesso, si precisa, si mantiene sembre il bene placito dei consiglieri; si precisa, inoltre, con la sottoscrizione di un patto che i terreni in cui esistono abbeveratoi debbano rimanere aperti senza alcun impedimento, queste terre, devono rimanere tre anni senza essere coltivate, la mancata osservazione della regola avrebbe invalidato rendendola nulla e di nessun valore la concessione .
Le ordinanze permettono ai legislatori di delineare misure di immediata attuazione, raccomandando la pratica della recinzione dei campi, delle vigne e degli orti, l’obbligo di recinzione per i terreni confinanti con fondi nei quali si trovavano mulini; stabilivano l’obbligo, per chiunque possedesse un terreno confinante con un fondo nel quale si trovasse un mulino, di vigilare affinchè non vi entrasse nessun cavallo domato, nel caso in cui il padrone del mulino non avesse provveduto a recintare il terreno, e vi fosse entrato un cavallo o un’asino impastoiati, i proprietari avrebbero dovuto pagare una multa di cinque lire . Talvolta vengono specificate le tipologie dei terreni da recintare, così chiunque avesse avuto una vigna, o altro fondo confinante con mulini, aveva l’obbligo di tenere il terreno ben chiuso, in modo che nessun asino o cavallo impastoiati vi potessero entrare, se al contrario il padrone di un mulino facesse entrare volontariamente delle bestie nel suo terreno avrebbe dovuto pagare l’eventuale danno causato da queste bestie .
Una pratica ormai consolidata da parte dei pastori era quella l’accomandita, questa era una forma di società commerciale caratterizzata dalla diversa responsabilità, verso i terzi, dei soci che vi partecipano, nelle nostre ordinanze si distinguono tre figure: quella del proprietario (pobiddu), o accomandante, ovvero il proprietario del bestiame, il socio minore (comonargiu minore) ed il socio maggiore (comonargiu majore), gli accomandatari, i pastori o mandriali ai quali era affidato il bestiame, tra il socio minore ed il socio maggiore vigevano dei rapporti di subordinazione .
In regime di accomandita era vietato ai soci di poter prendere o comprare altro bestiame da stranieri o straniere, inoltre era vietato sia abbeverare che sfamare altro bestiame, nel caso di trasgressione del divieto, il colpevole avrebbe pagato i danni al padrone, incorrendo nella pena pecuniaria di venticinque lire, l’applicazione della pena era sottoposta all’arbitrio del governatore e dei consiglieri comunali .
Il rapporto esistente tra padrone e soci era soggetto a una precisa e puntuale regolamentazione, la necessita di definire i ruoli delle parti interessate dal rapporto di accomandita mette in luce la necessità di legiferare in una materia che, doveva essere al tempo evidentemente poco controllata, o poco controllabile: così si ordina ai soci minori di denunciare l’eventuale ritrovamento, nel terreno del loro padrone, di qualsiasi animale, vacca, maiale, pecora o capra, estranei al proprio gregge; tra i compiti del socio minore vi era quello di informarsi presso i pastori vicini sulla proprietà delle bestie rinvenute, nel caso non riuscisse a rintracciare il proprietario del bestiame, il socio minore aveva l’obbligo di recarsi dall’ufficiale, un funzionario del Regno incaricato nelle diverse ville di assolvere varie funzioni amministrative, nel caso in cui l’ufficiale del luogo non fosse reperibile, il socio minore avrebbe provveduto a informare del ritrovamento delle bestie il socio maggiore, in ogni caso le bestie mancanti dovranno essere rimborsate al proprietario e si pagherà una multa di dieci lire alla corte .
Nel rapporto di accomandita il socio minore che avesse preso in carico bestie avrebbe dovuto informare il socio maggiore di qualsiasi fatto riguardante il gregge, così, se fosse morto un capo di bestiame il socio minore avrebbe dovuto portare al socio maggiore la pelle dell’animale .
I consiglieri civici si occupano di legiferare ordinanze che in qualche modo abbiano come effetto quello di scoraggiare la pratica del furto di bestiame, considerati i tanti furti perpetrati nelle campagne del territorio di Sassari, da parte di individui non domiciliati in Città, si ordina il divieto per questi ultimi, di far pascolare il loro gregge nei territori di giurisdizione della città di Sassari, in caso di ritrovamento di bestie non appartenenti a pastori Algheresi, sarà permesso all’ufficiale della Nurra, col consenso dei consiglieri comunali di Sassari, di impossessarsi delle stesse; inoltre è vietato a qualsiasi consigliere comunale di rilasciare licenze per il pascolo di greggi nel territorio della Nurra, pena la multa di cinquanta lire da pagare alla Regia Corte .
Disposizioni particolari erano stabilite per il bestiame brado o domestico trovato a pascolare abusivamente sui terreni coltivati, a seconda dei casi, gli animali potevano essere abbattuti e macellati; altre disposizioni interessavano il comportamento che i proprietari dei fondi dovevano tenere per non incorrere ad esempio nella macellazione abusiva. Qualsiasi contadino che decidesse di coltivare un terreno dove è solito recarsi il bestiame per abbeverarsi, non potrà uccidere o macellare detto bestiame, ma dovrà chiamare un estimatore (chi è) che valuterà il danno causato dalle bestie, dando incarico individuare il proprietario del gregge, che potrà essere individuato verosimilmente tra i confinanti più vicini . L’ordinanza sottolinea, la necessità di recintare i campi coltivati e la custodia del bestiame al pascolo, stabilisce come atto illecito la macellazione del bestiame trovato a pascolare abusivamente, e stabilisce l’intervento di uno stimatore per la valutazione del danno e dell’eventuale risarcimento.
Particolari disposizioni erano previste per i mietitori, I consiglieri del comune di Sassari, ordinano, al fine di favorire l’agricoltura, che vengano stimati gli eventuali danni arrecati ai fondi coltivati; l’autore del danno pagherà due parti del prezzo del danno, se la stima del danno non dovesse essere rivista, pagherà la metà, se il danno dovesse essere fatto dopo aver trebbiato, pagherà il prezzo imposto dalla corte defalcando al mietitore cinque soldi per starello di grano e due soldi e mezzo per starello di fave o orzo, inoltre, valutato che i contadini sono soliti lasciare parte del grano nei campi, si ordina che, se il grano in questione supera il quantitativo di meno di una giornata di un aiutante, dopo tre giorni finito di trebbiare, non possano più richiedere alcun risarcimento .
Le autorità cittadine si preoccupano di emanare ordinanze che definiscano in modo preciso alcune funzioni spettanti a particolari figure come ad esempio quella del messo di corte, questa figura aveva notevole importanza, tra i suoi compiti rientravano gli atti di citare, pignorare, e tenner, citare, pignorare o trattenere un cittadino quello che oggi chiameremmo etc. questa figura aveva grande importanza perché gli era affidato il compito di riscuotere le multe di illeciti perpetrati ai danni della Città; I messi erano soggetti a particolari regole:
: i messi di corte non potevano percepire denaro per citare persone non domiciliate a Sassari; il loro compenso variava in relazione all’atto giudiziario svolto, per un atto di citazione percepiva otto soldi, per un atto di pignoramento venti soldi, per trattenere due soldi se la persona non risiedeva in Città, tre soldi se la persona non era domiciliata a Sassari; La persona multata doveva comparire davanti al giudice ; il tariffario prevedeva, fuori dai territori della Nurra, che il messo di corte percepisse per catturare uomini che hanno rubato, non possa percepire più di trenta soldi; per una citazione percepirà venti soldi, fuori dal territorio della Nurra percepiva quindici soldi .
Inoltre viene esplicitato che il messo non possa agire senza un mandato “no(n) pothat citare ne(n) tenner algunu quena cumandament(u) desu casu”, se facesse il contrario incorrerebbe nel pagamento di tre lire o stare un mese in prigione e restituire ciò che avesse preso tutto ad arbitrio del giudice .

Il consiglio maggiore di Sassari insieme al podestà ed ai baroni di Nurra al fine di conservare e proteggere il pascolo nel territorio della Nurra, stabiliscono pene più severe per il furto di bestiame, rispetto a quelle già esistenti, che a loro dire essendo esigue non sarebbero state in grado di debellare il reato ma al contrario l’avrebbero incentivato. Il tariffario prevedeva questi numeri: per il furto di cavalli, cavalle buoi domiti, si pagava cinque lire al padrone e quindici lire di multa (maquisia) all’ufficiale; nel caso di mancato pagamento della multa di sarebbe proceduto al taglio dell’orecchio, il furto perpetrato sarebbe stato punito con l’impiccagione.
Il furto di cavalli, cavalle, vacche, buoi e asini non domiti erano soggetti anch’essi al pagamento verso il padrone, di venticinque lire e di una multa da pagarsi all’ufficiale, se non dovesse pagare entro quindici giorni era previsto il taglio dell’orecchio, per il primo furto,per il secondo furto invece doveva pagare venticinque lire entro quindici giorni il mancato pagamento prevedeva il taglio del secondo orecchio, la reiterazione del reato per una terza volta prevedeva l’impiccagione.
Per il furto di una pecora, maiale o capra, si paghi cinque lire al padrone e di multa quindici lire all’ufficiale, entro quindici giorni pena il taglio dell’orecchio; per il secondo furto era previsto il pagamento di una multa di venticinque lire altrimenti sarebbe incorso nel taglio del secondo orecchio, dal terzo furto era prevista l’impiccagione. Se il furto dovesse essere eseguito da più persone, queste sarebbero incorse nelle stesse pene previste per il singolo, se il furto avesse riguardato solo cinque capi, dai cinque in su era prevista l’impiccagione .
I diritti più importanti, strettamente legati alla giurisdizione baronale, erano comunque l’incarica e le machizie. L’incarica era una forma di ammenda alla quale erano sottoposti gli abitanti di un villa nel cui territorio si fossero verificati delitti, furti o reati e non si fossero scoperti gli autori. Anche la machizia era un’antica consuetudine sarda, sancita dalla carta de Logu e dagli statuti sassaresi, che consentiva di macellare le bestie sequestrate (tenturate) sorprese a pascolare nei seminati. Si trattava di un provvedimento teso a proteggere i campi coltivati dalla furia devastatrice delle greggi e del bestiame brado. considerate le esigue le pene inflitte a coloro che effettuano furti di bestiame vengono ridefinite le stesse in questo modo: chi rubava cavalli, cavalle, buoi domati, pagava dalle venti alle venticinque lire di maquizia per il primo furto, mentre il secondo furto era punito con l’impiccagione; chi rubava cavalli selvatici, vacche, buoi pagava quindici lire, il secondo furto era punito con il taglio dell’orecchio, per la reiterazione del reato era prevista l’impiccagione; uguali le pene per chi rubava pecore, maiali o capre .

I consiglieri stabiliscono regole, a cui erano sottoposti i mugnai, per la macinazione del grano e dell’orzo nei mulini della città. I mugnai non potevano macinare nessuna soma ne quantità di grano o di orzo appartenente ad alcun individuo non domiciliato a Sassari, prima di aver macinato quello dei cittadini della Città, pena il pagamento di venticinque lire da pagarsi un terzo all’attore un terzo parte all’ospedale di Santa Croce, un terzo all’ufficiale reale che farà l’esecuzione, la pena pecuniaria doveva essere pagata entro otto giorni altrimenti sarebbe stato assicurato alla giustizia “et non pagandelos siat acotadu perissa terra publicame(n)te”; I mugnai non potevano vendere la farina macinata, ma potevano disporre soltanto della decima parte a loro spettante, era loro vietato di tenere il crivello, il setaccio, lo staio nel loro mulino e da qualsiasi altra parte fuori dalla città, era inoltre obbligato a mantenere “sa carritta bene scandegliada”, l’unità di misura pari ad uno staio in regola al fine di impedire il commercio del macinato; i mugnai non potevano ospitare nel loro mulino per la notte nessuna persona .

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